«Visione, tenacia e grande umanità: Parenzan nel cuore»

Il RICORDO. Ne parlano colleghi, pazienti e familiari a 100 anni dalla nascita del cardiochirurgo. Ferrazzi: curiosità e istinto con ragionamento scientifico.

Una vita così poteva essere riassunta solo in un simbolo, il cuore. Un secolo dopo Lucio Parenzan è nel cuore di tutti, e di lui si parla col cuore: ha gioco facile la metafora di fronte al maestro della cardiochirurgia pediatrica, ricordato ieri a Bergamo a cent’anni dalla nascita. Lo ha fatto il «Papa Giovanni», nell’auditorium che porta il suo nome, in un flusso continuo di emozioni e memorie, tambureggianti come quel battito a cui Parenzan ha dedicato l’esistenza.

C’è il Parenzan istituzionale e quello privato, quasi intimo, conosciuto da amici, colleghi, pazienti. Lucio Parenzan – nato a Pirano il 3 giugno 1924, si spense a Bergamo il 28 gennaio 2014 – è stato così un «catalizzatore», lo definisce Paolo Ferrazzi, primario emerito del «Papa Giovanni», un uomo di «fantasia, curiosità, istinto, visione, tenacia. Tutto coniugato col ragionamento scientifico».

Il profilo

Storie e aneddoti si susseguono nel «talk» moderato da Alberto Ceresoli, direttore de L’Eco di Bergamo, partendo dalle parole del professore («Non voleva essere ricordato per i trapianti, ma per i bambini operati per la tetralogia di Fallot») e ricordando anche due figure centrali come Giuseppe Locatelli e Giorgio Invernizzi. Si comincia dalle testimonianze di tanti cardiochirurghi d’ogni angolo d’Italia giunti a Bergamo nel corso degli anni per lavorare con Parenzan. «Leadership, passione ed entusiasmo» sono gli elementi messi in luce da Ottavio Alfieri, mentre Paolo Annecchino ne ha rimarcato l’impegno umanitario (Emergency ha dedicato a Parenzan la Chirurgia dell’ospedale di Khartoum, nel Sudan).

«Mi colpì molto la sua capacità di lavorare in équipe – racconta Simonetta Cesa, oggi direttore sociosanitario del “Papa Giovanni” –. Dava risalto al parere di ognuno: l’importanza dello studio fu la sua grande lezione»

L’«apertura internazionale di Parenzan» è la cifra distintiva scelta da Mario Carminati, Orazio Valsecchi ha condiviso l’acuta curiosità del professore: «Insegnava senza mai salire in cattedra, trasmetteva sapere da pari a pari». Nelle parole di Massimo Villani c’è l’esaltazione della «grande apertura mentale» di Parenzan e la sua fiducia nei giovani, così come la capacità di «essere ironico anche nei momenti difficili» messa in luce da Roberto Tiraboschi. «Odiava il dogma, il definito: aveva bisogno di superare le regole», è la prospettiva di Pierluigi Festa, mentre Maria Giovanna Russo ha raccontato l’«attenzione per la persona e le scelte di vita» dei suoi allievi. È un filo comune condiviso da tanti: «Ha cambiato il destino della mia vita», dice Amando Gamba, perché «il professore raccoglieva come un artista pezzi da tutti noi per poi farne un mosaico capolavoro» aggiunge Vittorio Vanini. Fino all’ultimo: «Due mesi prima che morisse, ci sentimmo per preparare una missione in Somalia», svela Piero Abbruzzese.

Parenzan valorizzava ogni professionista: «Mi colpì molto la sua capacità di lavorare in équipe – racconta Simonetta Cesa, oggi direttore sociosanitario del “Papa Giovanni”, che iniziò la carriera come infermiera nel reparto nel 1986 –. Dava risalto al parere di ognuno: l’importanza dello studio fu la sua grande lezione». Ancora oggi, il nome di Parenzan non conosce confini. «È fondamentale rendere omaggio a chi ha contribuito in modo significativo al progresso», è il messaggio di Robert Anderson, cardiologo di fama mondiale, letto in sala da Adrian Crucian, già allievo dell’International Heart School.

Il figlio: «Mio padre era divertente, diretto e amabile. Aveva una caratteristica: lasciava sempre fuori i problemi di lavoro da casa, ma mai i suoi colleghi, allievi e amici. Ci ha lasciato un grosso insegnamento: se volevi prendere una decisione e fare una certa cosa la dovevi portare sempre a termine»

La vita di Parenzan cominciò nell’Istria italiana: «La nostra comunità – interviene Edoardo Uratoriu, vicepresidente dell’Associazione Venezia Giulia e Dalmazia – ha sempre riconosciuto in Lucio Parenzan una guida e un amico autentico. Anche grazie a lui, Bergamo ha saputo mettersi in ascolto delle drammatiche vicende del confine orientale». Giuseppe Fallacara oggi è professore ordinario al Politecnico di Bari e fu uno dei «bimbi blu» salvati da Parenzan: «La sua vera lezione, valida per tutti gli ambiti del sapere, è quella di aver creato con grande passione una vera scuola di eccellenza partendo da un piccolo centro». «Il ricordo di Parenzan è sempre nel mio cuore», sorride Cinzia Pulcini, ed è letteralmente così, perché fu il professore a portare a termine il suo trapianto di cuore, oltre trent’anni fa: «Quel trapianto mi ha poi consentito di diventare madre».

«Diretto e amabile»

In sala la signora Laura, la moglie di Parenzan, figura fondamentale nella vita del professore: «Mio padre – racconta Antonio Parenzan, il primo figlio – era divertente, diretto e amabile. Aveva una caratteristica: lasciava sempre fuori i problemi di lavoro da casa, ma mai i suoi colleghi, allievi e amici. Ci ha lasciato un grosso insegnamento: se volevi prendere una decisione e fare una certa cosa la dovevi portare sempre a termine».

Nel pomeriggio lo sguardo s’è allargato al futuro della medicina, con gli interventi di Philipp Bonhoeffer (cardiologo, liutaio e musicista), Francesca Raimondi (direttore Cardiologia 2-Cardiopatie congenite del bambino e dell’adulto), Maurizio Merlo (direttore Cardiochirurgia), Amedeo Terzi (responsabile Centro Trapianti di cuore), Lorenzo Galletti (responsabile Cardiochirurgia dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma), Maria Iascone (responsabile Laboratorio di Citogenetica e Genetica medica), Luca Lorini (direttore Dipartimento Emergenza-urgenza e area critica), Giuseppe Remuzzi (direttore Istituto Mario Negri).

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