Scrigni di vita e di speranza nei lavori dei ragazzi delle Comunità per minori

LA MOSTRA DI AEPER. Attraverso l’arte hanno imparato ad affrontare le loro fragilità e a raccontarsi in modo nuovo.

Sembrano piccoli gioielli, illuminati da sottili fasci di luce, gli «Scrigni» realizzati dai ragazzi della Comunità residenziale per minori Aquilone e della Comunità educativa diurna Frisbee di Aeper a Scanzorosciate con l’artista Clara Luiselli. Sono architetture delicate di materiali semplici, come carta, nastro, velcro e ritagli di giornale, trasformate in oggetti d’arte dallo sguardo e dall’intenzione, attraverso un breve processo di ricerca, riassunto in due pomeriggi di lavoro.

Cimentarsi in questo lavoro creativo, come spiega Clara, è stato come compiere un viaggio «per mettersi in contatto con quella parte dell’anima dove si nascondono sogni, desideri, emozioni. Ognuno ha inserito nella sua opera una parte di sé».

Cimentarsi in questo lavoro creativo, come spiega Clara, è stato come compiere un viaggio «per mettersi in contatto con quella parte dell’anima dove si nascondono sogni, desideri, emozioni. Ognuno ha inserito nella sua opera una parte di sé». Lungo il percorso questi adolescenti, tra gli 11 e i 15 anni, accompagnati dai loro educatori, hanno scoperto che non esistono nodi impossibili da sciogliere, e che nel loro cuore possono sempre trovare nuove ali per volare.

Gli «Scrigni» sono esposti fino al 30 giugno nell’ex cinema della struttura «Comunità al centro», in una mostra che fa parte del Festival diffuso «Prossimi futuri» di Aeper (aperta ogni sabato ore 10-12, giovedì 17-19, domenica 10-12, oppure su prenotazione tel. 3457006689, altre info su www.cooperativaaeper.it). Il Festival proseguirà per un anno intero con diverse azioni culturali, mettendo l’accento su sguardi, legami e azioni di cura.

L’esperienza del laboratorio, come spiega Francesco Pisano, educatore della Comunità Aquilone, ha offerto un’occasione per sperimentare «l’educazione nel suo senso etimologico, dal latino educĕre: un’azione che permette di “tirare fuori” le migliori capacità dei ragazzi. Pensiamo che sia un compito esclusivo degli adulti, in realtà in questo caso a fare da mediatore è stato un laboratorio d’arte, in cui i protagonisti erano loro». Come scrive Rabelais, aiutare un adolescente a crescere non è «riempire un vaso, ma accendere un fuoco».

Raccontarsi per immagini

Clara Luiselli ha chiesto ai ragazzi di costruire il loro scrigno come se fosse «il loro corpo». Sono opere composte «a strati», da quelli superficiali ai più profondi, tutti custoditi da un sigillo: «Come accade nella vita – sottolinea l’artista –, ognuno può aprirsi e raccontare ciò che si sente. Si può mostrare agli altri solo alcuni aspetti di sé e celarne altri, in modo libero e senza forzature». Nel laboratorio si sono ritrovati ragazzi con diversi tipi di fragilità; alcuni hanno un passato difficile, altri sono di origine straniera e a volte non conoscono ancora la lingua italiana.

«Il laboratorio per loro è stata un’occasione – osserva Lisa Maffioletti, educatrice della Comunità Aquilone –. Qualcuno molto timido si è sentito finalmente in grado di comunicare qualcosa di sé anche se non parla la nostra lingua, superando questa difficoltà di esprimersi. Se di solito sono gli educatori a spiegare e raccontare, questa volta siamo stati un po’ in disparte, ci siamo messi ad ascoltare e molti aspetti che sono emersi ci hanno meravigliato, hanno fatto crescere anche noi».

La scelta delle immagini, come chiarisce Francesco, è stata fatta con molta lucidità e consapevolezza: «L’arte per i ragazzi di origine straniera è diventata un modo per aggirare le barriere linguistiche, ci ha permesso di conoscerli meglio».

La scelta delle immagini, come chiarisce Francesco, è stata fatta con molta lucidità e consapevolezza: «L’arte per i ragazzi di origine straniera è diventata un modo per aggirare le barriere linguistiche, ci ha permesso di conoscerli meglio». Qualcuno di loro ha voluto dare forma ai ricordi più confortanti nei video che gli educatori hanno realizzato per dare forma e traccia al percorso compiuto: «Ho messo come sigilli – spiega un giovane egiziano – alcuni animali che mi ricordano il mio Paese». C’è chi invece ha posto l’accento sul suo percorso di migrazione: «Ho inserito nell’immagine più interna la scritta “partenze”– aggiunge un altro ragazzo –, perché per arrivare in Italia ho dovuto affrontare un viaggio molto complicato».

Il pensiero alla famiglia

La famiglia, spesso lontana, resta un punto di riferimento: «Ho scritto la data in cui mia madre ha deciso di cambiare vita – racconta una giovane – e ho inserito l’immagine di una colomba, perché lei per me è un angelo». La parola «mamma» nel suo scrigno è al centro di un cuore, per sottolinearne il significato. «Di fronte a questo racconto – ricorda Clara – mi sono stupita ed emozionata».

Per i ragazzi che vivono in una comunità per minori, sottolinea Lisa, «non è facile immaginare un futuro felice, è un tema delicato e complesso. Spesso ne hanno una visione cupa, noi cerchiamo di aiutarli a concentrarsi sul presente e a viverlo il meglio possibile. Questa attività gli ha permesso di rielaborare il loro passato, ma anche di pensare ai loro sogni, e capire che anche loro possono avere ciò che desiderano dalla vita».

Qualcuno ha trovato nuove motivazioni nel laboratorio, aprendo orizzonti con l’immaginazione: «Quando uscirò dalla comunità – dice una ragazza – mi immagino cose belle, mi piacerebbe studiare informatica». Sono soprattutto i più giovani a lasciar correre la fantasia, accostando fiori e ali di farfalla e aggiungendo «uno specchio che mi chiede di essere bella».

Ogni scrigno, chiarisce Clara «è una specie di autobiografia che si dipana attraverso l’apertura delle porte. Ogni volta che se ne apre una, togliendo il sigillo si svela una parte di sé, facendo affiorare chi sono, chi amano, quali sono i loro desideri. Abbiamo fatto dei collage ritagliando immagini da riviste, sapendo che servivano per parlare di sé in modo simbolico e non didascalico».

Smontare i pregiudizi

Questi lavori, continua Clara, possono diventare strumenti di relazione, perché «aprendo le porte si permette a qualcuno di conoscerci meglio. Leggendoli e osservandoli si può imparare a incontrare l’altro in modo gentile, con delicatezza, rispettando i limiti. D’altra parte, lo scrigno – con le sue stratificazioni – rivela che gli altri non sono necessariamente come appaiono a un primo sguardo, quindi non bisogna dare giudizi affrettati, ma dialogare per capire meglio le persone».In comunità per minori come quelle di Scanzorosciate, aggiunge Lisa, «vivono ragazzi normali, che al mattino si alzano, vanno a scuola, poi tornano, mangiano insieme, fanno i compiti, svolgono attività diverse, e con noi trovano casa. All’esterno spesso devono subire sguardi giudicanti, qualcuno li considera “strani”, alieni, e faticano molto a sentirsi accolti». Mostrare i loro «scrigni» diventa quindi un’occasione di riscatto, per smontare questi pregiudizi e mettere in luce i loro talenti e la loro originalità.

«Anche noi – commenta Francesco –, che stiamo accanto a loro tutti i giorni, a volte siamo rimasti spiazzati dalle immagini che hanno scelto, espressioni di esperienze profonde, intense e dolorose, che non erano riusciti a tradurre in parole».All’inizio qualcuno ha resistito all’invito: “Forse avevano un po’ di paura - dice Lisa - non è facile guardarsi dentro e portare alla luce una parte di sé. Alla fine, però tutti sono riusciti a realizzare qualcosa che parlasse di loro, e ne sono stati molto soddisfatti”.

L’artista ha saputo conquistarsi la loro fiducia: «Ho lasciato che ognuno seguisse i propri ritmi e inclinazioni. Sapevo che far emergere qualcosa di sé per alcuni sarebbe stato molto difficile, e che avrebbero potuto verificarsi situazioni di rifiuto o di chiusura. Non volevo che si sentissero costretti, perciò ho mantenuto molta flessibilità nel percorso. Sono stata molto lieta di vedere che tutti sono riusciti a completare il lavoro, e in alcuni momenti mi sono molto emozionata per ciò che sono riusciti a condividere».

La “terra di mezzo”

Il bilancio degli educatori è positivo: «È stata un’esperienza bella e arricchente per loro e per noi – dicono Lisa e Francesco –. Nella vita quotidiana della comunità siamo noi a gestire le situazioni e a indirizzarle. In questo caso i ragazzi sono stati protagonisti delle loro azioni, noi li abbiamo solo ascoltati e sostenuti. C’è stato uno scambio di ruoli illuminante, è stato importante e utile trovarsi in una posizione diversa da quella abituale».

Educatori, insegnanti e genitori a volte sottovalutano l’importanza dell’ascolto: «Ci poniamo spesso nella posizione di dover essere noi a spiegare, indirizzare, dare le regole – chiarisce Francesco –. invece dovremmo metterci a disposizione dei ragazzi, consapevoli che anche loro possono offrirci spunti e farci crescere dal punto di vista umano e professionale. Solo così si riesce a tirar fuori la loro parte migliore». Questa attività artistica ha creato sentieri comuni fra gli ospiti della comunità per minori e della comunità diurna: «Hanno avuto l’occasione di conoscersi meglio – spiega Lisa –, di creare gruppo anche fra loro».

Le conquiste quotidiane in una comunità d’accoglienza per minori partono da questioni che molti danno per scontate, come la frequenza scolastica: «Alcuni faticano ad andare a scuola, non riescono a integrarsi, oppure sono presi di mira dai bulli. Per noi è una soddisfazione vedere che, se vengono sostenuti in modo adeguato, riescono a superare le difficoltà e diventare più responsabili e autonomi».

Il laboratorio artistico anche in quest’ambito ha dato dei frutti: «Per qualcuno di questi ragazzi – dice Francesco – è stato un punto di partenza per iniziare a lavorare su di sé, affrontando le fragilità e individuando nuovi punti di forza. Dopo questa esperienza in generale il loro atteggiamento verso di noi è un po’ cambiato, diventando più collaborativo e positivo. Hanno capito che per noi è importante prenderci cura di loro, offrire non solo regole ma strumenti utili per la loro vita e il loro futuro».

L’esposizione «Scrigni», aperta a tutti, è anche un’occasione per far conoscere la Comunità Aquilone: «Ci piacerebbe – osservano gli educatori – che la gente avvertisse il desiderio di avvicinarsi e di conoscere meglio la nostra realtà, lasciando da parte i pregiudizi e cercando di conoscere, capire e accogliere questa “terra di mezzo” tra scuola e famiglia, che ha un ruolo di cura delicatissimo».

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