Marisol e il suo taglio con il passato: «Ho sbagliato, ma ora sono rinata»

UNA NUOVA VITA. Un passato in carcere, l’esperienza in Casa Samaria, le Poverelle e il corso da parrucchiera.

Forbici, pettine e spazzola per Marisol sono uno strumento di trasformazione: «Mi affascina vedere quali effetti producano un taglio, una tinta, una piega ben fatti. La metamorfosi a volte è così radicale che le persone guardandosi allo specchio non si riconoscono. È un modo semplice per donare un pizzico di bellezza e di felicità».

Cambiare pettinatura è un piccolo (ma significativo) cambiamento, quello di cui è stata protagonista Marisol negli ultimi anni è stato grande, e per lei è importante continuare a realizzarlo in tanti modi diversi attraverso il suo lavoro.«È stato fondamentale - racconta - avere una prospettiva per il futuro: mi è stata data la possibilità di frequentare la scuola professionale di acconciatura, altrimenti non ce l’avrei fatta».

Quando apre la borsa, dove tiene i suoi strumenti da parrucchiera, i suoi beni più preziosi, Marisol dimentica tutto, e le sembra quasi incredibile pensare di aver trascorso un periodo in detenzione, prima in cella e poi a Casa Samaria, comunità di accoglienza nata dalla collaborazione tra Caritas e Istituto Palazzolo, che offre alle donne detenute la possibilità di usufruire - quando ci sono le condizioni - di misure alternative al carcere, in un ambiente il più possibile familiare e educativo.

«Sono libera e mi sento rinata»

È un passato pesante, che ora, a trent’anni, vorrebbe lasciarsi alle spalle: «Ho sbagliato, ho pagato per il mio errore - spiega -. Stare in carcere è stato un inferno, ma mi è servito. Ho attraversato momenti di gravissimo sconforto, a volte ho pensato perfino al suicidio. Adesso però è finita, sono libera e mi sento rinata. Ho capito che per iniziare una nuova vita dovevo partire da me stessa, accettare i miei limiti e cercare di cambiare».

Marisol sta compiendo questo percorso, «una vera e propria rinascita», con l’aiuto delle Suore delle Poverelle di Bergamo, che le hanno sempre assicurato sostegno e un posto dove stare, per accompagnarla a una nuova indipendenza, più sicura e consapevole.

Ha iniziato il corso professionale di acconciatura in carcere: «Mi è sembrata subito un’ottima opportunità per realizzare un sogno che avevo fin da ragazzina. Dopo le medie, a 13-14 anni, avevo già provato a lavorare come apprendista in un negozio di parrucchiera, poi però avevo dovuto smettere per dare una mano nell’attività di famiglia. Così questo corso mi è sembrato un segno del destino».

Dopo poche lezioni ha mostrato di avere i numeri per distinguersi: «Gli insegnanti apprezzavano ciò che facevo e mi hanno incoraggiato a continuare. Abbiamo iniziato il corso in 15, l’abbiamo finito in quattro, perché molte partecipavano senza una forte motivazione. Ho visto tante persone perdersi, ricadere sempre negli stessi errori. Non volevo che accadesse anche a me. Non è stato facile, ma sono tenace e non cedo».

Al momento di lasciare il carcere, gli insegnanti le hanno annunciato di aver deciso di assegnarle una borsa di studio, sostenuta da Soroptimist, per darle la possibilità di proseguire gli studi fino al diploma: «È stata una gioia grandissima - sorride Marisol -. In quel momento ho davvero iniziato a vedere la luce in fondo al tunnel, a sperare di poter conquistare un futuro diverso».

Per affrontare le ombre è servito un grande dispiegamento di energie: «Quando sono entrata in carcere - racconta Marisol - non avevo idea di che cosa mi aspettasse, mi sentivo smarrita, senza punti di riferimento. All’inizio non riconoscevo ciò che era successo, continuavo a dire che era tutto uno sbaglio. Poi, pian piano, ho lavorato su me stessa». Ha camminato fra le ombre, senza sapere dove andare: «Ogni metamorfosi - scrive Aldo Carotenuto - è preannunciata dalla chiusura in un bozzolo, da una condizione di stasi e morte apparente: solo chi sa attendere può confidare nel cambiamento».

In carcere ha avuto il tempo di rileggere un passato fatto di relazioni tossiche e scelte sbagliate: «Ho capito che mi ero affidata per ogni decisione ad altri, alimentando legami troppo forti, che creavano quasi una dipendenza. Era ora di affrancarsi, di crescere e andare avanti da sola. In carcere c’è tanto tempo per pensare e poche cose da fare, ho pensato di sfruttare la situazione per capire meglio me stessa e il mondo, e per migliorare. Ora mi sento più serena, sono meno aggressiva e arrabbiata, cerco di accettare le cose che non vanno, perché ce ne sono sempre, o almeno ci provo».

Ad ogni punto di snodo della vita c’è un incontro, e per Marisol è stato cruciale quello con le suore delle Poverelle, che in carcere condividono giorno e notte i luoghi della detenzione, gestiscono la lavanderia e affiancano le detenute nelle attività lavorative, formative e ricreative.

«Non riuscivo ad ambientarmi in carcere: i ritmi, le regole, i rapporti con le altre detenute sempre molto delicati, diversi episodi di bullismo. Ero diffidente con tutti, ma quando ho incontrato suor Anna ho capito che potevo contare su di lei».

Marisol ha riscoperto la fede: «Sono cresciuta in una famiglia credente, ma andavo a Messa solo a Natale, a Pasqua e quando partecipavo a qualche funerale. C’era sempre un filo di fede in me e col tempo l’ho ritrovato e mi sono avvicinata di più. Partecipavo ogni sera alla preghiera: suor Anna nella cappella del carcere ci leggeva una pagina del Vangelo e la commentava. Riuscivo sempre a trovare qualcosa per me, quei momenti mi davano forza e conforto».

Scavare dentro di sé l’ha costretta ad affrontare fantasmi che era riuscita a relegare in un angolo: «Mi sono tornate in mente tante cose del passato che avevo rimosso, mi hanno fatto stare molto male. Si sono rimessi in moto certi pensieri negativi, di autodistruzione, che avevo già avuto in altri momenti della mia vita. Pian piano, però, sono riuscita a venirne fuori. Ho chiesto un colloquio a suor Anna e quando è stato possibile confrontarmi con lei mi sono sentita meglio. Mi ha aiutato a mettermi in discussione e a crescere, a rimettere ordine nella memoria».

Quando è arrivato il momento di trasferirsi a Casa Samaria ha trovato un ambiente diverso: «C’erano tante regole, alcune delle quali molto rigide; perciò, la vita quotidiana non era sempre facile, ma mi sono trovata subito bene, si respirava un’aria di famiglia, sono riuscita a instaurare legami positivi con le altre ospiti». Negli anni di scuola le pettinava: «A volte avevano i capelli distrutti dalle tinte casalinghe e da tentativi di cura un po’ maldestri. Era una sfida rimediare a questi guai e restituire loro una capigliatura ordinata. Mi dava moltissima soddisfazione, quello che mi sta più a cuore del mio lavoro è proprio il cambiamento che produce sulle persone».

Attraverso lo studio e il lavoro Marisol si è costruita una nuova identità: «Non sono più la stessa persona che era entrata in carcere. Ho tagliato i ponti con il passato. Ho scelto io di non tornare a casa, perché non volevo ricadere nelle stesse dinamiche di prima, ho preferito continuare a coltivare la nuova me stessa». Il corso di acconciatura è impegnativo: «Oltre mille ore di lezione ogni anno, compresi i tirocini con i parrucchieri, il primo anno di 150 ore, il secondo di 450, il terzo di 650. Mi sono impegnata a fondo per arrivare alla fine».

«Ho tagliato i ponti con il passato, ho preferito coltivare me stessa»

Una volta scontata la sua pena, le suore delle Poverelle hanno messo a disposizione di Marisol un appartamento in condivisione con un’altra giovane, perché potesse continuare il suo percorso di riscatto: «Ho trovato un lavoro per potermi mantenere negli anni della scuola, e continuo anche adesso in attesa di trovare un posto nel settore per cui mi sono preparata. Solo il titolare conosce i miei trascorsi, non ne ho parlato con nessuno, neppure a scuola, perché mi sono accorta che i pregiudizi sono molto forti. Chi è stato in carcere ha un marchio addosso che non si cancella mai, superare questa barriera fatta di diffidenza e paura è davvero complicato».

Marisol ha dovuto ricostruire una nuova rete di amicizie: «Le amiche che avevo si sono allontanate appena hanno saputo che cosa mi fosse successo. Mi sono rimaste vicino pochissime persone, e le ho apprezzate molto di più per la capacità di ascoltarmi e accettarmi così come sono».

«Ho trovato qualcuno che credeva in me e questo ha cambiato tutto»

Per quanto possa sembrare insolito, Marisol pensa che l’esperienza del carcere, in tutta la sua asprezza, alla fine le sia servita: «Mi sono ritrovata in un ambiente difficile, che butta giù. Non tutti riescono a resistere e a reagire. Accanto a me ho visto tante persone entrare e uscire mille volte, ripetendo sempre gli stessi schemi. È una bella sfida in quella situazione continuare a investire sulla propria umanità. Non è successo per caso: ho trovato qualcuno che credeva in me e questo ha cambiato tutto. Ho ricominciato a sperare e ad avere fiducia. Mi sono convinta, alla fine, che la mia vita non è tutta da buttare».

In questa sua «seconda vita» Marisol sta imparando a valorizzare i suoi talenti, e in particolare le abilità manuali: «Mi è sempre piaciuto dedicarmi al fai-da-te in casa, per esempio, dedicandomi alla tinteggiatura o al restauro dei mobili, qualcuno l’ho costruito da zero da sola. A Casa Samaria ho imparato a ricamare e continuo a farlo con grande piacere, e mi appassionano anche i lavori all’uncinetto».

Negli occhi di Marisol, dopo la cenere dell’amarezza, è tornato a brillare il fuoco dei sogni: «Mi piacerebbe poter lavorare finalmente come parrucchiera e magari, un giorno, aprire un salone tutto mio. Chissà se ci riuscirò. Sono felice di aver ritrovato il coraggio di pensare al futuro».

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