Una beffa crudele, colpo di coda di una partita strana

ITALIA. Un cartellino da timbrare. Un apostrofo grigio, per dirla alla Cyrano de Bergerac, tra le parole «festa» e «Supercoppa». Quella con il Real Madrid, che fino a Ferragosto ci sogneremo sotto l’ombrellone.

Poi sì, è sfumato il terzo posto finale e un po’ ci avevamo fatto tutti la bocca. Ma non è stato un pomeriggio normale quello con il quale il destino (servendosi anche di espedienti tragici come la scomparsa di Joe Barone) ha voluto che l’Atalanta chiudesse la sua indimenticabile stagione. Regalandole un palcoscenico tutto per sé, quasi vi fosse stata richiamata per un ultimo bis mentre gli altri attori dello spettacolo le avevano lasciato la ribalta concludendo il campionato una settimana prima.

Pomeriggio strano, quello di ieri. Con gli sconfitti a proseguire la loro festa infinita raccogliendo applausi sotto la curva. Con i vincitori a chiedere scusa ai loro tifosi sotto lo spicchio riservato agli ospiti dopo aver fallito tutti gli obiettivi stagionali. Ma la cosa più strana di tutte è stata l’uscita di scena da eroe di una figura, l’arbitro, che in condizioni normali quando va bene passa inosservato, mentre se su di lui si accendono i riflettori è un brutto segno. Daniele Orsato invece, il miglior direttore di gara italiano costretto alla pensione dalle regole anagrafiche (ma prima farà gli Europei), ha chiuso la sua partita numero 290 in Serie A fra gli applausi di tutti: pubblico, giocatori, allenatori. Lo meritava. E c’è da pensare che, visto il livello medio dei suoi colleghi, il calcio italiano lo rimpiangerà.

Come rimpiangerà, purtroppo a lungo, Giorgio Scalvini, al quale un movimento anomalo nei minuti finali della partita più inutile degli ultimi anni ha provocato uno degli infortuni più temuti (rottura del legamento crociato anteriore del ginocchio sinistro) infrangendo anche il sogno dell’Europeo in maglia azzurra. Una prova terribile, dopo aver siglato il gol del momentaneo 2-2. Un monito, se ce ne fosse bisogno, su quanto sia fragile, nel calcio come nella vita, il confine fra gioia e dolore, fra luce e tenebre, fra vetta e abisso.

Ma Scalvini è giovane. Si rifarà. Lo garantiscono le parole, ma soprattutto lo sguardo del Gasp, nella pancia del Gewiss Stadium, prima ancora che si conoscesse la diagnosi: «Qualunque cosa sia, lo rimetteremo a posto. E tornerà più forte di prima».

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