La salute / Bergamo Città
Martedì 23 Marzo 2021
La genealogia delle cellule
e le «radici» delle malattie
Nuovi studi dei ricercatori dell’Università di Yale in collaborazione con la Mayo Clinic.
È possibile ricostruire l’albero genealogico delle cellule del corpo umano, stabilendo i loro rapporti di parentela attraverso le mutazioni scritte nel Dna. Lo hanno fatto i ricercatori dell’Università di Yale, guidati dalla neuroscienziata italiana Flora Vaccarino, in collaborazione con la Mayo Clinic di Rochester: partendo dalle cellule della pelle di due individui, sono riusciti a risalire alle primissime divisioni cellulari avvenute allo stadio di embrione.
Una «finestra» sulle cellule
Il risultato, pubblicato su Science, rappresenta la chiave per capire come una sola cellula possa dare origine ai 37.000 miliardi di cellule che compongono l’organismo umano, e in futuro potrà facilitare il tracciamento dell’origine di molte malattie legate allo sviluppo, come l’autismo e la schizofrenia. «Abbiamo trovato un modo mininvasivo per aprire una finestra sulla storia delle cellule di una persona: per i nostri corpi - spiega Vaccarino - è come il sito Ancestry.com», che permette di ricostruire la storia familiare. Come le vicissitudini della nostra famiglia influiscono su quello che siamo, così «la storia delle cellule può avere conseguenze».
Per ricostruirla, i ricercatori hanno prelevato cellule della pelle (fibroblasti) dal braccio e dalla gamba, quindi le hanno coltivate e fatte tornare bambine (cellule staminali pluripotenti indotte, iPSC) per poi sequenziare il loro genoma alla ricerca delle mutazioni comparse nel corso delle precedenti divisioni cellulari.
Una volta ricostruita la loro storia, le mutazioni sono state confrontate con quelle di altri tessuti adulti per capire in quale fase dello sviluppo sarebbero comparse: le mutazioni insorte all’inizio dello sviluppo embrionale, per esempio, possono essere presenti anche in altri tessuti, come ad esempio il sangue, la saliva e le urine.
Infine i ricercatori hanno scoperto che la cellula uovo fecondata (zigote) va incontro a una prima divisione che più asimmetrica del previsto: una cellula figlia andrà infatti a formare il 90% dei tipi cellulari del corpo umano, mentre l’altra darà origine solo alla placenta che nutrirà l’embrione.
Rigetto nei trapianti, nuovi studi
Le cellule del sistema immunitario capaci di ricordare un’infezione per decenni hanno un «lato oscuro» e diventano nocive quando elementi estranei restano a lungo nell’organismo, come accade quando viene trapiantato un organo. La scoperta, pubblicata sulla rivista Science Immunology dalla University of Pittsburgh School of Medicine, apre la strada a terapie antirigetto più efficaci.
Le cellule immunitarie capaci di scatenare il rigetto sono i linfociti T della memoria. In condizioni normali queste cellule «svolgono un’importante funzione di sorveglianza quando riconoscono un agente patogeno, contribuiscono a eliminarlo rapidamente», osserva Martin Oberbarnscheidt, autore della ricerca con Khodor Abou-Daya. «Osservando le stesse cellule in casi di trapianto - aggiune - abbiamo potuto vedere cosa succede quando un antigene persiste: un organo trapiantato è un grande pezzo di tessuto che, a differenza di un’infezione, rimane nel corpo per molto tempo».
Terapie più efficaci
La ricerca è stata condotta su un topo, utilizzato come modello del trapianto di rene, e ha dimostrato che con il tempo le cellule immunitarie T infiltrate in un organo trapiantato si trasformano in cellule T residenti della memoria e restano nell’organo in modo permanente, senza diffondersi nel resto dell’organismo e mantenendo la loro funzione: una volta insediate nell’organo trapiantato, inoltre, cominciano a proliferare e a produrre segnali per una risposta immunitaria prolungata, contribuendo in questo modo al rigetto.
Queste cellule diventano così il nuovo obiettivo per terapie antirigetto certamente più efficaci, in grado di preservare la capacità del sistema immunitario di combattere le infezioni e di ridurre gli effetti collaterali delle attuali terapie immunosoppressive.
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