La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 01 Dicembre 2024
«Se abbiamo fiducia tutto può accadere». La lezione di Stefano, forte nelle fragilità
LA STORIA. A 24 anni, con una storia di disturbi di apprendimento, sta concludendo l’università (e molto altro).
«La fiducia è il sentimento più potente che ci sia – scrive Cecelia Ahern –. Se abbiamo fiducia, tutto può accadere». È questo il filo rosso che ha guidato le scelte di Stefano Giudici, 24 anni, di Credaro, stimolandolo a viaggiare, esplorare, sperimentare, cercare la sua strada, oltre la dislessia e quei «disturbi di apprendimento» (Dsa), che hanno segnato i primi anni della sua vita scolastica.
Nel percorso ha scoperto che un’intelligenza «diversa» può diventare un punto di forza, un’occasione per rafforzare attenzione, cura e sensibilità verso gli altri. Per lui questo ha significato scegliere il corso universitario in Scienze dell’Educazione, e intraprendere tante esperienze: dal servizio civile svolto in tre sedi, in una casa famiglia per minori dell’associazione Giovanni XXII, alla Caritas e infine accanto ai senza dimora, fino all’esperienza di missione vissuta l’estate scorsa in Costa d’Avorio con le suore delle Poverelle.
La diagnosi di Dsa
La diagnosi di Dsa per Stefano è arrivata, come spesso accade, nei primi anni di scuola primaria: «Non pronunciavo bene la lettera “erre” e questo viene considerato uno dei segnali a cui fare attenzione. Ho un fratello maggiore che si è trovato prima di me ad affrontare un percorso simile; perciò, i miei genitori sono stati fin dall’inizio molto attenti ai campanelli d’allarme. Già da quegli anni si erano iscritti all’Associazione italiana dislessia (www.Aiditalia.org) per poter avere informazioni, orientamento e confronto con altre famiglie».
All’inizio Stefano ha preferito mantenere il riserbo su queste difficoltà: «Sentivo un po’ il peso di essere diverso, dover usare schede e mappe, avere verifiche differenziate. Non ho mai voluto dirlo ai compagni di classe, e fino alle scuole superiori ho preferito tenerlo per me».
C’erano tante «d» sulla sua diagnosi: «Disgrafia, disortografia, dislessia, discalculia. Un po’ di tutto ma lieve», come racconta lui sorridendo. La sua famiglia lo ha sempre sostenuto e affiancato: «I miei genitori mi seguivano nei compiti e mi accompagnavano agli incontri con gli specialisti. Allora non c’era ancora il referente per i Dsa a scuola», che sicuramente oggi rende il percorso più semplice. L’approccio di Stefano con la scuola è stato comunque positivo: «Non sono mai stato bocciato, mi è capitato di essere rimandato, ma i disturbi di apprendimento, in quel periodo, non erano stati la sola causa».
La scuola al Natta
Dopo la terza media ha proseguito gli studi all’Istituto Natta di Bergamo, seguendo l’indirizzo di chimica dei materiali: «Mi è sempre interessata la scienza, quando ho visitato questo istituto all’open day sono rimasto affascinato, e per questo l’ho scelto dopo aver valutato tante altre possibilità». Proprio negli anni della scuola superiore è iniziata la sua collaborazione con BergamoScienza: «Ho iniziato a collaborare alle attività organizzate dal mio istituto e poi ad assumere il ruolo di tutor nei laboratori che vengono proposti durante il Festival. Mi piaceva molto, così ho continuato anche dopo il diploma. I tutor sono spesso studenti universitari, che hanno il compito di presentare le attività al pubblico e fare da guida agli studenti delle superiori che partecipano. È un impegno che dura per tutto l’anno, perché la proposta di BergamoScienza si sviluppa anche al di fuori del periodo del Festival».
L’impegno in oratorio
Un altro punto di riferimento fondamentale per Stefano è sempre stato l’oratorio: «La mia famiglia è originaria di Villongo, dove ho seguito il primo ciclo di studi; perciò, sono rimasto legato a quella comunità. Frequentavo sempre l’oratorio considerandolo un po’ come una seconda casa. Ho fatto l’animatore, e partecipato a tante attività come il gruppo adolescenti e i campi estivi».
In quel luogo ha trovato ascolto, sostegno e fiducia: «Ho incontrato persone che hanno creduto in me e mi hanno fatto scoprire che anch’io ho qualcosa di bello. Questo mi ha spinto a riflettere, così subito dopo il diploma ho scelto di svolgere il servizio civile per capire meglio quale fosse la mia strada».
La data di inizio di questa nuova esperienza coincide con la diffusione della pandemia in Lombardia: 20 febbraio 2020, proprio il giorno in cui venne scoperto il primo caso di Covid 19 a Codogno. «Ero a servizio di una casa-famiglia dell’Associazione Papa Giovanni XXIII in provincia di Brescia, che purtroppo ha dovuto fermare il mio lavoro poco prima che chiudessero le scuole, perché vi risiedevano anche bambini con diverse fragilità e problemi di salute». Ha proseguito quindi alla Caritas di Villongo, dedicandosi a un compito importante e difficile in quel periodo: «Preparavo con altri volontari i pacchi di prodotti alimentari per le famiglie in difficoltà. Gestivo quella parte che di solito veniva svolta da volontari adulti e anziani. In quel periodo, però, loro non potevano uscire di casa senza mettere a rischio la vita. Preparavo un centinaio di pacchi alla settimana e gestivo un po’ tutto il processo: l’arrivo dei prodotti alimentari, lo smistamento, il controllo dell’integrità delle confezioni e della data di scadenza, l’impacchettamento e la consegna nelle case».
È rimasto a servizio di Caritas fino alla fine dell’estate 2020, e intanto nel suo cuore era maturata una nuova consapevolezza. Così a settembre ha ripreso a lavorare con l’Associazione Papa Giovanni XXIII in una comunità per persone senza dimora, e a ottobre si è iscritto all’Università, nella Facoltà di Scienze dell’educazione.
Volontario in strada
«Stavo in comunità da lunedì a venerdì, l’ho fatto per nove mesi ed è stato il primo assaggio di vita autonoma per me. Condividevo la mia vita quotidiana con gli altri volontari e le persone in difficoltà che venivano accolte. Una volta alla settimana andavamo anche a svolgere attività di volontariato nel centro di Milano, tra piazza del Duomo e San Babila. Durante il lockdown era impressionante trovare la piazza completamente vuota, incontrare solo la polizia e i senza dimora, che stavano lì in gruppo per sentirsi al sicuro. Quando le strade sono state riaperte si sono spostati nei vicoli laterali come prima, dove c’è più calma. Le loro giornate finiscono verso le 22,30-23 e ricominciano verso le 5,30-6 del mattino, quando vengono svegliati dagli agenti di polizia o dagli addetti alle pulizie delle strade».
Per strada Stefano ha incontrato persone di ogni tipo: «Alcuni erano diffidenti e violenti, a volte anche fisicamente. Altri erano più tranquilli, accoglienti e ben disposti nei confronti dei volontari. Mi è rimasto impresso un ragazzo che viveva in tenda con il suo cane Nerone, vicino a due amici ed era mio coetaneo».
Così Stefano ha trovato occasioni sempre nuove per mettere in pratica una passione educativa cresciuta in lui piano piano: «Durante l’università ho svolto il tirocinio in una comunità per minori delle suore delle Poverelle e mi hanno assunto; perciò, ho lavorato lì per un anno. Poi ho deciso di cambiare e una cooperativa di Brescia mi ha affidato un Centro ricreativo estivo. Attualmente seguo due oratori della diocesi di Brescia, occupandomi in particolare dei gruppi di adolescenti e preadolescenti».
In tutte queste esperienze l’aver sperimentato sulla sua pelle una forma di fragilità gli ha dato una marcia in più: «Mi ha permesso, per esempio, di riconoscere con più attenzione le difficoltà negli altri. Ho uno sguardo più allenato, una sensibilità più sviluppata, qualche strumento pratico».
All’università ha elaborato un metodo di studio personale: «Rispetto alle superiori ho notato un po’ più di distacco, bisogna essere più autonomi. Ci sono, comunque, diversi servizi per gli studenti con Dsa: per esempio si può avere come tutor un altro studente, oppure usufruire di attività di tutoring didattico svolte dai professori per tutti, con particolare attenzione ai Dsa».
Il suo percorso universitario si sta avviando alla conclusione, gli mancano cinque esami, ma il suo bagaglio, nel frattempo, si è arricchito molto: «Mi piace conoscere posti e situazioni nuove, sperimentare attività diverse, lo trovo stimolante. L’esperienza per me è il miglior modo per imparare. Anche in ambito lavorativo non ho mai dovuto cercare lavoro. Quando ho lasciato la comunità per dedicarmi allo studio nell’arco di un anno mi sono arrivate tre proposte diverse di lavoro. Questo ha contribuito ad alimentare la mia autostima e a rafforzare la fiducia in me stesso».
Stefano ha seguito fra l’altro un corso specifico per tutor dell’apprendimento, per affiancare bambini e ragazzi con Dsa, Bes, Adhd, iperattività e altro: «Non ho ancora avuto occasione di mettere in pratica ciò che ho imparato, ma forse capiterà in futuro».
Volontario anche in Costa d’Avorio
L’estate scorsa è partito con un gruppo di giovani degli oratori di Villongo e Chiuduno per un periodo di missione in Costa d’Avorio con le suore delle Poverelle: «Non ero mai uscito dall’Europa, anche per questo è stato un viaggio particolarmente bello e interessante. In questo Paese la situazione è abbastanza buona rispetto ad altre zone dell’Africa. Restano comunque alcune criticità, per esempio la situazione sanitaria non è idilliaca, come abbiamo avuto modo di constatare facendo volontariato in ospedale. Le persone non hanno niente più del necessario, ma sono comunque molto serene».
Pensa al futuro come possibilità, con uno sguardo pieno di fiducia e speranza, convinto che sia meglio «Aggiungere vita ai giorni che giorni alla vita» come dice Rita Levi Montalcini: «Sono pronto ad aprirmi a nuovi orizzonti, a cogliere le possibilità che la vita mi offre, felice ogni volta che posso mettermi alla prova in qualcosa di nuovo».
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