Morte cardiaca improvvisa
Un evento non così raro

Nel 50% dei casi non sono rilevati precedenti di rilievo. Spesso è il frutto di una cardiopatia «silente».

Il grande atleta che crolla in campo. L’arresto cardiaco che ha colpito Christian Eriksen durante la partita che la Nazionale danese stava disputando il 12 giugno scorso, ha avuto, come tutti sanno, un epilogo felice. A strappare da morte certa il calciatore sono stati in primis i compagni di squadra, che avendo subito percepito la pericolosità della situazione, hanno attivato i soccorsi, e successivamente i membri dello staff medico che tempestivamente hanno iniziato le manovre di rianimazione cardiopolmonare. Alternando il massaggio cardiaco alle scariche del defibrillatore, il cuore di Eriksen ha ripreso a battere correttamente. Pochi attimi e il sangue è ritornato a pulsare nelle arterie e con esso la vita, al punto che il giocatore è uscito cosciente dal campo di gioco. Lo dice il dott. Fernando Scudiero, specialista in malattie dell’apparato cardiovascolare, dirigente medico dell’Unità operativa complessa di Cardiologia dell’Asst Bergamo Est che collabora con Politerapica di Seriate, convenzionata con Asst Bergamo Est.

Poteva andare diversamente

Fosse andata diversamente, avremmo parlato di «morte cardiaca improvvisa», riportando alla mente i tristi eventi che hanno accumunato Piermario Morosini, morto in campo nel 2012, e Davide Astori, il cui cuore si è improvvisamente fermato nel sonno a soli 31 anni, entrambi uccisi da un fenomeno non così raro che spesso si cela dietro uno stato di apparente buona salute. La morte cardiaca improvvisa può essere causata da malattie strutturali o funzionali del muscolo cardiaco, che esitano, nella maggior parte dei casi, in un’aritmia fatale chiamata fibrillazione ventricolare. Durante questo evento aritmico maligno, il cuore cessa di avere la sua attività ritmica ed inizia a «vibrare» ad una frequenza elevatissima, cessando così di pompare il sangue al corpo e al cervello in maniera efficace. Questo sfortunato evento, quando si verifica in assenza di testimoni o di persone in grado di garantire una rianimazione, porta inesorabilmente a morte.

Molteplici fattori

L’incidenza della morte cardiaca improvvisa è di 1 caso per ogni 1000 abitanti; in Italia si stimano 50mila decessi ogni anno. Nonostante i numerosi progressi compiuti nel trattamento delle malattie cardiovascolari, la morte cardiaca improvvisa resta un evento difficilmente prevedibile, anche a causa della molteplicità dei fattori che concorrono a determinarne la comparsa, fattori che differiscono in base all’età del paziente. Nei giovani, le cause più comuni sono anomalie cardiache genetiche, per le quali lo sforzo fisico rischia di essere la scintilla che accende la miccia di una polveriera sconosciuta. Spiccano tra queste, le cardiomiopatie ipertrofica, dilatativa e aritmogena e numerosi sindromi congenite come quella del QT lungo e di Brugada. Negli adulti con età superiore ai 35 anni la patologia più frequentemente responsabile della morte cardiaca improvvisa è la cardiopatia ischemica, che si verifica quando un coagulo interrompe improvvisamente il flusso di sangue all’interno di una coronaria. L’interruzione del flusso di sangue, con il protrarsi dei minuti e delle ore, danneggia parte del muscolo cardiaco, innescando così un’aritmia maligna come la fibrillazione ventricolare.

Attenzione ai segnali

Poiché nel 50% dei casi la morte cardiaca improvvisa si verifica in assenza di precedenti cardiologici di nota, ma come conseguenza di una cardiopatia silente, è importante quantificare nella popolazione generale il rischio cardiovascolare individuale, basandosi sulla presenza di fattori quali tabagismo, ipertensione arteriosa, dislipidemia e diabete e successivamente provvedendo ad una valutazione cardiologica di base. Nei pazienti che lamentano uno o più sintomi sospetti per la presenza di aritmie, come palpitazioni o svenimenti, è necessario effettuare innanzitutto un elettrocardiogramma ed un attento esame ecocardiografico per valutare la contrattilità cardiaca e la presenza di alterazioni strutturali cardiache. Successivamente può essere eseguito un test da sforzo, utile sia nella diagnosi di aritmie ventricolari indotte dall’esercizio, sia nella valutazione della risposta alla terapia farmacologica.

Chiunque può salvare una vita

Quando invece sfortunatamente ci si trova ad affrontare ciò che non siamo riusciti a prevedere, come nel caso di Eriksen, al quale è stato poi impianto un defibrillatore che lo proteggerà da ulteriori aritmie letali, l’unica misura efficace è l’esecuzione della rianimazione cardiopolmonare e la successiva attivazione della catena della sopravvivenza tramite il servizio di emergenza territoriale. Ad oggi è chiaro come anche il solo massaggio cardiaco può servire a mantenere le condizioni vitali e dare modo ai soccorritori di intervenire. Dobbiamo tutti partecipare ad una capillare diffusione della cultura della rianimazione cardiopolmonare perché chiunque può salvare una vita.

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