Camilla, la piccola guerriera ce l’ha fatta. La mamma: «In terapia intensiva le parlavo della vita» - Foto

Cologno al Serio, Camilla Bianca Poli è nata al «Papa Giovanni» alla 26 a settimana di gestazione. «Pesava 960 grammi». Ma oggi è a casa e festeggia Pasqua con mamma e papà.

Secondo i calcoli nudi e crudi, Camilla Bianca Poli non è ancora nata: sulla ruota della gravidanza il termine è il 24 aprile. Però non tutto fila via liscio spesso, nella vita, non tutto va secondo previsioni, quasi mai. Così lei è già arrivata e l’ha pure fatto con largo anticipo. Larghissimo: il 18 gennaio. Ventiseiesima settimana di gestazione, presto. Troppo: per un bel po’ la sua piccola vita è stata un campo di battaglia. Quando mamma Giorgia Frascolla, 30 anni di Cologno, l’ha presa in braccio la prima volta - una settimana dopo la nascita, cesareo, urgenza massima - Camilla pesava 960 grammi. L’ha presa tra le mani, minuscola com’era. Ed è lì, con la bambina finalmente sulla pelle, che Giorgia ricomincia a respirare: «Ho sentito la sua forza, me l’ha trasfusa. In quell’istante ho capito che ce l’avremmo fatta». Due guerriere.

La storia di Camilla, che con i suoi due chili e mezzo oggi festeggia la Pasqua a casa con mamma e papà Simone, comincia che la mamma ha 14 anni e il papà 19, quando si mettono insieme e iniziano a diventare una coppia. Il sogno di un figlio li culla da sempre, ma lo tengono via in attesa di diventare grandi. Dopo le nozze a giugno del 2019, decidono che è ora. Ci vorrà un po’ di tempo prima che il sogno si traduca in un figlio. E forse insieme al tempo anche un ciondolo «chiama angeli». «Il 30 marzo dell’anno scorso, in piena prima onda, ho perso nonno Francesco portato via dal Covid – racconta Giorgia –. Nella bara ho chiesto di mettere uno di quei ciondoli, che portasse la nostra preghiera in Cielo».

La gioia e la paura

Dopo l’estate Giorgia e Simone scoprono di aspettare un bambino. Alla diciassettesima settimana, la gioia deve lasciare il posto alla paura: Giorgia ha dolori, va in ospedale, minaccia d’aborto, resta due settimane e poi torna a casa, ma dalla mamma Delia, perché il resto della gravidanza lo deve trascorrere a letto. Mamma l’aiuta, mentre Simone deve lavorare, caporeparto alla Bianchi di Treviglio, stessa città in cui anche Giorgia lavora, impiegata in una società di marketing. «Quelle settimane cosa faccio? Stesa, pensavo al rischio concreto, reale, di poter perdere la mia bambina. Mi stavo affezionando, la sentivo, ma sapevo che avrei potuto perderla. Erano momenti davvero terribili, inseguita dai pensieri più brutti, cercando di sostituirli con quelli più belli, ordinavo il corredino taglia zero online, io sapevo, sentivo che Camilla sarebbe nata prematura».

Nel cuore della notte del 14 gennaio, Giorgia si sveglia con le contrazioni. Alla ventiseiesima settimana, sei mesi suppergiù. Ha un’infezione legata alla gravidanza, febbre alta, sta male, male male e così arriva al «Papa Giovanni» codice massima urgenza.

Il 18 marzo di notte devono farle il cesareo. Racconta Giorgia che i medici corrono via subito con la bambina, Camilla entra nel reparto della Patologia neonatale e subito va in intensiva, tubi, tubicini, monitor, un posto in cui nessuno dovrebbe mai entrare, figuriamoci un neonato. «Però per fortuna ci sono», sono i pensieri di Giorgia e Simone. Camilla viene estubata dopo 24 ore, sul minuscolo volto la mascherina dell’ossigeno, qualche giorno dopo altra tecnologia, gli alti flussi, macchine che le salvano la vita. «Macchine, e cuori: il nostro grazie va indistintamente a tutte le persone che lavorano nella Patologia neonatale, medici, infermieri, la dottoressa Giovanna Mangili e la dottoressa che ha accompagnato le prime ore di vita di Camilla, Stefania Ferrari, il dottor Maurizio Giozani, ma tutti, capaci di unire professionalità e umanità. Non sapevano se nostra figlia sarebbe sopravvissuta. Nessuno in quei primi giorni ce ne dava la certezza. Ma al Papa Giovanni abbiamo trovato una famiglia che non finiremo mai di ringraziare». Giorgia guarisce dall’infezione e a fine gennaio viene dimessa, mentre Camilla resta in ospedale fino al 25 marzo quando la signorina viene dichiara pronta a lasciare le stanze, i monitor, le macchine e la seconda famiglia di mamma e papà. A casa. Oggi è Pasqua e finalmente sono tutti tre insieme, mamma, papà e la guerriera. «Quando era ancora in ospedale, io e Simone potevamo vederla qualche ora al giorno, ma separatamente: qualche ora io, qualche ora lui. È stata dura non poter condividere i momenti di gioia e quelli di paura, di ansia, di preoccupazione. Però a consolarmi ci hanno pensato medici e infermieri: mi dicevano che per Camilla ero importante, che non sarebbero bastati loro, le macchine e le medicine. Così io le parlavo». E che racconti a una bimba che non dovrebbe nemmeno essere ancora nata? «Le raccontavo cosa c’era fuori, cosa l’aspettava, la vita, tutte le cose belle che avrebbe trovato». E la guerriera nata in pandemia, deve aver capito che c’è sempre da combattere, sempre, una battaglia senza fine. Ma che ne vale la pena.

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