«Cancro, guarigioni in continuo aumento. La sfida: migliorare la qualità della vita»

LOTTA AI TUMORI. Zambelli («Ospedale Papa Giovanni»): «Ora serve cambiare paradigma: la ricerca punti anche a mitigare gli effetti collaterali delle terapie».

I numeri sono importanti e in aumento, perché in crescita è la sopravvivenza dopo la diagnosi di tumore. Ma dietro le cifre scorrono le vite condizionate dal cancro: oltre 40mila bergamaschi – quasi il 4% della popolazione totale – convivono con un percorso di cura o sono arrivati alla guarigione. I dati, contenuti in documenti pubblici elaborati dall’Ats di Bergamo e riferiti alla fine del 2023, rilevano infatti 24.744 persone con una «neoplasia attiva», cioè che stanno affrontando un percorso terapeutico, e altre 15.945 in follow-up con patologia non più attiva; numeri oggi potenzialmente ancora più ampi, considerando anche il 2024 e chi ha anche terminato il follow up. «Attualmente è in costante incremento il numero di pazienti che riesce a guarire dopo aver incontrato la patologia oncologica: un dato in crescita soprattutto negli ultimi vent’anni, grazie alla capacità di diagnosi più tempestiva determinata dagli screening, grazie ai nuovi farmaci e ai trattamenti radianti e chirurgici», premette Alberto Zambelli, direttore dell’Oncologia dell’Asst Papa Giovanni. Attorno a questa «buona notizia», come la definisce Zambelli, si aprono però molte sfide: l’impatto e le conseguenze delle cure, la ricerca clinica sulla sopravvivenza, la nuova organizzazione delle strutture oncologiche in raccordo con la medicina di territorio.

«Attualmente è in costante incremento il numero di pazienti che riesce a guarire dopo aver incontrato la patologia oncologica: un dato in crescita soprattutto negli ultimi vent’anni, grazie alla capacità di diagnosi più tempestiva determinata dagli screening, grazie ai nuovi farmaci e ai trattamenti radianti e chirurgici»

«Quantità» e qualità di vita

«L’aumento della popolazione che guarisce dal cancro – ragiona Zambelli – porta con sé delle sequele legate ai trattamenti, conseguenze che nella popolazione giovane adulta sono anche più evidenti rispetto a quella anziana. Il giovane ha un’aspettativa di vita più lunga, con questioni che intercettano uno sviluppo di tempo più impegnativo. L’esempio tipico è la fertilità, oppure la mastectomia nella giovane donna con i suoi risvolti psicologici, oppure ancora le conseguenze sulle funzioni d’organo: pensiamo alla laringectomia con perdita della voce in una persona giovane che svolge determinate professioni». Per questo, l’oncologia assume una prospettiva di più lungo orizzonte: «È necessario non solo che si abbia un focus sulla sopravvivenza dalla malattia, ma anche su trattamenti che possano essere meno mutilanti nell’ottica di una guarigione futura – aggiunge Zambelli -. È dunque importante guadagnare non solo in “quantità” di vita, ma anche in qualità di vita».

Vivere con un tumore – alcune patologie possono avere cure che si protraggono per anni, quasi cronicizzando la patologia – o vivere dopo il tumore ha implicazioni anche normative: per questo la recente legge sull’oblio oncologico, che permette alle persone guarite di non dover più condividere le informazioni sul proprio stato di salute ad esempio in caso di sottoscrizione di un mutuo, «è una conquista perché libera dal passato – rileva Zambelli -, un risultato molto importante delle associazioni oncologiche riconosciuto anche dalla comunità scientifica, che consente di andare oltre lo stigma».

«Non c’è solo il parametro della sopravvivenza – spiega l’oncologo - ma si devono assumere anche i “patient reported outcome”, cioè quello che il paziente avverte su se stesso come il risultato dei trattamenti ricevuti»

E se l’oncologia ha concentrato a lungo la ricerca clinica sull’ambito della fase acuta, «deve ora cambiare paradigma e occuparsi della ricerca clinica anche nella fase della sopravvivenza – rimarca Zambelli -. L’obiettivo primario è la sopravvivenza, certo, ma incorporando in maniera sistematica la ricerca volta a mitigare gli effetti collaterali, senza perdere in vantaggi terapeutici». Dal punto di vista scientifico, occorre adottare più «metriche»: «Non c’è solo il parametro della sopravvivenza – spiega l’oncologo - ma si devono assumere anche i “patient reported outcome”, cioè quello che il paziente avverte su se stesso come il risultato dei trattamenti ricevuti: sono valutazioni che possono portare i trattamenti verso una maggiore sostenibilità. In quest’ottica, è preziosa anche la collaborazione con le associazioni dei pazienti, per la loro vicinanza umana e sensibilità».

Negli ultimi decenni, in più Paesi d’Europa, si stanno testando nuovi modelli: quello centrato sul medico di famiglia, quello centrato su un lavoro condiviso tra lo specialista oncologo e il medico di famiglia, e quello centrato sull’infermiera oncologica

Una nuova organizzazione

Così, lo sguardo al futuro si posa pure sull’effettiva organizzazione del sistema sanitario. «Il modello centrato solo sullo specialista oncologo non è più sostenibile per via dei numeri, e non è neanche più così efficiente ed efficace: serve lavorare su modelli alternativi rispetto al follow-up attuale, incorporando una maggiore attenzione ai “lungosopravviventi” – spiega Zambelli -. Negli ultimi decenni, in più Paesi d’Europa, si stanno testando nuovi modelli: quello centrato sul medico di famiglia, quello centrato su un lavoro condiviso tra lo specialista oncologo e il medico di famiglia, e quello centrato sull’infermiera oncologica. Sono tutti modelli che riconoscono una dimensione individuale e personalizzata della sorveglianza oncologica: il rapporto col medico di famiglia è fondamentale, perché è la persona che conosce meglio la storia di un paziente e con cui c’è il rapporto più diretto e consolidato». È l’ulteriore sfaccettatura di un nodo decisivo: «La crescente attenzione sul rapporto ospedale-territorio – conclude Zambelli – diventa cruciale anche per la patologia oncologica, per garantire la prossimità ai cittadini anche in questo ambito».

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