Tornare a respirare dopo il trapianto. «Ora gridate la vostra voglia di vivere»

LA STORIA . Colpito dalla fibrosi cistica, Marco Boggian ha trovato nuovi amici nel gruppo «A spasso con Luisa».

Fare un respiro profondo, sentire l’aria diventare più fresca e sottile in quota, mentre lo sguardo abbraccia l’orizzonte dall’alto. È un premio abituale per chi cammina in montagna, ma per Marco Boggian, 45 anni, a causa della fibrosi cistica, era solo un sogno fino a quattro anni fa, quando ha subito il trapianto di entrambi i polmoni all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo.

Vive a Urbana, in provincia di Padova, con la moglie Doris, ma ha trovato una seconda famiglia nel gruppo bergamasco «A spasso con Luisa», che organizza passeggiate in montagna con i trapiantati, familiari e amici, alla scoperta dei paesaggi più suggestivi delle montagne orobiche. Quando ne parla, gli occhi in un attimo diventano lucidi d’emozione: «Il trapianto non deve portare a chiudersi in casa con le proprie paure ma a gridare la propria voglia di vivere. Fisicamente ho trovato questo esercizio più facile di quanto immaginassi. Dopo quattro anni e tante gite ai rifugi, dentro di me c’è ancora questo desiderio di sfida con me stesso, cerco sempre di capire fino a dove posso spingermi».

Marco è cresciuto con la compagnia scomoda della fibrosi cistica. La sorella maggiore, di quattro anni più grande, aveva la stessa malattia, ma purtroppo in una forma ancora più aggressiva, ed è morta in giovane età, quando le possibilità di cura erano minori e i trapianti meno frequenti.

La difficoltà di respirare

«È una patologia di origine genetica e interessa diversi organi - spiega -, come intestino, fegato, pancreas ma principalmente i polmoni, che producono un muco molto denso. Con il tempo, a causa di frequenti infezioni, si deteriorano e diventa sempre più difficile respirare. Non c’è ancora una cura vera e propria, anche se la ricerca ha fatto molti passi avanti. Ci sono farmaci che ne rallentano l’aggravamento e arginano i sintomi. Quando le medicine non bastano più, l’unica speranza di salvezza è il trapianto».

Marco è stato curato fin da tenera età dal Centro regionale per la fibrosi cistica di Verona, dove ha sempre potuto contare sui volontari della Lifc, Lega italiana contro la fibrosi cistica: «Grazie al loro supporto - sottolinea Doris - la vita dei pazienti è più semplice, sia dal punto di vista pratico sia burocratico». Nel caso di Marco la fibrosi cistica è progredita lentamente fino ai quattordici anni, «poi - racconta - si è fatta più impegnativa. Mi sembrava sempre di respirare attraverso una cannuccia, con fatica. Avvertivo costantemente una gran fame d’aria. L’unico sollievo era la terapia respiratoria, sono arrivato a farne fino a sei ore al giorno».

Ha portato comunque a termine con tenacia il suo percorso scolastico fino al diploma. «Non era facile tenere il ritmo - ricorda - ma fin da piccolo ho imparato ad autogestirmi con i farmaci e altri piccoli accorgimenti. I ricoveri ospedalieri erano frequenti, nonostante questo sono riuscito a ottenere il diploma di elettronica e telecomunicazioni». Ha lavorato come impiegato fino al 2018, poi con l’aggravarsi dei sintomi è stato costretto a dimettersi: «Al centro delle mie giornate c’era la fisioterapia respiratoria, continuavo a entrare e uscire dall’ospedale. Quando i medici hanno visto che gli antibiotici non riuscivano più a tenere sotto controllo le infezioni, hanno iniziato a parlarmi di trapianto».

Nel giro di un anno le sue condizioni si sono aggravate in modo significativo: «Nel 2019 i ricoveri sono diventati più frequenti. Trascorrevo due settimane all’ospedale e una a casa. Ho cercato di reagire in modo positivo e di considerare questa situazione come sfida, così ho iniziato gli esami per la candidatura al trapianto a Verona nel luglio del 2019».

«Dopo gli esami - aggiunge Doris - è tornato a casa con la prescrizione dell’ossigeno, ma non per tutto il giorno. Mi sembrava che stesse abbastanza bene. Nel giro di un mese, però la situazione è precipitata, finché una sera non ci siamo ritrovati al pronto soccorso».

L’infezione e il peggioramento

Marco è rimasto in terapia intensiva per una decina di giorni, poi si è spostato a Bergamo per altri esami, ed è tornato a Verona, finché a causa di un’infezione non è peggiorato ancora, costringendolo a un nuovo ricovero in terapia intensiva in cui si è reso necessario il ricorso alla Ecmo, una procedura di circolazione extracorporea: «È uscito dalla lista dei trapianti - prosegue Doris - e poi è rientrato quando si è stabilizzato, ma restavamo comunque in una situazione di emergenza. Abbiamo avuto molta paura in quel periodo. Il 24 ottobre l’hanno chiamato da Bergamo, perché c’erano i polmoni per il trapianto, ed è stato trasportato in ambulanza, attaccato ai macchinari. C’erano tantissime cose che potevano andare male, ma non abbiamo perso la speranza». L’intervento, nonostante le premesse, è andato bene: «Aveva perso venti chili - osserva Doris - e non aveva più forze, perciò è servita una lunga riabilitazione».

Dopo il ricovero in terapia intensiva, infatti, Marco faticava a compiere qualsiasi movimento: «Anche per stare seduto durante i pasti - sorride Marco - avevo bisogno di essere sorretto da diversi cuscini. Mi hanno aiutato a riprendere peso, a stare in piedi e camminare. Ormai però sapevo che era solo questione di tempo per riprendere le forze. Il giorno del mio quarantunesimo compleanno mi hanno trasferito a Verona. Ho festeggiato in ospedale, con una piccola torta confezionata e una candelina, perché non potevo ancora concedermi una vera festa, ma è stato un momento bellissimo. L’inizio della mia rinascita quando ci siamo resi conto che stavamo iniziando un nuovo percorso».

Doris e Marco hanno potuto festeggiare il loro decimo anniversario di matrimonio, e tutti quelli che ne sono seguiti, un traguardo non scontato: «Ci siamo conosciuti all’oratorio - dice Doris -, avevo 15 anni e Marco 4 in più. Non ha mai nascosto le sue condizioni di salute, e io ho accettato la situazione. Sapevamo che ci sarebbero stati momenti difficili, ma li abbiamo affrontati con forza, facendo fronte comune. Abbiamo superato ogni difficoltà insieme».

Ogni giorno un nuovo esercizio, una conquista in più: il ritorno alla vita per Marco è stato un susseguirsi di piccoli passi, accompagnati e sorretti dall’amore della sua famiglia, prima di tutto sua moglie e i suoi genitori. «Devo ancora prendere molti farmaci, controllare le possibilità di rigetto e la fibrosi cistica. Ogni due o tre mesi devo tornare a Bergamo per i controlli, al Centro di Verona un paio di volte all’anno. Nonostante questo non ho mai avuto l’energia, la forza, l’entusiasmo che ho adesso. Subito dopo il trapianto ho dovuto trascorrere un anno in una situazione un po’ riparata, con contatti sociali molto ridotti, che ha coinciso con la prima ondata della pandemia di Covid-19. Andavamo tutti in giro con le mascherine e questo ci ha aiutato a non sentirci a disagio. Per alcuni mesi, però, almeno fino all’estate del 2020, non è stato possibile tornare all’ospedale di Bergamo, che in quel periodo era nel pieno di una gravissima crisi. È stata una fase molto delicata, perché l’evoluzione della malattia era stata rapidissima e mi era rimasta la paura che potesse accadermi di nuovo, all’improvviso, qualcosa di imprevisto. A Bergamo sono stato seguito da diversi reparti, abbiamo incontrato persone molto disponibili, i medici e in generale tutto il personale ospedaliero ci ha mostrato cura, attenzione e vicinanza anche dal punto di vista umano, vorrei ringraziarli tutti».

Durante una visita Marco ha trovato il volantino dell’iniziativa «A spasso con Luisa»: «Mi è sembrata un’ottima opportunità per testare i polmoni nuovi e scoprire come avrebbero reagito. Per aggregarsi al gruppo bisognava prima sottoporsi a una visita medica, che è stato il primo ostacolo superato con successo. Le escursioni in quota, poi, erano sempre state una zona proibita per me, perché c’erano troppi fattori sfavorevoli: la pressione, l’altitudine, la mancanza di ossigeno, la fatica fisica. Anche per questo ero curioso di capire come avrebbe reagito il mio corpo nella nuova condizione. È stato incredibile, molto emozionante, poter camminare tranquillo, senza avvertire stanchezza. I polmoni hanno risposto subito benissimo».

Capirsi con uno sguardo

Non è stato l’unico vantaggio: «Doris e io abbiamo stretto nuove amicizie con gli altri partecipanti. Molti di loro sono trapiantati, che hanno attraversato situazioni difficili quanto le nostre. Ci capiamo con uno sguardo, anche senza parlare. L’attività del gruppo offre un aiuto prezioso per recuperare l’autostima, la fiducia nelle proprie abilità dal punto di vista fisico e psicologico».

Nella seconda vita di Marco ci sono tante nuove possibilità: «Prima del trapianto mi sembrava impossibile restare fuori per una giornata intera, o anche solo ridere senza tossire. Poco tempo fa ci siamo concessi un weekend a Roma ed è stato meraviglioso potersi godere la visita alla città senza pensieri. Prima del trapianto, infatti, quando partivamo per una vacanza dovevamo portare dei bagagli in più con i medicinali e i dispositivi per la fisioterapia respiratoria, e tenere conto dei limiti imposti dalla malattia».

Finalmente Marco ha ripreso il controllo del suo tempo: «Ci sono tante attività che posso svolgere nelle ore che prima erano occupate dalla terapia respiratoria. La mia vita è cambiata radicalmente, e non dimentico che questo è avvenuto grazie al dono di un’altra persona. Anche per questo ora partecipo alle serate di sensibilizzazione dell’Aido per la donazione degli organi, offrendo la mia testimonianza. Così rimetto in circolo sentimenti di fiducia e gratitudine».

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