Jannik che vince alla Nole è il segno di una nuova era

L’ANALISI. Nella settimana dell’addio al tennis di Rafa Nadal, il successo di Jannik Sinner nella finale del Master 1000 di Shanghai su Nole Djokovic – sotto gli occhi di Roger Federer e Carlos Alcaraz – ha il sapore di un passaggio di consegne generazionale.

Anche se Djokovic, l’ultimo samurai dei Fab Three che rifiuta di arrendersi, è ancora in grado di dare fastidio. E lo farà. Ma è emblematico il fatto che Jannik abbia vinto la terza sfida consecutiva con quello che lui stesso definisce «una leggenda». E l’abbia fatto «alla Djokovic», cioè alzando il suo livello col pilota automatico per adeguarlo alle esigenze del momento e alle caratteristiche dell’avversario. Dote che è sempre stata la prerogativa del serbo. Sinner chiuderà l’anno da numero 1 al mondo ed è giusto così, perché nessuno ha avuto la sua impressionante continuità di rendimento. Alcaraz, il grande rivale , alterna picchi di rendimento impressionanti a passaggi a vuoto sconcertanti. L’ultimo proprio a Shanghai in questi giorni.

Sinner chiuderà l’anno da numero 1 al mondo ed è giusto così, perché nessuno ha avuto la sua impressionante continuità di rendimento

Mettete Sinner in sella a una bicicletta e avrete Tadej Pogacar. Stessa testa, stessa voglia di vincere, stesso strapotere fisico, stessa qualità del gesto tecnico, riferito ovviamente alle rispettive discipline. Quello che manca allo sloveno in un certo senso è… Alcaraz, ovvero l’Avversario con la «A» maiuscola. Coppi è stato grande anche perché ha avuto contro Bartali, Merckx perché ha avuto contro Gimondi, Pantani (finché è stato Pantani) perché ha avuto contro addirittura il Fato. Che non essendo riuscito a sconfiggerlo con gli infortuni (anche gravi) a ripetizione, ne ha enfatizzato le fragilità indirizzandolo a una tragica fine.

Prossima sfida: la Milano-Sanremo. Magari staccando tutti sul Poggio, salita che nel ciclismo moderno ha ormai smesso di fare la differenza. Ma a questo Pogacar, per fare la differenza, non serve nemmeno un cavalcavia, come si diceva una volta. Gli basta il dosso artificiale di una Zona 30

Pogacar, è vero, deve fare i conti con fior di corridori, ma pensateci bene: Vingegaard fa solo il Tour, Van der Poel fiorisce solo a primavera (Fiandre e Roubaix), Evenepoel in estate (doppio oro alle Olimpiadi, dove però Pogacar non c’era). Lui vince in linea e a tappe. In inverno (Strade bianche), in primavera (Giro), in estate (Tour) e in autunno (Mondiale e Lombardia). Prossima sfida: la Milano-Sanremo. Magari staccando tutti sul Poggio, salita che nel ciclismo moderno ha ormai smesso di fare la differenza. Ma a questo Pogacar, per fare la differenza, non serve nemmeno un cavalcavia, come si diceva una volta. Gli basta il dosso artificiale di una Zona 30.

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