La Buona Domenica / Hinterland
Domenica 05 Gennaio 2025
«Una vita tra rally e monti, poi la malattia. Ma lo sport è l’ancora cui aggrapparmi»
LA STORIA. Fausto Clivati, la diagnosi di rettocolite cronica e un lungo percorso di cure, anche grazie ai gruppi di auto-aiuto.
Se la vita potesse avere una colonna sonora, come nei film, quella di Fausto Clivati sarebbe il rombo di un motore, che «quando va bene è una musica incomparabile» come diceva il pilota argentino Juan Manuel Fangio.
Le automobili sono il suo elemento, e gli piace stare con le mani immerse nel cofano, scurite dal grasso, sempre al lavoro nell’officina che gestisce con il fratello a Treviolo. A fargli compagnia le vecchie foto e i trofei conquistati quando entrambi gareggiavano nei rally, memorie di un passato ruggente, sempre in viaggio, a caccia di avventure e nuovi traguardi.
Mai smettere di sognare
Quelle immagini sono lì per ricordargli che non bisogna mai smettere di sognare, neanche nei momenti più bui. Ce ne sono stati molti, purtroppo, negli ultimi undici anni, da quando ha scoperto di soffrire di rettocolite ulcerosa, una malattia infiammatoria cronica intestinale (Mici). «Sono uno che non molla - dice -. Ho cercato di portare avanti comunque le mie passioni, perché mi danno speranza, mi fanno sentire che la vita è bella».
L’amore per la montagna
Originario di Palazzago, 69 anni, la montagna e la natura sono parte integrante del suo «lessico familiare»: «Mia nonna era di Albenza, tra Palazzago e Almenno, quando ero piccolo partendo da casa sua andavamo sempre a passeggiare e a cercare funghi. Col tempo ho imparato a riconoscere quelli commestibili e a individuare i posti dove trovarli. Conoscevo ogni sentiero, ogni albero di quella zona, e così è nato un interesse per la natura e per la montagna che continua anche oggi. Per molto tempo, però, ho smesso di fare escursioni. Ho ripreso in modo sistematico solo dopo i cinquant’anni, programmando uscite ogni domenica e dotandomi di un’attrezzatura specifica per il trekking. Ho iniziato a uscire con gli amici e dopo aver esplorato i dintorni ci siamo spinti più lontano, sui sentieri dei rifugi come Longo, Calvi, Laghi Gemelli, Baroni e altri. Quando mi sono ammalato questa attività sportiva è stata come un’ancora a cui aggrapparmi. Mia moglie Adriana, mia figlia Cinzia, mio fratello Claudio con tutta la mia famiglia e i miei amici mi hanno sempre incoraggiato, mi sono stati vicini e mi hanno aiutato a sdrammatizzare e a superare le crisi peggiori».
Lo sci alpinismo
Sportivo, in forma e in buona salute, «non avevo mai visto un medico» racconta Fausto con un sorriso. Dopo una gita a Piazzatorre ha scoperto per caso lo sci alpinismo, iniziando a praticarlo a 56 anni: «Ho visto che avrei potuto coprire le stesse distanze in tempi dimezzati e divertirmi di più. Così ho comprato gli sci e ho imparato a usarli. Mi sono detto che con un buon allenamento a 60 anni avrei potuto regalarmi un’esperienza di “Heliski”, sci fuoripista da fare usando l’elicottero come mezzo di risalita. Il destino, però, ha deciso diversamente. La malattia, purtroppo mi ha costretto a rinunciare a questo mio sogno».
La scoperta della malattia
Fausto nei due anni che hanno preceduto l’esordio dei primi sintomi ha affrontato un periodo faticoso, di forte stress personale e professionale: «Secondo quanto mi è stato spiegato in seguito dagli specialisti, questo può aver favorito la comparsa dei disturbi, anche se all’origine della patologia c’è una predisposizione genetica. All’inizio sembrava una forte gastroenterite. Poi mi sono accorto che, nonostante le cure, stavo sempre peggio, in modo preoccupante. La malattia mi ha creato molti impedimenti, anche sul lavoro. Dolore e fastidio sono cattive compagnie. Avevo la sensazione di aver perso il controllo della situazione».
Il percorso di cura
Si è rivolto all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, dove ha incontrato Paolo Ravelli, allora direttore dell’Unità di gastroenterologia ed endoscopia digestiva: «Ci siamo intesi subito, mi sono affidato con fiducia a lui, che fin dalla prima visita mi ha diagnosticato la rettocolite ulcerosa, ottenendo poi conferma dalle analisi. Mi ha seguito con sollecitudine e con umanità e sensibilità rara. Fra noi è nata un’amicizia che ha superato il rapporto tra medico e paziente. Nei tre anni successivi, purtroppo, la malattia non si è arrestata e mi ha fatto passare l’inferno».
Terapie e tanto lavoro
Fausto ha seguito diversi tipi di terapie, ma nessuna sembrava dargli sollievo: «Non ho mai mollato il lavoro e finché ne ho avuto la forza sono sempre andato in montagna, portando con me in uno zainetto il necessario per affrontare imprevisti e crisi improvvise, però è stato un periodo difficilissimo. Ho perso peso, sono passato da 72 chili a 42, sembravo l’ombra di me stesso. Guardandomi allo specchio non mi riconoscevo».
«Mi è capitato di andare in montagna e di pensare che sarebbe bastato mettere un piede in fallo per finire tutto»
Per un uomo come lui, abituato a vivere spingendosi al massimo della resistenza fisica, fare i conti con la fragilità è stata una sfida impegnativa: «Nonostante i farmaci e i trattamenti continuavo a stare male e in questa sofferenza non c’era mai un’interruzione, una sosta che mi desse speranza. Andare avanti, in quelle condizioni, mi sembrava sempre più arduo. Mi è capitato di andare in montagna e di pensare che sarebbe bastato mettere un piede in fallo per finire tutto. Quell’idea mi ha spaventato, mi ha scosso, spingendomi a riflettere su me stesso. Ho reagito con più decisione, ho trovato di nuovo il coraggio di lottare».
Nell’autunno del 2016 ha subito un intervento chirurgico impegnativo, una colectomia totale, che lo ha portato a una stomia temporanea. Una nuova prova da affrontare: «È stato un intervento debilitante, ma ha rappresentato una svolta: quando mi sono ripreso le mie condizioni sono migliorate, così è iniziata la mia rinascita».
Le sfide quotidiane
Con ostinazione Fausto si è trovato spesso a sfidare i suoi limiti, per dimostrare a sé stesso di potercela fare. Per riprendersi sono serviti tempo e pazienza: «In sei mesi, prima del secondo intervento di ricanalizzazione dell’intestino, ho recuperato poco più di un chilo. In questa occasione, comunque, ho voluto andare all’ospedale e tornare a casa da solo in auto, senza dirlo a nessuno, e ci sono riuscito».
Poi ha avuto altri due episodi di blocco intestinale. «Mi ricordo però la soddisfazione di potermi concedere di nuovo un pasto vero - ricorda -: mia moglie prepara degli ottimi ossibuchi con la polenta, sono la sua specialità. E poi potermi godere di nuovo le vacanze, andare al mare e continuare le passeggiate in montagna».
Ci sono stati episodi che l’hanno innervosito e sfiduciato, quando doveva ricorrere a medici e ospedali «in trasferta» lontano da casa: «Mi sono reso conto - spiega - che queste malattie sono difficili da trattare e non sempre le difficoltà dei pazienti vengono ascoltate e capite fino in fondo».
L’associazione Amici
In ospedale a Bergamo ha conosciuto l’associazione Amici (Associazione nazionale per le malattie infiammatorie croniche dell’intestino, www.amiciitalia.eu), diretta da Enrica Previtali. Sia a livello nazionale sia locale svolge molte attività di informazione, sensibilizzazione, sostegno alla ricerca, ai malati e alle loro famiglie: «Enrica e io siamo diventati amici, ho potuto contare su di lei in tante occasioni. Grazie a lei ho scoperto che confrontarmi con altre persone con malattie simili poteva essere utile e importante. Non sono il tipo che partecipa ai gruppi di auto-aiuto, all’inizio l’idea mi metteva a disagio. Poi però mi sono ricreduto, dopo avere scoperto con piacere gli incontri dell’associazione dove potevamo parlare di tutto. Mi è dispiaciuto quando abbiamo dovuto sospendere le attività nel periodo della pandemia».
Guardare il mondo in modo diverso
Gli è stata d’aiuto per affrontare questo percorso l’esperienza vissuta nel periodo dei rally: «Eravamo sempre in giro - racconta Fausto -, dovevamo sviluppare grandi capacità di adattamento, sopportare la fatica, affrontare i guasti e gli imprevisti, stare sempre in movimento. Sicuramente questo mi ha reso più flessibile e intraprendente, mi ha spinto a guardare il mondo e ad affrontare le difficoltà in modo diverso. Mi manca quel periodo un po’ eroico, per sentirmi vivo ho ancora bisogno di emozioni e di grandi sfide, che trovo per esempio in montagna».
Questo gli ha dato una marcia in più anche per superare altri due interventi impegnativi: «Il primo a causa di una vecchia frattura guarita male, che pochi anni fa inaspettatamente mi ha provocato un’infezione. Il secondo tre anni fa, per un aneurisma dell’aorta addominale».
Due bambini in affido
Da sei anni con sua moglie ha iniziato un’esperienza di affido con Matteo, che ora ha nove anni, e da due anni anche con il fratello gemello Francesco: «Quando se ne è manifestata la necessità li abbiamo accolti con naturalezza, gioia ed entusiasmo. Li cresciamo con amore e cura, come se fossero nostri figli. Grazie alla loro presenza in casa ci siamo rimessi in gioco e abbiamo scoperto energie che non pensavamo di avere. Stare con loro ci ha ringiovanito. Li seguiamo nelle attività scolastiche, in quelle sportive e ricreative, cercando di assecondare le loro inclinazioni, di offrire gli stimoli giusti e di sostenerli nelle difficoltà. Sono ragazzi in gamba e ne siamo contenti».
Affrontare la malattia ha fatto ritrovare a Fausto il gusto delle piccole cose: «Ho riscoperto anche gioie semplici, come incontrarmi di nuovo con i coscritti del mio paese. Dopo molto tempo senza frequentarli ho ricevuto un invito che non potevo rifiutare da Raffaella Crippa, amica e compagna di scuola, con cui sono cresciuto, e che ammiravo molto per la sua grinta e il suo impegno sportivo: ha scoperto di avere una grave malattia, ha capito che le restava poco tempo e ha voluto incontrarci per salutarci. Sono andato a quell’appuntamento per rivederla, ed è stata un’occasione inaspettata per ritrovare anche gli altri vecchi amici. Mi ha fatto piacere poter colmare gli anni di silenzio e riallacciare i legami».
Fausto ha provato in prima persona che «si può convivere con la malattia, a patto di non dargliela mai vinta. Sono le passioni e gli affetti a rendere la vita piena, a tenere accesa la fiamma». Come nelle gare di rally «comunque vada bisogna mettercela tutta e non arrendersi mai, fino in fondo».
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