La Buona Domenica / Isola e Valle San Martino
Domenica 24 Marzo 2024
«La gioia di donare il midollo osseo: gesto piccolo, beneficio enorme»
LA STORIA. Carmen Rampinelli, ex infermiera di Brembate, ha conosciuto l’Admo in corsia. E ha fondato un gruppo in paese.
«È donandosi che si riceve - dice San Francesco d’Assisi - dimenticando se stessi che ci si ritrova». Offrire una parte di sé con un gesto gratuito e disinteressato può cambiare la vita e riempirla di senso, come racconta Carmen Rampinelli di Brembate, donatrice di midollo osseo: «Per me è stato come avere un terzo figlio, un momento di grandissima gioia, una grazia. Mi ha reso felice poter aiutare qualcuno che ne aveva bisogno, anche se non so chi sia, e penso che sia giusto così».
Ha conosciuto l’Admo (Associazione donatori midollo osseo www.admo.it) nell’ambulatorio di ematologia degli Ospedali Riuniti, dove ha lavorato per qualche anno come caposala: «Ho incontrato tanti pazienti, conoscendo la drammaticità delle diagnosi. Ho seguito da vicino tanti casi che venivano trattati. Ognuno aveva la propria storia, tutti mi coinvolgevano molto. Pensavo che fosse bello e giusto offrire a ciascuno di loro una terapia e una speranza di guarire. In ematologia già allora, negli anni Novanta, la competenza era altissima, la ricerca altrettanto avanzata. I trapianti di midollo iniziavano a prendere piede proprio in quegli anni. Si parlava molto dei successi ottenuti anche da donatori non consanguinei. Nel tempo le conoscenze e le tecniche sono migliorate molto. L’ematologia allora collaborava con il Centro trasfusionale, a quei tempi il primario era Guido Scudeller. All’interno del suo reparto c’era già l’associazione Admo che collaborava per tipizzare i pazienti al fine di inserirli nel registro nazionale dei donatori».
L’incontro
Un giorno nell’ambulatorio di ematologia si è presentata una maestra di Brembate che Carmen conosceva: «Mi ha chiesto dove andare per poter fare l’iscrizione al registro dei donatori di midollo osseo. Non lo sapevo, ho telefonato per informarmi, e ho deciso di seguire il suo esempio, così mi sono iscritta anch’io».
Sono passati otto anni senza notizie, e nel frattempo Carmen ha avuto la sua seconda figlia. «Poi, finalmente, è arrivata la telefonata dell’ospedale per annunciarmi che risultavo compatibile con un paziente e per chiedermi se confermavo le mie scelte». È rimasta colpita da questa richiesta: «L’ho considerata molto importante - spiega -, perché col trascorrere degli anni le situazioni e le persone possono cambiare, anche dal punto di vista fisico, perciò la conferma della disponibilità a donare non è scontata».
Carmen si era immaginata mille volte quel momento: «Questa chiamata mi ha dato una gioia immensa. Poter aiutare qualcuno per me era importantissimo, quanto una nuova maternità. All’epoca la tipizzazione dei potenziali donatori era incompleta e richiedeva approfondimenti per verificare l’effettiva compatibilità, perciò ci sono voluti sei mesi per vedere se avevo i requisiti richiesti». Nel frattempo le analisi miravano anche ad accertare lo stato di salute di Carmen: «In quel periodo ho pregato ogni giorno che tutto andasse bene. Ogni scoglio superato mi sembrava una grande conquista».
Le associazioni dei donatori come l’Admo spesso nelle loro campagne di comunicazione puntano l’attenzione sulla ricerca: «È questa, infatti - afferma Carmen - la strada più importante per trovare una cura per molte malattie. Accanto ad essa, però, c’è anche un’opera capillare di sensibilizzazione per far crescere le iscrizioni al registro dei donatori. Usare il midollo di persone non consanguinee, fra l’altro, spesso è l’unica opportunità di salvezza in un’epoca in cui non ci sono più tante famiglie numerose e prevalgono quelle mononucleari». La compatibilità, infatti, è molto rara: uno su quattro in famiglia, tra non consanguinei è di uno ogni 100mila. «È difficile oggi in una famiglia trovare un fratello consanguineo compatibile, bisogna allargare le analisi a genitori e parenti. Nel corso della mia carriera mi è capitato che perfino all’interno di famiglie con quattro o cinque figli non ci fosse nessuno compatibile. Ecco perché la sensibilizzazione è così importante».
L’intervento
Quando è stata chiamata per la donazione, nel 2000, Carmen aveva 45 anni: «Ero nel pieno delle forze e ho visto con gioia tutti gli operatori sanitari che mi hanno seguito in questo progetto fare un grande lavoro di squadra».
A quel tempo non era ancora possibile la donazione da sangue periferico: «Nel mio caso - sottolinea Carmen - il midollo osseo è stato prelevato dalle creste iliache, durante un breve intervento realizzato in anestesia generale. Il midollo è stato quindi prelevato in maniera diretta dalle ossa del bacino (creste iliache posteriori) con l’aiuto di una siringa munita di ago. Sono stata ricoverata per un paio di giorni, dopo una settimana sono tornata al lavoro, non ho riportato conseguenze di alcun tipo». Durante il ricovero in ospedale, Carmen ha condiviso la camera con una ragazza che aveva ricevuto il trapianto di midollo pochi mesi prima: «Da allora mi sono immaginata che il mio sangue sia andato a una persona giovane come lei, permettendole di proseguire la sua vita».
«Niente si dà tanto - scrive Anatole France - come quando si danno delle speranze»: è questo che ha spinto Carmen a diventare, come dice lei con un sorriso, «un’attivista del dono». «Vorrei far conoscere il più possibile quest’azione che comporta un impegno minimo a chi la compie e un vantaggio enorme per chi ne può beneficiare. Un gesto piccolo, che però può fare la differenza salvando una vita».
Un impegno crescente
Quando i suoi figli sono cresciuti ha intensificato il suo impegno: «Mi sono data da fare per costituire un gruppo Admo nel mio paese all’interno del nucleo delle associazioni del dono, che comprende anche Avis (donatori di sangue) e Aido (donatori di organi). Con loro testimoniamo il nostro impegno di donarci agli altri. Questo servizio mi gratifica molto e vedo come molto significativo l’avvicinamento dei giovani attraverso i social e canali istituzionali come l’università, per fortuna anche senza essere toccati direttamente dalla malattia».
Come ex infermiera, sfruttando le sue competenze di operatore sanitario, Carmen è sempre in prima linea per le donazioni. «È importante far conoscere le associazioni che se ne occupano: svolgono un’opera necessaria per la società, ma molti non ne conoscono l’esistenza e la funzione. Tutte le associazioni di questo tipo hanno in comune l’impegno di donare un pezzo di sé per aiutare qualcun altro. È lo stesso atto del donare che rende felici».
Carmen incontra moltissimi studenti: «Li invito a essere curiosi e a usare le loro conoscenze per migliorarsi, purché non si dimentichino di essere generosi. Per Avis, Aido e Admo i giovani sono fondamentali. Per Admo in modo particolare, visto che ci si può iscrivere al registro dei donatori di midollo osseo soltanto entro il 36° anno di età, e donare fino ai 55 anni. Le condizioni fisiche, infatti, col tempo cambiano, invecchiando è più facile che si manifestino problemi di salute e che sia necessario assumere farmaci per condizioni croniche».
Prima donazione nel 1993
A Bergamo, ricorda Carmen, «La prima donazione di midollo è stata fatta nel 1993 da un dipendente degli Ospedali Riuniti. Quando è toccato a me ero la numero 29. In sette anni ce n’erano stati quindi altri 28. Il centesimo donatore è stato festeggiato nel 2010. Vuol dire che in dieci anni hanno donato circa 70 persone. Ora i donatori nella nostra provincia sono arrivati a 180, tre dei quali a Brembate. Sono risultati positivi, vuol dire che la sensibilizzazione e le iscrizioni danno i loro frutti».
Neppure la celiachia ha rappresentato un ostacolo alla donazione per Carmen: «Temevo di non essere accettata - spiega -, perché le donazioni di sangue con questa condizione non sono possibili, per fortuna non è stato così. Sono grata agli operatori sanitari che mi hanno seguito lungo il percorso, prendendo anche gli appuntamenti per visite ed esami. Dopo la donazione i controlli sono proseguiti per anni, per verificare che tutto andasse bene».
Nelle sue attività di volontariato, Carmen mette il valore aggiunto di una grande energia, passione e creatività: «Organizziamo quattro banchetti all’anno, in cui offriamo prodotti preconfezionati che spesso ci vengono messi a disposizione da benefattori e sponsor presenti sul territorio. Oggi porteremo delle uova colorate, in vista della Pasqua. Con queste attività cerchiamo di sostenerci e di contribuire alla ricerca, finanziando delle borse di studio».
Pensa con affetto alla persona alla quale ha donato il midollo: «Immagino che sia il terzo figlio che non ho conosciuto. Penso alla giovane che era in camera con me all’ospedale e spero che abbia avuto la possibilità di crescere e realizzare i suoi sogni».
La famiglia ha sostenuto la sua scelta: «I miei figli avevano 7 e 14 anni, gli abbiamo raccontato cosa stava accadendo e ne sono stati felici. I miei genitori erano preoccupati ma hanno superato facilmente i loro timori, condividendo il mio desiderio di dare una mano a una persona in difficoltà». Carmen insiste sul valore sociale della donazione di midollo: «Donare è vita e le dà senso. La cultura del dono si diffonde e si tramanda continuando a coltivare gesti di generosità, con la consapevolezza che siamo tutti interdipendenti, anche per le piccole cose, e lo diventiamo ancor di più nelle malattie. Sarebbe bello che in futuro l’iscrizione al registro dei donatori diventasse più diretta, facile e automatica. Forse siamo destinati a essere meno religiosi, più individualisti, ma per ognuno di noi esiste un tempo della vita in cui scopriamo di aver bisogno dell’aiuto degli altri».
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