La salute
Giovedì 16 Gennaio 2025
Influenza aviaria, i ricercatori italiani: «Non c’è pericolo»
IL CASO. Una vittima negli Stati Uniti, ma gli esperti di casa nostra invitano alla calma: «Niente allarmismo».
«Non siamo in una nuova fase dell’influenza aviaria H5N1, il contesto epidemiologico non è cambiato». Massimo Ciccozzi, ordinario di Epidemiologia al Campus Bio-medico di Roma, invita a non creare allarmismo dopo la notizia della prima morte negli Stati Uniti di un paziente colpito dal virus ad alta patogenicità, invitando al alzare l’attenzione sugli allevamenti intensivi. «Si tratta di una persona con più di 65 anni che aveva anche altre patologie», continua Ciccozzi interpellato dall’Ansa, «anche una normale influenza avrebbe messo in crisi il suo organismo. La definizione di “alta patogenicità” appare arbitraria», aggiunge, facendo l’esempio della bambina cambogiana di 11 anni morta nel 2023 per un ceppo identico a quello che aveva colpito il padre, asintomatico: «Come si spiega? Forse non c’è un preciso criterio di identificazione di alta patogenicità, che dev’essere geneticamente correlata a una caratteristica che porta alla morte».
«Intervenire sugli allevamenti»
Alla luce del recente spillover dagli uccelli ai bovini, però, Ciccozzi evidenzia la necessità di intervenire sugli allevamenti intensivi: «Lì il virus circola moltissimo, e ogni volta che passa da un animale all’altro, o da una specie a un’altra, avvengono mutazioni casuali che in un tempo indefinito potrebbero essere pericolose per l’uomo». Il professore sottolinea infatti la differenza tra l’infezione diretta, come nei casi registrati fino ad oggi (incluso quello in Louisiana), e lo spillover, il passaggio di specie, che «avviene per via di mutazioni che consentono potenzialmente il contagio da persona a persona, finora non registrato ma che sarebbe preoccupante, in quanto il tasso di letalità è del 35%».
L’appello alle istituzioni
Ciccozzi raccomanda alle istituzioni di «effettuare un attento monitoraggio epidemiologico», e porta alla luce la necessità di intervenire su «consapevolezza e educazione igienico-sanitaria» nel pubblico generale. «Non bisogna toccare volatili morti trovati, ad esempio, in giardino, poiché sono molte le specie di uccelli selvatici e domestici infetti da influenza aviaria. Se si toccano cadaveri vanno igienizzate immediatamente le mani».
Attenzione alle feci
Per quanto riguarda il contatto con animali vivi, invece, «non esistono grossi problemi se non si toccano le feci, o ancora peggio feci polverizzate che si possono inalare. Molte persone infettate dai bovini lo hanno fatto negli allevamenti intensivi probabilmente per scarsa igiene, oppure mungendo e bevendo direttamente il latte crudo del bovino, abitudine frequente negli Stati Uniti».
Situazione globale invariata
Giovanni Rezza, professore di igiene e sanità pubblica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, già dirigente di ricerca dell’Iss, evidenzia all’Ansa come la situazione globale risulti invariata dopo la notizia della prima morte negli Stati Uniti di un paziente colpito dal virus. «Dall’inizio degli anni Duemila il virus ha causato poco meno di mille casi. La novità è semplicemente che questo è il primo decesso nel Paese, ma si tratta di un paziente vulnerabile di oltre 65 anni e con altre patologie, e soprattutto di un contagio da volatile a uomo, molto frequente, e non da mammifero a uomo».
Nessun cambiamento di passo, quindi, per un contagio la cui catena interumana di trasmissione più lunga - spiega Rezza - «è avvenuta nel 2006 in Indonesia, quando una donna malata ha infettato altri 6 componenti della famiglia». (Ansa).
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