Tumore alla prostata, la sorveglianza attiva: Psa, visita e risonanza

UROLOGIA. Le soluzioni per quelle neoplasie di basso grado per cui non è necessario operare subito.

Nel mese di novembre le entità mediche di tutto il mondo sono unite da una grande azione volta a sensibilizzare alla prevenzione e alla cura delle patologie maschili, in particolare di quelle di natura oncologica. Tra queste spicca il tumore alla prostata, che è quello che tra gli uomini si manifesta più di frequente e rappresenta un rischio per la vita secondo solo a quello legato al tumore del polmone.

«Ci possiamo trovare di fronte a vari tipi di neoplasie alla prostata – sottolinea il professor Angelo Porreca, direttore dell’Urologia di Humanitas Gavazzeni, esperto in chirurgia robotica oncologica e ricostruttiva e professore associato di Urologia presso Humanitas University –, a cominciare da quelle di basso grado. Si tratta di tumori dal lento sviluppo che non richiedono un intervento chirurgico immediato ma prevedono che il paziente venga sottoposto alla cosiddetta “sorveglianza attiva”, con cui possa essere mantenuta la sua integrità fisica rimandando al futuro eventuali, e non scontati, interventi chirurgici o radioterapici. Osservare una “sorveglianza attiva” significa, in particolare, sottoporsi all’esame del sangue del PSA ogni tre mesi, a una visita rettale ogni 6 mesi e a una risonanza prostatica con una periodicità indicata dal medico».

Un gruppo interdisciplinare sulla prostata

Diverso è l’approccio ai tumori alla prostata considerati a rischio intermedio-alto, quindi piuttosto significativi. «Di solito questi tumori, quando localizzati, sono trattati o con la chirurgia robotica o con la radioterapia. In Gavazzeni, a questo proposito, abbiamo istituito un gruppo interdisciplinare sulla prostata, che discute tutti i singoli casi e indirizza i pazienti alla migliore terapia possibile, in funzione delle caratteristiche della neoplasia e delle esigenze e dello stato di salute generale del paziente».

Le conseguenze dell’intervento

L’obiettivo primario delle cure è quello di fare in modo che l’intervento, di qualsiasi natura esso sia, non incida in modo negativo su alcuni esiti funzionali importanti per il paziente. «Nei casi in cui si proceda con la chirurgia – prosegue il professor Porreca –, l’obiettivo è curare il paziente e guarirlo mantenendo integra sia la funzione urinaria, sia quella sessuale. Per quanto riguarda la funzione urinaria, è difficile che oggi il paziente incorra in un’incontinenza stabile post-intervento. E quando la neoplasia lo permette, si possono “risparmiare” i nervi della funzione sessuale, quindi preservare anche la capacità erettiva del paziente».

La novità è un robot

La grande novità del settore, di cui si avvale l’equipe chirurgica del professor Porreca, è il robot «Da Vinci Single Port», una vera rivoluzione nel campo degli interventi chirurgici urologici, che prevede che l’intervento possa essere eseguito attraverso un unico accesso, che corrisponde a una micro incisione di circa tre centimetri. «Un sistema che consente di aggiungere alle caratteristiche già ottime della robotica tradizionale multiporte, un impatto minimo per il paziente, permettendoci così di evitare particolari accorgimenti anestesiologici e assicurando al paziente tempi di recupero strettissimi, praticamente immediati» racconta il professore.

Come agire nei casi più gravi

Infine, ci sono i tumori alla prostata più gravi, avanzati, localmente avanzati o addirittura metastatici: «Su questi si procede con un trattamento multimodale, che prevede la collaborazione di oncologia, urologia e radioterapia, per cui il paziente viene assistito con la chirurgia, con la radioterapia e con le cosiddette terapie sistemiche oncologiche. Un quadro di cura cui si aggiungono anche le soluzioni offerte dalla possibilità di accedere a studi clinici – conclude il professor Angelo Porreca –, con protocolli sperimentali che consentono ai pazienti accessi a farmaci innovativi, che possono produrre l’effetto di ottenere la riduzione del volume della malattia e la cura della metastasi, integrandosi con la possibilità di eseguire interventi chirurgici».

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