Da amministrativo a direttore sanitario: «La vita per l’ospedale: è come un figlio»

LA CARRIERA . Fabio Pezzoli, 68 anni, va in pensione dopo 42 anni: «All’inizio lavoravo e studiavo per fare il medico». L’emozione del trasloco, il dramma del Covid. «Questa struttura ha tante potenzialità».

«Lascio l’ospedale dopo 42 anni di lavoro ininterrotto, è come se lasciassi la casa di famiglia: prima ai Riuniti in largo Barozzi, poi al nuovo “Papa Giovanni”. Mi commuovo un po’ se me lo dico ad alta voce, ma è innegabile: gran parte della mia vita è l’ospedale. Ed è stata una vita piena di soddisfazioni: quando ho cominciato mai avrei potuto immaginare di arrivare al ruolo di direttore sanitario». La commozione c’è, eccome, nella voce di Fabio Pezzoli, classe 1955, bergamasco doc («Sono nato e cresciuto e vivo tuttora in Città Alta e l’Atalanta è nel mio Dna»): a 68 anni, li compie il 19 agosto, all’inizio del 2024 andrà in pensione. In ospedale, allora erano Ospedali Riuniti, ci è arrivato fresco di diploma da ragioniere, assunto come amministrativo nel Servizio trasfusionale: ma oltre all’Atalanta, evidentemente, Pezzoli aveva nel Dna anche il camice bianco.

Pendolare per la laurea

«Il mio pallino è sempre stato la medicina. Quei primi anni nel Servizio trasfusionale mi devono aver acceso la passione, così ho deciso poco di cimentarmi nell’impresa: sarei diventato medico, non ci credeva nessuno che ce l’avrei fatta: avevano pure appeso una specie di tabellino-scommesse sulle mie sorti». Pezzoli lavorava al mattino agli Ospedali Riuniti, al pomeriggio smontava, prendeva l’Autostradale e andava a Milano a seguire le lezioni in Università. «Poi tornavo a casa, da Lambrate andavo a piedi a riprendere il pullman Autostradale, perché a quell’ora non c’erano più treni per Bergamo e pure la metropolitana era chiusa, e me ne tornavo a Bergamo. Alla fine mi sono laureato, dottore in Medicina e chirurgia». Fabio Pezzoli a quel punto va in aspettativa dall’ospedale e si avvia verso la carriera di medico di base. «Ho esercitato per qualche anno, ma mi sono reso conto che quello che credevo fosse il mio destino in realtà non rispondeva a ciò che davvero desideravo. E proprio in quel periodo, siamo nel 1998, il direttore generale degli Ospedali Riuniti, Franco Provera, mi contattò chiedendomi la disponibilità a lavorare nello staff della direzione. Ho tentennato un po’, poi davanti all’aut aut di Provera, che voleva una risposta subito, ho accettato». È il 1999, «e da allora ho vissuto sulla mia pelle i momenti importanti e cruciali dell’attività dell’ospedale: l’avvio del programma dei trapianti di fegato pediatrici e per adulti a fine Anni Novanta, la posa della prima pietra del nuovo ospedale, il trasloco da largo Barozzi al “Papa Giovanni” nel 2012, la pesantissima emergenza Covid, che mi ha toccato anche personalmente: mi sono contagiato io e ho contagiato anche mia moglie Maria Teresa. Questi ultimi sono stati momenti difficilissimi: l’ospedale ha saputo farcela, abbiamo lavorato tutti insieme, ma se devo dire cosa mi porto davvero nel cuore è certamente l’emozione del trasloco da largo Barozzi».

L’ufficio nuovo ospedale

Perché, spiega Pezzoli, della nascita del «Papa Giovanni» si sente un po’ artefice: già nel 2003 diventa infatti responsabile dell’attività tecnico-sanitaria dell’Ufficio organizzazione Nuovo ospedale, dal 2008 poi riveste il ruolo di responsabile della struttura «Nuovo ospedale Beato Papa Giovanni XXIII». «Sono stati anni impegnativi, ma di grande soddisfazione – ricorda –. Il nuovo ospedale l’ho visto crescere come un figlio. E la posa della prima pietra è stata emozionante. Un’emozione simile l’ho provata solo più avanti, in udienza da Papa Francesco, come direttore sanitario, insieme a Maria Beatrice Stasi, direttore generale, dopo la pandemia».

Un nuovo ospedale «creato» muro dopo muro, letto dopo letto, da direttore medico di presidio dal 2009, durante il trasloco («non capita tutti i giorni di spostare un ospedale senza mai interrompere l’attività clinica e di emergenza: noi l’abbiamo fatto»), e poi dal 2016 come direttore sanitario: se dovesse raccontare un difetto, di questo nuovo ospedale? «È davvero splendido, tecnologicamente avanzato, una meraviglia. Se potessi tornare indietro, però, forse si poteva fare qualcosa di più per le camere di degenza. Se fossero più ampie non

guasterebbe. Ecco, le allargherei di più». Intanto, entro quest’anno, aggiunge con entusiasmo Pezzoli, si vedranno realizzati alcuni obiettivi a cui si tendeva da tempo: «Avremo finalmente una nuova sala operatoria in funzione 12 ore al giorno tutti i giorni, che affiancherà quella già attiva per le emergenze 24 ore su 24; una sala operatoria in più, e ne abbiamo 36, significa aver trovato risorse di personale aggiuntivo, e non è cosa semplice – rimarca Pezzoli –. Ma era fondamentale: una sola sala aperta 24 ore su 24 vedeva accavallarsi a volte trapianti ed emergenze, e questo costringeva a dover rinviare interventi programmati. Un ospedale come il “Papa Giovanni” non può permettersi di vedere allungare liste d’attesa e di rinviare interventi che gli utenti aspettano. Mi piace rimarcare, inoltre, che abbiamo ottenuto anche un nuovo robot, e che a breve riusciremo ad accentrare tutte le degenze pediatriche in uno stesso spazio, pensiamo alla Torre 2, un obiettivo voluto dalla direzione strategica perché questa è una struttura di rilievo nazionale e internazionale che, per i bambini, ha pochi eguali: eseguiamo tutti i trapianti, e possiamo fornire risposte a tutte le esigenze pediatriche. È giusto che i bambini abbiano uno spazio a loro dedicato, l’attenzione del “Papa Giovanni” verso l’infanzia è una peculiarità che ha radici lontane, sin dai tempi dei “bambini blu” di Parenzan. E a questo proposito, sono orgoglioso di poter chiudere la mia carriera con una nuova struttura di Cardiologia pediatrica: solo poco tempo fa ci perdevo il sonno, eravamo arrivati a rischiare di non avere più un cardiologo pediatrico».

I viaggi e la musica

Traguardi raggiunti, ma nei bilanci c’è spazio anche per quello che si sarebbe desiderato e non è stato. «Diverse cose avrei voluto vivere da direttore sanitario. Penso all’ottava torre: per maggiore attenzione ai pazienti oncoematologici abbiamo pensato a un nuovo spazio per dare loro più agio nei ricoveri e nell’accesso alle terapie: il progetto è stato approvato dalla Regione, ma i finanziamenti non ci sono ancora. E sarebbe gratificante, per tutti, ottenere il riconoscimento di Azienda ospedaliera regionale: se ne è parlato, ma non si è visto nulla, ancora. Abbiamo fatto, tutti, un grandissimo lavoro per la riforma, aprendo Case e Ospedali di comunità, ma in questo ospedale ci sono attività di rilievo internazionale che meritano il riconoscimento di Azienda ospedaliera regionale». È mancato l’impegno della politica? «Io credo che il sistema sanitario pubblico abbia bisogno di una corposa riorganizzazione. A partire da finanziamenti in più, maggiori risorse per il personale, che va gratificato e incentivato: ce l’ha indicato la pandemia, è stato dimenticato». Un rammarico che Pezzoli non nasconde: «Non smetterò di guardare all’ospedale, anche da pensionato: da direttore sanitario ho nominato ben 34 nuovi primari, non c’è un dipendente che abbia esitato dal venire da me a esporre le sue problematiche, ora però mi guardo intorno e mi rendo conto che tra il nostro personale l’età si è abbassata, gli ultrasessantenni sono sempre meno: è il segno di lasciare spazio ad altri. Mi dedicherò ai viaggi, al mare, che è la mia passione, con mia moglie Maria Teresa, e avrò tempo per i miei figli gemelli, Andrea, che è ingegnere, e Giorgio, avvocato.E avrei anche tempo per eventuali nipotini. Tornerò a fare musica, amo suonare la chitarra. Ma il mio sguardo verso l’ospedale resterà vigile: spero che chi arriverà a dirigerlo punti sempre più in alto l’asticella di nuovi traguardi. Al lavoro fatto qui, io ci tengo proprio: confido che l’ospedale sviluppi le sue potenzialità. E sono davvero tante».

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