La diagnosi, gli interventi, la risalita: «Accetto i miei limiti e vivo la vita»

LA STORIA. Terry Midali, 39enne di Branzi, e la sua lunga lotta contro la Malformazione di Chiari, una rara patologia.

«L’arte da imparare in questa vita – scrive Alessandro D’Avenia ne “L’arte di essere fragili” – non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti». Accettare di chiedere aiuto e lasciarsi prendere per mano richiede coraggio: lo sa bene chi, come Terry Midali, ha dovuto attraversare il buio per ricominciare a vivere, dopo un intervento per curare la Malformazione di Chiari e un’emorragia cerebrale.

Terry ha 39 anni ed è originaria di Branzi, ma da anni abita a Piazza Brembana con Giacomo, il suo compagno. «Ci siamo conosciuti a Livigno – racconta – dove entrambi lavoravamo nel settore alberghiero, ma dopo un po’ abbiamo deciso di trasferirci insieme in Valle Brembana», un luogo al quale lei si sente molto legata.

La Malformazione di Chiari

La Malformazione di Chiari, o sindrome di Arnold-Chiari, è una rara patologia congenita, ma Terry l’ha scoperta solo pochi anni fa, a causa di persistenti mal di testa.

È un’alterazione strutturale del cervelletto, caratterizzata da uno spostamento verso il basso – precisamente in direzione del foro occipitale e del canale spinale – della porzione basale degli emisferi cerebellari: «Ho sempre sofferto di tensione e dolore a livello cervicale – racconta –, ma è un sintomo abbastanza comune, che giustificavo con stress e ansia. Nel 2018 il dolore si è acuito, si estendeva alla spalla, coinvolgendo la testa e l’occhio sinistro». Terry si sentiva stordita, priva di forze, non riusciva a pensare lucidamente: «Ogni volta cercavo delle possibili cause ma, vista la frequenza e la durata di queste crisi, mi sono consultata con il medico, che mi ha prescritto una risonanza magnetica. La prima diagnosi che ho avuto è stata quella di un’aura visiva».

I sintomi erano così intensi che le si annebbiava la vista: «Mi hanno prescritto dei farmaci, ma il dolore non regrediva, dormivo male, mi svegliavo nel pieno della notte in lacrime. Così nel 2019 mi sono rivolta all’Ospedale “Papa Giovanni XXIII” di Bergamo per una seconda risonanza. Mi hanno richiamato dopo un paio di giorni per approfondire, perché sospettavano la presenza della Malformazione di Chiari». Fino a quel momento Terry non ne aveva mai sentito parlare: «Sono caduta dalle nuvole, mi sentivo smarrita e spaventata. Mi sono informata e ho scoperto che c’era stato un altro caso in Valle, che riguardava un bambino. Ho incontrato un familiare, che nel frattempo era diventato volontario dell’associazione Aismac (Associazione italiana siringomielia e Arnold Chiari, aismac.org) e mi ha aiutato molto a chiarirmi le idee».

«Raccontando la mia storia voglio lanciare un messaggio di speranza a persone che attraversano difficoltà simili alle mie, perché non si lascino andare e sappiano che è possibile uscirne»

Terry ha proseguito gli accertamenti, e ha avuto conferma della diagnosi: Malformazione di Chiari con siringomielia, un’affezione del midollo spinale caratterizzata dall’infiltrazione del fluido cerebro-spinale (CSF) al suo interno con la formazione di una cavità cistica (siringa), che può provocare compressioni e lesioni alle fibre nervose del midollo stesso. Una condizione complessa, che col tempo ha imparato a conoscere meglio: «Mi hanno indirizzato a un neurochirurgo del Papa Giovanni, ci siamo visti, mi ha chiarito la situazione, e mi ha indicato un possibile intervento. Volevo essere sicura della strada da intraprendere, perciò mi sono rivolta anche all’istituto neurologico Besta di Milano per un consulto, poi però sono tornata dal neurochirurgo di Bergamo che mi aveva già visitato: i suoi modi diretti e la sua schiettezza mi hanno ispirato fiducia».

Non è stato possibile procedere subito all’operazione: «È iniziata la pandemia di covid-19, poi ho avuto un problema fisico, un trombo a una gamba; perciò, ho dovuto rimandare fino al 2021. Per fortuna quando è arrivato il momento è andato tutto bene. Non c’è la possibilità di “guarire” completamente, ma da lì in poi i problemi di cervicale e il mal di testa sono molto diminuiti. Si trattava comunque di un intervento impegnativo, perciò il recupero ha richiesto un po’ di tempo e di riabilitazione».

Terry pensava di essersi lasciata alle spalle quel momento difficile, finché un giorno il dolore è ricominciato: «Avevo un forte mal di testa, accompagnato da nausea. Sono andata comunque al mercato come avevo programmato, ma mi sentivo particolarmente stanca, non avevo neppure voglia di parlare con le persone che incontravo. Sono tornata a casa e mi sono fatta una doccia sperando che alleviasse i sintomi, poi ho scritto al mio compagno segnalandogli questo forte malessere. Lui ha capito subito che c’era qualcosa di strano, perché scrivevo male, facendo tanti errori. Mi ha telefonato e si è accorto che incespicavo nelle parole. È tornato a casa di corsa e mi ha trovata seduta, impegnata nei miei esercizi di mobilità. Ha notato che avevo la bocca storta, ma io non mi rendevo conto della gravità della situazione. Mi ha proposto di chiamare l’ambulanza e ho accettato. Con la guida dei volontari del 112 ha provato a farmi compiere alcuni semplici gesti, come per esempio stringergli la mano, così ho capito che non ne ero in grado. Sono arrivati l’ambulanza e l’elicottero. Abbiamo sentito anche il neurochirurgo che mi segue e lui ha predisposto tutto per il mio arrivo in ospedale. Posso davvero dire che è un Angelo con la “a” maiuscola. Così mi hanno salvato la vita».

Terry è rimasta cosciente, ma ha dei ricordi molto vaghi di quei momenti drammatici: «Avevo in corso un’emorragia cerebrale, e se ne sono accorti appena sono arrivata in ospedale. Mi hanno fatto tanti esami tra tac, risonanza e angiografia. Sono rimasta per diversi giorni in terapia intensiva e poi in subintensiva, dove ho incontrato medici e infermieri competenti, dediti al loro lavoro con spiccate doti di sensibilità ed empatia. Sono intervenuti tempestivamente con la fisioterapia e grazie a loro col tempo sono riuscita a recuperare la mobilità della parte sinistra del mio corpo, che era praticamente paralizzata».

Coraggio e tenacia

Sono serviti tenacia, pazienza, coraggio, e Terry lo ricorda con molta commozione: «Ci sono voluti tre anni per tornare alla normalità - spiega - e nel frattempo mi sono accadute cose che mi hanno segnato profondamente, da ogni punto di vista. Ora sto bene, di certo non ho la stessa resistenza alla fatica di prima, mi stanco più facilmente, devo stare attenta a non superare i miei limiti, ma in fondo sono particolari di poco conto». Ciò che è più importante per lei è poter avere di nuovo una vita serena, assaporare ogni momento, stare con le persone a cui vuole bene: «Raccontando la mia storia voglio lanciare un messaggio di speranza a persone che attraversano difficoltà simili alle mie, perché non si lascino andare e sappiano che è possibile uscirne».

La pandemia ha complicato il percorso di riabilitazione di Terry: «Nel periodo del ricovero in terapia intensiva e subintensiva poteva venirmi a trovare una sola persona: la mia famiglia ha scelto mia sorella Monia, che ha una capacità speciale di farmi ridere e tirarmi su di morale. Quando mi hanno trasferito in reparto e poi alla clinica Quarenghi di San Pellegrino, invece, non potevo ricevere visite. Avevo però la possibilità di scendere in giardino e vedere le persone al di là del cancello della struttura: sono stati incontri particolari, ma preziosi. In questo modo sono riuscita perfino a festeggiare il mio compleanno con familiari e amici».

«Il mio compagno c’è sempre stato anche nei momenti peggiori. La mia famiglia mi è stata vicina con rispetto e discrezione»

In quel periodo delicato Terry ha scoperto in sé una forza che non pensava di avere: «Sono sensibile, forse fragile, ma tenace: c’era in gioco il mio futuro e ce l’ho messa tutta per riprendermi. Il mio compagno c’è sempre stato anche nei momenti peggiori, quando trascorrevo intere giornate al buio con il mal di testa, e mi ha aiutato moltissimo. La mia famiglia mi è stata vicina con rispetto e discrezione, lasciandomi i miei spazi, e così le mie amiche: è vero che si scopre il valore delle persone soprattutto nei momenti difficili».

«Chi mi conosce, capisce»

Terry ha imparato ad accogliere le difficoltà e ad affrontarle man mano che mi presentano: «Devo ancora fare attenzione e prendere diverse precauzioni, non è detto che riesca a compiere determinati sforzi, a rispettare programmi e appuntamenti. Le persone che ho vicino lo sanno e lo accettano. I medici hanno verificato che l’emorragia non è legata alla Malformazione di Chiari ma a un problema di coagulazione del sangue, è una questione di sfortuna che mi siano capitati questi due eventi a distanza così ravvicinata. Ho imparato a guardare gli ostacoli anche come occasioni: mi hanno insegnato a considerare il mondo diversamente, a riformulare la gerarchia dei valori, a non dare niente per scontato. È cresciuta la mia sensibilità nei confronti delle persone in difficoltà, di chi soffre per una malattia e una perdita. Mi emoziono molto, come prima non accadeva».

«Non ho ancora quarant’anni ma ho tanti limiti: ho scelto di accettarli di buon grado, sapendo che in fondo non sono così importanti»

Pian piano Terry si è riconquistata la sua routine e il suo lavoro: «Ho ripreso a camminare, mi ha aiutato dover portare a spasso i miei due cani, ai quali sono molto affezionata. Ho ricominciato a lavorare gradualmente, senza forzare. Le mie condizioni sono rimaste un po’ più fragili, mi capitano alcune giornate buone e altre meno. Continuo le terapie farmacologiche e controlli frequenti. Non ho ancora quarant’anni ma ho tanti limiti: ho scelto di accettarli di buon grado, sapendo che in fondo non sono così importanti. Mi considero molto fortunata e ne sono felice. La mia è una malattia che non si vede, non suscita empatia, provoca difficoltà che non vengono riconosciute. Anche se una persona si mostra reattiva e sorridente non è detto che stia bene. Ci vorrebbero più attenzione e sensibilità verso gli altri, sapendo che queste malattie invisibili sono più diffuse di quanto pensiamo».

© RIPRODUZIONE RISERVATA