Omaggio al genio di Fiorucci: una mostra in Triennale

A MILANO. Fino a marzo la storia di uno dei più rivoluzionari stilisti italiani. Una retrospettiva che celebra la sua genialità: il designer è stato catalizzatore per generazioni. In una intervista a «L’Eco»: «Non bisogna mai smettere di sognare. Sono un adulto di ancora 6 anni».

«Elio Fiorucci non ha mai lavorato entro confini disciplinari ben definiti, questa mostra è un’occasione per interrogarci ancora una volta su cosa sia riconducibile all’idea di moda, una domanda che già Elio Fiorucci si poneva». Judith Clark ha curato l’esposizione che fino al 16 marzo colorerà la Triennale di Milano: una mostra dedicata ad Elio Fiorucci, dieci anni dopo la sua scomparsa, che vuole restituire le differenti dimensioni creative dello stilista, fondatore dell’omonimo marchio che a partire dagli anni Sessanta ha rivoluzionato il costume, la moda e la scena dell’arte contemporanea in Italia.

Il fenomeno Fiorucci

Un vero e proprio fenomeno quello di Fiorucci, capace di catalizzare la cultura giovanile internazionale, con irriverenza e audacia, andando a toccare il mondo del fashion, del design, dell’arte visiva e della pubblicità. Una retrospettiva dal chiaro intento biografico: in mostra, in ordine cronologico, materiale proveniente dal suo archivio personale che racconta l’inconfondibile estetica di Fiorucci. Con una peculiarità: la voce dello stilista, resa attraverso registrazioni fino ad ora inedite, ripercorre ogni elemento dell’esposizione e viene messa in dialogo con le voci di altri protagonisti della storia dello stilista, dando vita a una narrazione che si intreccia al racconto del marchio.

In mostra

E poi ancora polaroid, installazioni ambientali, passando per video, fotografie, plastici di architettura, abiti, accessori e opere d’arte contemporanea, a dimostrazione di come il brand “Fiorucci” abbia sempre avuto una sua identità, strettamente legata alla personalità del suo fondatore.

«Nel 1967 in San Babila ho creato il primo concept store italiano: un luogo dedicato ai giovani che coinvolgeva tutti i sensi, offriva un’esperienza multisensoriale: lì confluivano mondi lontani»

Al centro della mostra il ruolo del concept store, perché il punto vendita era fondamentale nell’universo di Fiorucci, era e doveva diventare un luogo d’incontro. Lo aveva raccontato bene anche in un’intervista a L’Eco di Bergamo: «Nel 1967 in San Babila ho creato il primo concept store italiano: un luogo dedicato ai giovani che coinvolgeva tutti i sensi, offriva un’esperienza multisensoriale: lì confluivano mondi lontani».

«Non bisogna mai smettere di sognare» aveva detto nel 2013, all’età di 78 anni: «Io sono un adulto di ancora 6 anni».

C’erano pezzi di design, musica d’avanguardia, oggetti esotici ed etnici, profumi intensi, alle pareti opere d’arte moderna: «Cercavo di capire cosa piaceva alla gente e pensavo cosa piacesse a me: a me piaceva e piace stare insieme alla gente» aveva detto lui, che fu il primo a firmare una linea di occhiali, a inventarsi i jeans stretch, mescolando la lycra al denim: «L’ispirazione mi venne nel 1982 a Ibiza dalle comunità hippy che popolavano a quei tempi l’isola». Una rivoluzione nei gusti, con la soddisfazione di sentir dire dal re del denim Calvin Klein: «I primi jeans fashion li ho visti da Fiorucci». Lo stilista fu anche il primo ad associare i personaggi Disney all’età adulta, con una linea di abbigliamento dove le felpe e le t-shirt con Topolino le indossava la donna, non solo la bambina: «Perché non bisogna mai smettere di sognare» aveva detto nel 2013, all’età di 78 anni: «Io sono un adulto di ancora 6 anni».

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