«La malattia e i due trapianti di fegato. Sono nato tre volte, ora aiuto gli altri»

LA STORIA. Adriano Gambarini, 75enne di Gorlago, salvato in due occasioni a Londra. «Il volontariato mi dà grande gioia».

«Sono nato tre volte», racconta con un sorriso Adriano Gambarini, 76 anni, di Gorlago. Lo incontriamo a casa sua, circondato dalla sua bella famiglia: la moglie Rosanna, le figlie Rossella, Cinzia e Paola. Dopo aver subito due trapianti di fegato, il suo sguardo sul mondo è cambiato: «Riuscire a superare esperienze così forti e difficili mi ha fatto apprezzare il valore del dono, e mi ha fatto venire voglia di fare del bene». Ora è impegnato come volontario nel Centro d’ascolto Caritas interparrocchiale di Gorlago, e quando ne ha l’occasione fa da testimonial per sensibilizzare le persone sui temi legati al trapianto e alla donazione degli organi.

Sono passati quasi trent’anni dal primo intervento: «Nel novembre 1993 - ricorda Adriano - ho subito l’asportazione dei calcoli alla cistifellea all’ospedale di Trescore Balneario. Doveva essere un intervento semplice, di routine, ma i medici si sono accorti in quell’occasione che il mio fegato era in cirrosi, così sono partite subito le ricerche per sottopormi a terapie adeguate, e mi è stata prospettata la possibilità di un trapianto».

Cinque anni di controlli medici

Per cinque anni i medici sono riusciti a mantenere la malattia sotto controllo con controlli trimestrali: «Poi, però hanno riscontrato che erano comparse alcune cellule tumorali - spiega la figlia Rossella - perciò ci hanno detto che papà avrebbe dovuto essere sottoposto a trapianto, dandoci una scadenza molto breve: non più di sei mesi». Adriano Gambarini si è rivolto al Policlinico di Milano, dove le liste di attesa in quel momento indicavano tempi molto più lunghi: «Ci avevano parlato di un anno - prosegue Rossella - forse un anno e mezzo. Mio padre non aveva a disposizione così tanto tempo. Così ci hanno suggerito di partire per il King’s College di Londra, con cui il Policlinico aveva contatti frequenti. A eseguire questo tipo di operazioni, fra l’altro, era un medico originario di Brescia».

Nonostante le difficoltà fossero molte, Adriano e la sua famiglia hanno deciso di intraprendere questa strada: «Siamo partiti - racconta Rossella - anche se è stata dura. Abbiamo dovuto metterci in gioco tutti insieme, rimodulando gli impegni e gli equilibri familiari. Su indicazione dell’ospedale abbiamo trovato una sistemazione affittando una stanza nella casa di una signora italiana in un sobborgo londinese, Forest Hill. A Londra mio padre è stato sottoposto a tutti i controlli necessari in vista dell’operazione».

«Ci siamo fermati lì, - aggiunge Adriano - perché una volta iniziato il percorso del trapianto non potevo più tornare a casa prima dell’operazione. Ci hanno spiegato che dovevamo essere sempre pronti a ricevere la chiamata dell’ospedale, nel caso fosse arrivato un organo compatibile».

I mesi a Londra

Sono stati mesi di attesa e di speranza in cui, nonostante tutto, la famiglia Gambarini è riuscita a mantenere un atteggiamento positivo: «Passavamo le giornate tra Regent’s Park e St James Park - spiega Rosanna -, andavamo a comprare il giornale a Victoria Station,

mangiavamo al self-service dell’ospedale, facevamo una passeggiata e poi tornavamo a casa. Di domenica andavamo al parco di Buckingam Palace. Non sapevamo la lingua, ma riuscivamo comunque ad arrangiarci, con un po’ di intraprendenza. Non è stato sempre facile, abbiamo dovuto destreggiarci in tante situazioni complesse, anche solo per spostarci. L’unico modo possibile era stare attenti, cercare conoscenze e solidarietà».

Adriano è sempre riuscito a sdrammatizzare, mantenendo un clima sereno nella sua famiglia: «Non mi sono mai abituato al senso di marcia inverso sulle strade», commenta con un sorriso. Erano molti gli italiani che, come lui, si trasferivano in Inghilterra per ragioni analoghe: «Abbiamo condiviso esperienze molto forti, che non per tutti sono state a lieto fine. Ci siamo fatti forza a vicenda, sono nate tante belle amicizie, che durano tuttora».

L’operazione con la tecnica dello split

Dal 27 maggio, giorno dell’arrivo in Inghilterra, ha dovuto aspettare l’arrivo di un organo compatibile fino al 16 ottobre. Rossella, dopo averlo accompagnato, è rientrata a Gorlago per dare una mano a mantenere viva l’attività dell’officina di precisione del padre: «Non è il mio settore, all’epoca mi stavo laureando in lettere, ma ho cercato comunque di dare una mano ai miei cugini». La fatidica telefonata è arrivata al mattino verso le 6. L’operazione è stata fatta con la tecnica dello split: il fegato del donatore è stato diviso in due parti, una delle quali è stata destinata ad Adriano, l’altra a un bambino. L’esito è stato positivo, man mano che si riprendeva dall’intervento ha avvertito un grande sollievo: «Mi sono sentito rinato, da molti punti di vista. Il 29 novembre 1998, finalmente, sono tornato a casa». Quando è rientrato all’aeroporto di Montichiari ha trovato ad aspettarlo un vero e proprio comitato d’accoglienza, con familiari, amici, conoscenti, muniti di striscioni di benvenuto. Molto attivo in parrocchia, Adriano è stato impegnato per anni, in diversi ruoli, nell’amministrazione comunale di Gorlago, ricoprendo anche il ruolo di sindaco; perciò, erano presenti a festeggiarlo «tutte le persone che mi conoscevano e avevano seguito le mie vicissitudini».

Adriano ricomincia a lavorare

Un momento epico per Adriano, una nuova partenza: «Dopo un paio di mesi di convalescenza - dice - ho ricominciato a lavorare con una grinta e un’energia che non avevo mai provato, pronto anche a fare nuovi investimenti nella mia attività».

È stato un periodo felice, purtroppo però si è presentata una nuova complicazione: «Dopo tre anni - continua Adriano - nel 2001, a una visita di controllo lo specialista mi ha comunicato che il virus dell’epatite C si era risvegliato. Per cercare di debellarlo, i medici hanno deciso di curarmi con l’interferone. Dopo venti giorni, soltanto, tuttavia, questa nuova cura ha scatenato il rigetto» e le sue condizioni sono peggiorate rapidamente: «Sono stato ricoverato d’urgenza al Policlinico di Milano, e dopo 15 giorni sono stato riportato a Londra con un aereo militare, perché occorreva un nuovo trapianto». Era il 28 febbraio del 2001, e la famiglia Gambarini ha dovuto affrontare una nuova tempesta: «Ci siamo ritrovati di nuovo al punto di partenza - osserva Rossella -, ma con una prospettiva peggiore rispetto al primo intervento. Il fisico di papà, infatti, era debilitato e completamente in tilt, aveva perso lucidità, una cosa che prima non era mai accaduta. La situazione era molto grave, per questo il Policlinico ha deciso rapidamente il trasferimento a Londra».

Condizioni di nuovo critiche

In condizioni così critiche, Adriano ha scalato rapidamente la lista d’attesa: «Il 26 marzo, quasi un mese dopo, ho ricevuto il secondo dono, quello che mi permette di vivere ancora oggi. Sono passati 24 anni, e non ho più avvertito alcun disturbo». Qualche anno dopo, i medici gli hanno consigliato di seguire una nuova terapia per l’epatite c: «Così finalmente mi sono lasciato alle spalle questa malattia». I due ricoveri londinesi gli hanno offerto l’occasione di incontrare altri trapiantati, con cui ha condiviso sofferenza e gioia: «Non per tutti è arrivato il lieto fine - sottolinea Adriano -. Ho seguito con grande partecipazione le vicende di tutti e sono nate delle belle amicizie».

La chiesa italiana a Londra

Ha iniziato a frequentare con altri la comunità della chiesa italiana a Londra: «È nato un gruppo molto affiatato, animato da suor Alberta, religiosa originaria di Malonno, in provincia di Brescia. Siamo rimasti in contatto e abbiamo continuato a incontrarci ogni anno con il gruppo dei trapiantati per un pellegrinaggio in diverse località d’Italia, sempre accompagnato da suor Alberta». Fin dal primo trapianto Adriano si è iscritto anche all’associazione «Amici del trapianto di fegato» di Bergamo. Le esperienze che ha vissuto lo hanno spinto a proseguire con slancio le sue attività di volontariato: «Ho sempre fatto parte della San Vincenzo, poi ho iniziato a collaborare con la Caritas, prima al Centro d’ascolto di Trescore Balneario, poi al Centro interparrocchiale di Gorlago. Nel frattempo, mi sono impegnato anche nell’amministrazione comunale come assessore allo Sport, vicesindaco e anche sindaco, per un mandato».

Le difficoltà che ha incontrato non gli hanno impedito di realizzare i suoi sogni, in ambito familiare e professionale: «Sono andato avanti con la mia vita, non mi piace piangermi addosso. Sono contento di ciò che ho costruito. Da diversi anni ormai sono in pensione, ma l’officina porta ancora il mio nome. L’attività di volontariato al Centro di ascolto è impegnativa ma mi dà anche molta soddisfazione».

L’adozione a distanza

A volte gli capita di raccontare la sua storia per incoraggiare persone che stanno affrontando periodi difficili: «Sono nato in una famiglia numerosa, eravamo cinque figli, mio padre faceva il contadino e mi ricordo che quando eravamo piccoli anche a casa nostra arrivavano i pacchi della San Vincenzo, e per noi rappresentavano un aiuto molto significativo». Dopo il trapianto ha adottato a distanza un ragazzino indiano con l’associazione «Operatori di pace» con sede a Comonte: «Sono passati tanti anni, ora è cresciuto, ha proseguito gli studi e di recente mi ha mandato la foto della sua laurea. Una bella soddisfazione. Il mio percorso, le esperienze che ho vissuto, mi hanno portato ad aprirmi agli altri. Sono stato fortunato, ho superato momenti bui, ho sempre vicino la mia famiglia, ho potuto contare sulla generosità di altri quando ne ho avuto bisogno; perciò, sento ancor di più la responsabilità di aiutare chi si trova in difficoltà». Così per lui e per tutta la famiglia. «Alla fine - conclude la moglie Rosanna - la malattia ha rappresentato per tutti noi anche un’opportunità di guardare la vita da un’altra prospettiva».

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