La salute / Bergamo Città
Venerdì 27 Settembre 2024
Caso acido obeticolico: nella Bergamasca un centinaio di malati
LA MALATTIA RARA. È un’intricata vicenda in punta di diritto dell’Unione europea. Ma le conseguenze sono concrete, e soprattutto incidono sulla salute di persone che convivono con una malattia rara. Così rara da contare in Italia solo 1.400 casi in tutto, di cui un centinaio seguiti dal «Papa Giovanni» di Bergamo.
È il caso dell’acido obeticolico («Ocaliva» è il nome commerciale), terapia utilizzata per curare una specifica tipologia di pazienti affetti dalla colangite biliare primitiva, una malattia autoimmune del fegato che colpisce prevalentemente le donne in età adulta: quel farmaco è ora al centro di uno «stallo burocratico» che rischia di interromperne l’impiego. Tutto è in mano alle istituzioni europee: il 3 settembre la Commissione europea – sulla scorta di una raccomandazione dell’Ema, l’Agenzia europea del farmaco – ne ha revocato l’utilizzo, ma il 5 settembre la Corte di giustizia europea ha a sua volta sospeso la decisione. Il farmaco al momento può così continuare a essere prescritto, ma si attende un ulteriore provvedimento che faccia chiarezza. E, in caso di nuovo stop, si metterebbero a rischio le cure dei pazienti
Cos’è la colangite
La colangite biliare primitiva è «una patologia che generalmente può avere una lenta ma progressiva evoluzione verso fibrosi, cirrosi e complicanze tipiche delle malattie epatiche – spiega Mauro Viganò, medico della Gastroenterologia 1-Epatologia e Trapiantologia
La colangite biliare primitiva è «una patologia che generalmente può avere una lenta ma progressiva evoluzione verso fibrosi»
dell’ospedale Papa Giovanni -: ittero, scompenso, noduli del fegato, eventualmente con la possibilità di trapianto come unica terapia risolutiva, quando la patologia è avanzata». Per trattare la colangite biliare il farmaco di prima linea è l’acido acido ursodesossicolico, «ma purtroppo c’è un 40-50% di pazienti che ha una risposta non ottimale – aggiunge il medico -. Per questi pazienti, fino a qualche anno fa non c’erano strategie alternative. Poi dal 2017 si è resa disponibile la terapia con l’acido obeticolico, con effetti positivi sul rallentamento della patologia». Sono circa 30 i pazienti del «Papa Giovanni» in questa situazione, quella appunto al centro della diatriba tra istituzioni europee.
Il problema dei controlli
Ma perché l’uso del farmaco rischia di essere bloccato? «L’autorizzazione del 2017 – precisa Viganò – era condizionata a ulteriori dati da fornire nel corso del tempo all’Ema. La sperimentazione, sviluppata in Italia grazie a ricercatori italiani, è così proseguita con uno studio randomizzato in cui un gruppo di pazienti seguiva il trattamento e un altro gruppo assumeva del placebo. Ma c’è un problema: col farmaco già in commercio, e a fronte di una malattia così rara, anche il gruppo di controllo col placebo ha seguito comunque il trattamento col farmaco. Di conseguenza, i dati sull’efficacia non mostravano differenze significative tra i due gruppi, e perciò l’Ema ha revocato l’autorizzazione.
«Questa è una patologia rara, il farmaco a base di acido obeticolico risolveva buona parte dei problemi dei pazienti. Auspichiamo che l’Ema prosegua nell’autorizzazione»
E questo nonostante in sette anni di disponibilità si sia contribuito molto alla conoscenza sull’efficacia e la sicurezza tramite la pratica clinica reale». In sostanza, l’Ema avrebbe bloccato l’autorizzazione a causa di un «bias» nell’interpretazione dei dati (una distorsione dei risultati dello studio), ed è anche per questo che la Corte di giustizia europea è intervenuta per confermare invece l’impiego del farmaco. Il mondo scientifico e la rete delle associazioni dei pazienti si sono mobilitati per chiedere che il farmaco venga ancora autorizzato, in attesa dei prossimi provvedimenti: «Lo stop comporterebbe un grosso problema, c’è preoccupazione per un’eventuale nuova revoca – rileva Mauro Viganò -. Questa è una patologia rara, il farmaco a base di acido obeticolico risolveva buona parte dei problemi dei pazienti. Auspichiamo che l’Ema prosegua nell’autorizzazione».
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