Sara e quel tumore che non l’ha piegata. «Ora volontaria con le donne operate»

TESTIMONE DI SPERANZA. Sara Fusini racconta il rapporto con la malattia, con la figlia che ha cresciuto e con le cure.

«C’è stato un tempo per piangere, un tempo per combattere, un tempo per sperare. Oggi è tempo di splendere». Così Sara Fusini, 47 anni, di Costa di Mezzate, ripercorre la sua storia, con un sorriso da cui traspare molta luce. All’interno di un polso ha un tatuaggio con la parola «Survivor», con il fiocco rosa che è diventato il simbolo della lotta contro il tumore al seno. Quattordici anni fa le hanno diagnosticato un cancro «triplo zero», per il quale sembravano pochissime le speranze di sopravvivenza. Sua figlia Sofia allora aveva quattro anni, e Sara ha combattuto con tutte le sue forze per non lasciarla sola.

Oggi continua la sua professione nell’ambito della formazione per le aziende, si impegna come volontaria con le Pink Ambassador, per raccogliere fondi a sostegno della ricerca, e con l’associazione Cuore di Donna nella Breast Unit dell’Asst Bergamo Est, per affiancare e sostenere le donne che come lei combattono contro il cancro.

La scoperta del tumore

La malattia si è presentata all’improvviso: «Avevo 33 anni, era ancora presto per rientrare nei programmi di prevenzione. Mi sono accorta per caso di avere un nodulo piuttosto grande nel seno, e mi sono rivolta al mio medico, che mi ha consigliato di andare subito al centro senologico, dove sono stata sottoposta alle prime visite, ecografia, mammografia, ago aspirato. Il tumore era di 3 centimetri».

Una notizia che ha colto Sara del tutto impreparata: «Mia figlia era ancora piccola, mi è

«Mia figlia era ancora piccola, mi è crollato il mondo addosso»

crollato il mondo addosso». Al secondo controllo la massa era già raddoppiata: «All’ospedale Papa Giovanni XXIII mi ha ricevuto direttamente il primario Privato Fenaroli, direttore della senologia. Mi ha confermato la diagnosi di cancro al seno, e mi ha invitato a recarmi subito in oncologia, perché non c’era tempo da perdere. Mi ha detto comunque fin dall’inizio di stare tranquilla e che ci saremmo rivisti dopo un anno, perché in quel momento non era possibile intervenire chirurgicamente».

Era dicembre, la settimana prima di Santa Lucia, la città scintillava di luci che contrastavano con la preoccupazione di Sara. «Non era facile accettare la situazione – osserva –. Ho chiesto all’oncologa di iniziare le chemioterapie dopo la festa, per avere qualche giorno a disposizione per prepararmi e stare serenamente con mia figlia. Nel frattempo, ho chiesto dei consulti a Pavia e a Milano, ma non ho ottenuto pareri rassicuranti: mi hanno detto che con un cancro come il mio, triplo zero, una delle forme più aggressive, le speranze di sopravvivenza non erano buone. Mi hanno detto che il rischio di recidiva era altissimo. Nuovi esami non hanno evidenziato la presenza di metastasi, e questo mi ha dato il coraggio di andare avanti. Ho cercato di affrontare la situazione a viso aperto, mettendoci tutta la mia energia positiva. Mi sono concentrata su quanto mi aveva detto il dottor Fenaroli. All’ospedale di Bergamo mi hanno sostenuto, accompagnato e incoraggiato in ogni momento».

Il dialogo con Sofia

Sara ha intrapreso la chemioterapia senza mai abbattersi: «Mi presentavo alle sedute truccata e con il tacco 12, perché la mia vita era così e non volevo cambiare per colpa della malattia. Il venerdì sera andavo a ballare con le mie amiche e trovavo sempre un modo per scherzare sulla mia condizione». Dopo il primo ciclo di chemioterapia Sara ha perso i capelli: «È stata dura, gli effetti collaterali sono stati molti. I dolori articolari in particolare sono proseguiti per anni, impedendomi di svolgere attività sportive. A volte ero molto debilitata e in alcuni momenti è stato inevitabile il ricovero in ospedale».

«Il cancro ha iniziato a regredire, la massa si restringeva, questo mi ha dato molta speranza»

I risultati però erano incoraggianti: «Il cancro ha iniziato a regredire, la massa si restringeva, questo mi ha dato molta speranza». Fin dall’inizio ha parlato della malattia con la piccola Sofia, in modo adatto alla sua età: «Quando ero ricoverata in ospedale veniva a trovarmi. La sera prima dell’intervento ho trovato sul mio comodino una sorpresa: i suoi angioletti e i lavoretti che aveva realizzato alla scuola dell’infanzia. Mi ha detto “domani ne avrai molto più bisogno tu”. È stato un gesto molto tenero e spontaneo. Mi è sembrato un segno, perché lei non sapeva del ricovero, sono stati il suo intuito e la sua sensibilità a guidarla. L’ho considerato un segno, mi sono sentita accompagnata dal suo amore, come un augurio, perché tutto andasse bene. E alla fine è stato proprio così».

Il percorso di cura di Sara è proseguito con le sedute di radioterapia: «Le ho sopportate meglio perché ormai sapevo che il peggio era passato. Alla fine, c’è voluto un anno, proprio come aveva previsto il dottor Fenaroli». Terminato questo periodo sono rimaste tante preoccupazioni: «Sotto alcuni aspetti quando ho concluso tutte le cure ero più inquieta di prima, senza più il riferimento dei medici e dell’ospedale mi sono sentita sola e alle prese con le mie paure. Ho dovuto riprendere in mano il mio corpo e la mia vita, tenere a bada il timore di una recidiva. Mi ha aiutato molto la vicinanza di mia figlia».

Sara si è sempre chiesta da dove fosse venuto quel tumore, e le è rimasto il desiderio di scoprirlo. «Ho richiesto degli accertamenti genetici, anche perché ero preoccupata per mia figlia. All’inizio sembrava che non fosse possibile ottenerli, ma la scienza progredisce velocemente e così, diversi anni dopo, nel 2019, mi hanno chiamato, invitandomi infine a fare una mappatura genetica. Ero incerta all’inizio, perché si sono ripresentate tutte le mie inquietudini. Se si fosse scoperto che il tumore era di origine genetica, mi sarei trovata a fare scelte difficili. Ho deciso comunque di procedere, pensando soprattutto a mia figlia, e fortunatamente i risultati sono stati negativi, meglio così».

L’associzione alle Pink Ambassador

Ha conosciuto le Pink Ambassado r tre anni fa, attraverso i social: «Ho contattato la Fondazione Veronesi quando ho saputo dell’avvio di questa iniziativa a livello nazionale, ma in un primo momento mi avevano detto che a Bergamo non c’era ancora un gruppo a cui aggregarsi. Tempo dopo però mi sono imbattuta nel profilo di Giulia Cirelli, scoprendo che l’attività delle Pink Ambassador alla fine era partita, appena in tempo per iscrivermi. Un’opportunità provvidenziale, che ho colto al volo. Gli incontri non avvengono per caso, e conoscere Giulia mi ha aperto un nuovo mondo».

Ha intrapreso tante nuove attività con questo gruppo: «Non sentiamo il bisogno di parlare in modo esplicito della malattia. Siamo un gruppo di mutuo soccorso, in cui però il cancro viene menzionato di rado. Ci si può aiutare anche senza citare continuamente la malattia, anche se a volte ovviamente è necessario per scambiarsi consigli oppure per risolvere questioni pratiche. Direi, però, che il nostro è soprattutto un legame di vita e di amicizia. Ci offre aiuto per rileggere la nostra esperienza e andare avanti, verso nuovi traguardi».

Sara ha iniziato a correre con le Pink Ambassador: «Non l’avevo mai fatto prima e temevo di non riuscirci, a causa della spossatezza e dei dolori che mi hanno accompagnato per molto tempo dopo le terapie, invece è stata una bella scoperta, anche per merito del nostro allenatore Giovanni Bonarini, che ci segue con generosità e passione».

Ora le Pink Ambassador, ormai diventate un gruppo stabile, stanno promuovendo tante iniziative: «Ci mettiamo impegno e fantasia. Abbiamo partecipato al progetto fotografico “Oltre” di Gianluca Bonarini e Federica Masoni, con immagini di donne colpite da tumore, determinate a superare dolore e difficoltà». Una mostra itinerante che rappresenta un segno di speranza e di rinascita. Sara ha dedicato la sua partecipazione alla figlia: «Il tempo – ha scritto nel testo che accompagna le sue fotografie – contro ogni previsione mi ha permesso di crescerla. Sofia, ora che stai diventando donna, voglio farti questo dono, ecco qualcosa che rimarrà oltre il tempo, oltre me. Perché ricorda, c’è qualcosa nella donna che la tiene saldamente ancorata alla vita». Sara e sua figlia Sofia hanno compiuto insieme un percorso difficile che le ha unite ancora di più: «Credo che le difficoltà ci abbiano reso più forti».

La mostra «Oltre» sarà a Stezzano, nel palazzo del Comune, dal primo maggio (inaugurazione alle 18) fino al giorno 5. «Questo percorso – sottolinea Sara – ci permette di esorcizzare il vissuto della malattia e di trasformare la sofferenza in qualcosa di positivo».

Il suo impegno nel volontariato

Sara fa parte anche di «Cuore di donna», un’altra associazione di volontariato impegnata nella lotta contro il cancro al seno: «Una volta al mese, di venerdì pomeriggio, entro nella Breast Unit dell’Asst Bergamo Est a Seriate. Le volontarie come me sono presenti per incontrare le donne appena operate. Chiediamo loro come va, in punta di piedi, con prudenza e sensibilità. Cerchiamo di capire se hanno bisogno di qualcosa. Quando capiscono di avere davanti donne che hanno compiuto lo stesso percorso parlano liberamente, pongono tante domande, confidano le loro paure».

Così Sara mette la sua esperienza di vita a servizio degli altri: «Sono sempre stata una persona molto pratica, quando mi trovo davanti a una difficoltà cerco di affrontarla al meglio. Adesso desidero trasmettere questa positività ad altre donne. Capita che le persone ci dicano che siamo brave e generose, perché raccogliamo fondi per la ricerca e svolgiamo attività di volontariato, in realtà io trovo che queste attività mi arricchiscano molto e rappresentino un dono anche per me, perché contribuiscono al mio equilibrio e alla mia crescita personale».

Costituiscono una parte importante della sua rinascita: «Oggi – dice Sara – è tempo di essere meraviglia, di essere coraggiosamente felice, di assaporare la vita senza compromessi, di riscrivere il finale della mia vita altre mille volte».

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