I cristiani a voce alta contro il male

MONDO. Nel secondo giorno del Giubileo della speranza Francesco ne indica il senso e la forza aprendo la Porta Santa della chiesa del Padre Nostro a Rebibbia, che è diventata anch’essa Basilica.

Nel secondo giorno del Giubileo della speranza Francesco ne indica il senso e la forza aprendo la Porta Santa della chiesa del Padre Nostro a Rebibbia, che è diventata anch’essa Basilica. Dopo San Pietro, rito antico di una tradizione lunga 725 anni, Bergoglio va al carcere di Rebibbia, periferia romana, periferia della vita, grumo di dolore, di disperazione e depressione.

È difficile ragionare di speranza da queste parti. Eppure è possibile e il Papa trova il verbo giusto, l’azione perfetta sulla quale cimentarsi. Parla ai detenuti, ma il suo sguardo abbraccia il mondo intero e mette in moto un processo largo. Invita ad «aggrapparsi» alla speranza per comprendere il dolore e sanarlo, per non cedere alla sfiducia, per non confondersi, perdere il cammino e finire nel baratro fino a ritenere la propria vita non più degna di essere vissuta.

Il mondo ha bisogno di un ancora

C’è un piano sempre più inclinato che rischia di portare al suicidio l’umanità intera. Nel microcosmo del carcere tutto è più evidente, se si osserva bene. Il carcere è la notte, è l’incubo che nessun sussulto scuote, è il simbolo realistico della rassegnazione, è lo spazio ristretto senza riscatto. Ma è anche il luogo dove aggrapparsi alla speranza assume il significato perfetto e strategico per cambiare e riscattare la vita personale. Bergoglio ha scelto di nuovo una periferia come punto di vista per vedere meglio e per indicare a tutti l’essenza del Giubileo. Lo aveva già fatto a Bangui, quando per il Giubileo della Misericordia aveva scelto la Porta Santa della cattedrale del Paese più povero del mondo perché da lì si vedevano meglio i guai e le incertezze colpevoli di chi ha portato il mondo alla paura. E lo ha rifatto ieri trasformando l’apertura della Porta Santa a Rebibbia in strumento ermeneutico dell’intero Giubileo della speranza. Il mondo ha bisogno di «un’ancora», ha sollecitato Francesco, a cui «aggrapparsi». L’ancora è uno strumento che richiama la salvezza, l’ancora è una luce oltre il buio, l’ancora è una prospettiva oltre le sbarre.

Il simbolismo dei gesti del Giubileo

Nelle celebrazioni di Natale il Papa ha analizzato a fondo, senza dimenticarne nessuno, i problemi del mondo: la guerra, l’economia che uccide, le azioni scellerate che spezzano la vita, ma anche la durezza dei cuori, i popoli che si considerano nemici e non fratelli, i pezzi sparsi di un dialogo difficile da rimettere insieme, l’antagonismo considerato risorsa, il neo colonialismo delle armi, i luoghi del mondo profanati dalla violenza. E ha chiesto di trasformare «un mondo piagato». In silenzio sulla sedia a rotelle con il capo chino, ha varcato la Porta Santa in una sera gelida e ha sfiorato con la mano le formelle di bronzo che narrano la storia della salvezza.

C’è un simbolismo potente nei gesti che aprono un Giubileo. Bergoglio ha voluto evitare qualsiasi fasto scenografico in una cerimonia che nei secoli ha assunto forme barocche. La sobrietà del Giubileo della speranza costringe a badare all’essenziale, impresa necessaria oggi per orientarsi nel buio della storia. Il Giubileo servirà a far filtrare nella sofferenza «che scava l’anima» una speranza che i cristiani sanno che non delude. Francesco ha insistito molto sul concetto in questi due giorni. Ha 88 anni, qualche acciacco, a volte gli cade la voce. Eppure ripete che bisogna rimettersi ogni giorno in cammino «senza indugio» e «mai stanchi» e trovare l’angolo da dove guardare e da dove alzare la voce del Vangelo. Lui lo ha fatto magistralmente nel messaggio «Urbi et Orbi», rosario di sofferenza che sollecita l’inquietudine personale. Adesso sta ai cristiani comprendere che la speranza è «incompatibile con il quieto vivere di chi non alza la voce contro il male».

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