La salute / Hinterland
Domenica 28 Novembre 2021
Se è l’occhio ad ammalarsi per un problema alla tiroide
È la malattia di Graves-Basedow. La sensazione di «avere la sabbia negli occhi» e un dolore oppressivo all’occhio sono i sintomi molto comuni.
Le malattie autoimmuni della tiroide possono non limitarsi alla tiroide. Per esempio, possono colpire l’occhio. Lo spiega la Dott.ssa Danila Covelli, specialista in Endocrinologia che collabora con Politerapica di Seriate. Oftalmopatia basedowiana o tiroidea è il termine per indicare l’insieme di segni e sintomi oculari che si possono manifestare in chi soffre di malattie autoimmuni tiroidee. È più frequente in caso di ipertiroidismo da Malattia di Graves-Basedow ma può presentarsi anche in caso di ipotiroidismo associato a Tiroidite di Hashimoto. È una malattia rara nelle sue forme più gravi ma un minimo coinvolgimento oculare si rileva fin nel 50% dei pazienti con Malattia di Graves-Basedow.
Dolore e visione doppia
I principali bersagli di questa malattia sono la congiuntiva, le palpebre e i muscoli oculari. Gli occhi ammalati appaiono sporgenti, gonfi e arrossati e lo sguardo più spalancato. La sensazione di «avere la sabbia negli occhi» e un dolore oppressivo all’occhio sono sintomi molto comuni. Il disturbo più invalidante è rappresentato dalla visione doppia, o diplopia, conseguenza dell’infiammazione dei muscoli che muovono l’occhio.
Normalmente i segnali luminosi percepiti dai nostri occhi generano ed inviano al cervello due immagini distinte che vengono poi fuse in un’unica. Gli occhi sani, ben sincronizzati nei movimenti, inviano al cervello due immagini molto simili tra loro. Se invece i due occhi non si muovono in modo sincrono, come quando i muscoli sono infiammati, le immagini inviate al cervello sono molto diverse tra loro e non vengono facilmente fuse. Ne deriva la percezione di vedere doppio. La diplopia limita molto l’autonomia del paziente. Per risolverla spesso è necessario un intervento chirurgico.
Malattie autoimmuni
Le malattie autoimmuni nascono quando il sistema che produce le nostre difese genera per errore anticorpi diretti contro il nostro organismo. Anche la tiroide può essere il bersaglio di questi attacchi. Ne derivano due tra le più comuni malattie autoimmuni: la Malattia di Graves-Basedow, che causa una eccessiva produzione di ormoni tiroidei, e la Tiroidite di Hashimoto che, al contrario, danneggia il tessuto tiroideo fino a portare alla ridotta produzione di ormoni. L’origine delle malattie autoimmuni non è molto chiara. Spesso si scatenano dopo uno stress in chi ha ereditato un sistema immunitario non perfettamente sano. Ancora meno chiaro è il motivo per cui talvolta la reazione autoimmune non si limita alla tiroide ma coinvolge anche tessuti extra-tiroidei come l’occhio.
Fattori favorenti
Predisposizione genetica e fattori ambientali aumentano il rischio di sviluppare la malattia. Tra i fattori ambientali ci sono innanzitutto sesso e età: sembra che le forme più severe colpiscano uomini di età compresa tra i 65 e i 70 anni. Anche il valore degli anticorpi anti-tiroide è un fattore di enorme rilievo: chi ha una quantità maggiore di anticorpi ha più spesso una malattia che non si limita alla tiroide. Questi fattori non possono essere modificati dal paziente o dal trattamento medico, al contrario di altri due fattori quali il fumo di sigaretta e la funzione tiroidea. I fumatori affetti da malattie autoimmuni della tiroide vengono colpiti più spesso dall’orbitopatia e, soprattutto, rispondono peggio al trattamento medico. La funzione tiroidea è molto importante: se l’ipertiroidismo è mal controllato è più probabile che l’orbitopatia insorga. E’ quindi necessario aiutare il paziente a smettere di fumare e a gestire i farmaci in modo corretto per mantenere la funzione tiroidea più stabile possibile.
Prevenzione e diagnosi precoce
Un dato positivo è che l’orbitopatia è una malattia che si autolimita. Gli anticorpi che attaccano la tiroide pian piano spariscono e l’infiammazione a livello oculare si risolve. La terapia medica limita l’infiammazione e i conseguenti danni. Il trattamento di riferimento sono farmaci cortisonici somministrati per via endovenosa. Nuovi trattamenti più specifici e con meno effetti collaterali sono già in uso in via sperimentale.
Risolta la fase infiammatoria però, non sempre gli occhi tornano come prima sul piano estetico o funzionale e si rende necessaria la chirurgia. Prevenzione, diagnosi precoce e terapia adeguata servono a limitare al minimo i danni permanenti e il ricorso alla chirurgia. Per un’adeguata gestione della malattia, conclude la Dott.ssa Covelli, è opportuno rivolgersi a centri ospedalieri che garantiscano il lavoro in equipe di endocrinologo, oculista, ortottista e chirurgo.
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