Sclerosi multipla, un inquilino antipatico. La passione per la bici aiuta a resistere

LA STORIA. Andrea Abate a 29 anni riparte dopo il trapianto dal sogno di lavorare come meccanico delle due ruote.

Due ruote, i piedi sui pedali e il cuore pieno di sogni: con la sua bici Andrea Abate, 29 anni, esercita una personale forma di resistenza alla sclerosi multipla. Una malattia invisibile, che si presenta in mille modi diversi e che Andrea definisce con ironia «un inquilino antipatico e disturbatore che non se ne vuole andare». «Solo in bicicletta - scrive Alessandro D’Avenia nel romanzo “Cose che nessuno sa” - puoi sorprendere le cose senza essere visto, come sanno fare i poeti». Andrea durante i suoi giri per la città «a pedalata lenta» trova così le sue ispirazioni e nuove sfide da affrontare, perché «la diagnosi non mi ha fermato».

Le grandi passioni

C’è una cartella nel suo computer che si chiama «sogno» e lui ci mette le foto di capannoni e magazzini che trova in rete, luoghi con un fascino speciale, dove gli piacerebbe, un giorno, potersi trasferire per unire le sue grandi passioni: l’arte e le biciclette. «Il laboratorio e magazzino potrebbe stare al piano terra – spiega con un sorriso – e al primo piano l’abitazione: così non avrei neanche il problema di spostarmi per andare a lavorare». Andrea guarda la vita da una prospettiva originale e libera, concentrandosi sull’orizzonte, oltre le difficoltà. Si è diplomato all’Accademia Carrara in «Tecnologie per l’arte» e come capita a molti giovani suoi coetanei si è cimentato in mille lavori: cameriere e factotum in un locale di famiglia, purtroppo chiuso a seguito della pandemia, poi grafico freelance, commesso e assistente clienti nella grande distribuzione.

«Ci ho pensato bene – sorride – e mi sono accorto che i miei momenti più felici erano quelli in cui mi prendevo cura della bicicletta: le ruote, la catena, i freni. Andavo a cercare i pezzi di ricambio più adatti, la modificavo per adattarla alle mie esigenze. Per seguire la mia passione ho deciso di dimettermi e di iscrivermi a un corso di meccanica per biciclette».

Ha iniziato a usare intensamente la bici quando abitava con la sua famiglia a Pedrengo per andare all’università: «Mi permetteva di muovermi velocemente senza sottostare agli orari degli autobus. Poi ci siamo trasferiti in città ma la bicicletta è rimasto il mio mezzo di trasporto prediletto». I sintomi della sclerosi multipla all’inizio erano come un rumore di sottofondo: camaleontici, presenti ma sfuggenti: «Una volta, nel 2017 – spiega Andrea –, dopo una gita in bici è comparso uno strano formicolio alle ginocchia. L’ho attribuito alla stanchezza, forse a una posizione strana assunta in bici. È durato due settimane, poi se n’è andato, e non ho pensato di approfondire. Tempo dopo, mentre ero al bar a bere una birra con un amico, per un po’ mi si è annebbiata la vista. Anche in questo caso non ci ho fatto troppo caso, dando la colpa allo stress».

Poco dopo si è presentato un altro sintomo caratteristico della sm: «Avevo qualche disturbo dell’equilibrio, giramenti di testa, a volte per scendere le scale avvertivo il bisogno di aggrapparmi ai muri. Sono segni un po’ generici, che possono facilmente essere attribuiti ad altro. Pensando che all’origine potessero esserci dei problemi alla cervicale, su indicazione del medico ho iniziato delle sedute di massoterapia, che in effetti mi hanno dato sollievo».

Uno choc e un sollievo

Un giorno tornando in bicicletta da Milano si è accorto di alcune anomalie: «Un paio di volte ho avuto l’impressione che le gambe si fossero bloccate e non volessero più muoversi, sono perfino caduto, e non riuscivo a capire il motivo». Poi sono tornati anche i formicolii, e stavolta Andrea si è deciso ad approfondire con nuove visite e analisi: «La dottoressa di base mi ha consigliato una visita neurologica. La neurologa a sua volta mi ha visitato con attenzione, prendendo nota di tutti i miei sintomi, e alla fine mi ha prescritto una risonanza magnetica, che sono riuscito a fissare nell’arco di due mesi. Quando è arrivato il referto l’ho mostrato subito a un amico medico che mi ha consigliato di andare al pronto soccorso, senza dirmi di più. Una volta lì ho sentito i medici parlare di “malattia demielinizzante”, all’epoca sapevo poco o niente di sclerosi multipla. Quando mi hanno spiegato di che cosa si trattava è stato uno choc, ma anche un sollievo, perché da tempo avevo capito che c’era qualcosa che non andava e mi turbava molto non riuscire a trovare una spiegazione sensata. Ho fatto i miei pianti, ma per fortuna Silvia, la mia ragazza, e tutta la mia famiglia mi sono rimasti accanto con grande affetto e mi hanno aiutato moltissimo». Una delle prime domande rivolte ai medici ha riguardato la bicicletta: «Ho chiesto se potevo ancora andarci e mi hanno detto di sì, ed è stato un grande sollievo».

La scelta fra cura e trapianto

La sclerosi multipla, però, si è dimostrata davvero «un vicino rompiscatole»: Andrea ha dovuto iniziare subito terapie somministrate per infusione in day hospital, e poi si è trovato di fronte a una scelta difficile. «Gli specialisti in ospedale mi hanno spiegato che la sclerosi multipla con me si stava dimostrando particolarmente aggressiva. Perciò mi hanno proposto di passare a un farmaco nuovo, che sta dando ottimi risultati, oppure di procedere a un trapianto di midollo, una soluzione più impegnativa ma anche più efficace. Ci ho pensato un po’, ho chiesto informazioni più approfondite, e ho capito che il trapianto sarebbe stata la scelta migliore». Secondo studi recenti pubblicati negli ultimi anni e realizzati anche con il sostegno di Aism (Associazione italiana sclerosi multipla), il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche si conferma come un trattamento efficace a lungo termine nelle forme di sclerosi multipla particolarmente aggressive, che non rispondono a terapie tradizionali e progrediscono velocemente. Ed è proprio questo il caso di Andrea, che aveva un carico di lesioni elevato per la sua età: «La preparazione è iniziata nell’ottobre 2022 con un trattamento di chemioterapia, che purtroppo mi ha causato effetti collaterali significativi, fra i quali una grave infezione. Per risolvere la situazione sono stato ricoverato in ospedale, dove fortunatamente mi sono ripreso rapidamente».

Era tornato a casa da poco, ed era impegnato in una delle sue passeggiate con il fratello Federico quando è arrivata la telefonata che gli annunciava l’avvio della procedura di trapianto: «Sapevo che sarei dovuto rimanere in ospedale per tre settimane più altre tre di riabilitazione, perciò sono partito con la consapevolezza delle difficoltà che avrei dovuto affrontare. Nei primi dieci giorni, i più difficili, i medici mi hanno permesso di avere accanto mia madre Annalisa per assistermi. Era con me ogni volta che qualcosa andava storto, ed è stato impagabile».

La fatica del ricovero

I primi giorni sono stati duri: «Ho dovuto affrontare un trattamento intensivo di chemioterapia. Ho perso i capelli e sono dimagrito di dieci chili. Per farmi forza pensavo a due cose: primo che per un po’ di anni potrò mettere da parte il pensiero della sclerosi multipla, la seconda è che il mio corpo fortunatamente si è dimostrato molto collaborativo».

I dati rilevati finora sull’esito dei pazienti trattati con questo metodo dimostrano infatti, come riferisce l’Aism, che oltre il 60% dei pazienti non ha un aggravamento della disabilità dopo dieci anni dal trapianto e in molti casi si osserva anche un miglioramento del quadro neurologico duraturo nel tempo. Così Andrea ha sopportato di buon grado tutte le procedure che in un trapianto eterologo vengono di solito divise in due: metà al donatore, metà al ricevente. «Mi hanno fatto una serie di iniezioni per stimolare la produzione di cellule staminali. Poi le hanno raccolte e prelevate, e infine me le hanno rinfuse, come in una trasfusione. Sono stato dimesso dall’ospedale poco prima di Natale. È stato un periodo davvero difficile».

Andrea non ha potuto riprendere subito la vita di sempre: «Mi hanno resettato il sistema immunitario, bisogna dargli il tempo di riprendersi, per questo me ne sono dovuto rimanere confinato per un po’. Era rischioso anche solo spostarsi sui mezzi pubblici. Da Natale a oggi ho passato quindi il tempo cercando di guarire. Il mio corpo fortunatamente ha reagito bene, i medici sono rimasti favorevolmente colpiti dai risultati delle analisi. È stato un periodo di sofferenza, ma per fortuna ormai sono verso la fine della mia convalescenza. In modo molto prudente ho iniziato a uscire, anche se evito le situazioni di affollamento. Qualche giorno fa ho mandato il mio primo curriculum come meccanico di biciclette».

L’associazionismo e le riflessioni

Da quando ha avuto la diagnosi ha riscoperto anche la bellezza di far parte di un’associazione: «Sono stato per molti anni scout Cngei, ed è stata una delle esperienze formative più belle che io abbia vissuto: condividere con altri attività all’aria aperta, disciplina e valori. Quando è arrivata la diagnosi mi sono informato subito per trovare qualcuno che potesse darmi un supporto e rispondere alle mie domande. Sono stato felice di scoprire che esisteva la sezione Aism di Bergamo, dove ho incontrato nuovi amici, persone che stimo e ammiro molto. Partecipo alle attività ogni volta che posso, anche se negli ultimi mesi ho dovuto accontentarmi di contatti virtuali a causa delle mie condizioni di salute».

Il periodo del ricovero e delle terapie non è passato invano: «Il trapianto – osserva Andrea – ha rappresentato una grande sfida e mi ha insegnato molto. Due mesi in ospedale sono lunghi. Ho avuto tempo per riflettere e mi sono reso conto che prima anch’io davo tanto peso a cose futili. Da lì in poi invece ho imparato a concentrarmi solo su ciò che considero importante. È stato un momento prezioso per riflettere sulla mia vita e lasciar perdere il superfluo. Prima per esempio tendevo a essere critico nei confronti degli altri, ora ho imparato a sospendere il giudizio, ad ascoltare, ad accettare le persone come sono».

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