La chiamata, poi la donazione di midollo: «Iscrivetevi, è un gesto che arricchisce»

LA STORIA. Dario Belingheri, 40enne di Colere, ha donato nel 2011. «L’ho fatto perché è giusto, e il bene diventa contagioso».

«Donare un pezzo di se stessi e di rendersi utili agli altri dà pienezza alla vita. Facendolo si scopre poi che anche il bene può diventare contagioso e diffondersi per passaparola». Questa per Dario Belingheri, 40 anni, originario di Colere, è una convinzione semplice, spontanea e concreta, che affonda le sue radici nella famiglia e nella comunità in cui è cresciuto. Per lui, che oggi vive a Vilminore di Scalve con la moglie e la figlia, la solidarietà è un elemento fondante del suo percorso di vita, ciò che l’ha condotto fin dal 2006 - quando aveva 23 anni - a entrare nell’associazione dei Donatori di sangue della Val di Scalve e poi a diventare socio Admo e donatore di midollo osseo.

Ha saputo tradurre in azioni concrete ciò che dice Dietrich Bonhoeffer: «Nella vita ordinaria noi raramente ci rendiamo conto che riceviamo molto di più di ciò che diamo, e che è solo con la gratitudine che la vita si arricchisce». A volte questo significa mettere al primo posto il bene della comunità, e magari - come nel caso di Dario - di uno sconosciuto, che ha bisogno di aiuto a causa di una malattia.

«Undici anni fa - racconta - ho donato il midollo osseo all’Ospedale Papa Giovanni XXIII. Sono stato molto felice di avere questa possibilità e spero di aver offerto la possibilità di guarire alla persona che l’ha ricevuto».

Possono iscriversi al registro dei donatori attraverso un semplice esame di tipizzazione (con un prelievo di sangue o di saliva) persone tra i 18 e i 35 anni. La probabilità di trovare una persona compatibile è molto rara: uno su quattro fra i familiari e appena uno su centomila fra non consanguinei: «Per questo - sottolinea Dario - è così importante sensibilizzare le persone a iscriversi. Sarebbe bello che lo facessero tutti».

I paesi della Val di Scalve, ricorda Dario, contano in tutto quattromila abitanti: «È una comunità piccola, in cui le associazioni di volontariato hanno un peso determinante. Senza di loro il nostro territorio sicuramente morirebbe». Anche per questo lui stesso ha sentito il desiderio di impegnarsi fin dalla giovinezza in tante attività diverse: «Ho fatto parte della Pro Loco che promuoveva diverse attività e iniziative sul territorio. Poi, con alcuni amici, sono entrato nel gruppo degli Alpini».

Con loro ha sperimentato la gioia della solidarietà e del servizio in tanti modi diversi: «Gli alpini sono presenti in tutte le occasioni importanti per le comunità, danno una mano in occasione di feste e sagre, e poi si prendono cura del territorio in tanti modi».

Come accade spesso, Dario si è iscritto al registro dei donatori e poi non ci ha più pensato, sapendo che era remota la possibilità che venisse effettivamente chiamato. «Nel 2011, invece, è arrivata una telefonata dall’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, e ho risposto con un po’ di emozione. Mi hanno avvisato che c’era la possibilità che fossi compatibile con una persona in attesa di trapianto di midollo, e mi hanno chiesto se fossi ancora disponibile». Dario ha subito acconsentito, e ha proseguito tutto il percorso necessario per arrivare alla donazione effettiva: «Prima di tutto mi hanno fatto alcune analisi più approfondite per verificare se fossi davvero compatibile, ed è stato così: lo ero al 100 per cento».

Poi è stato sottoposto agli esami necessari per accertare il suo stato di buona salute: «Lavoro come operaio in una ditta, ho dovuto chiedere qualche giorno di malattia per andare all’ospedale, e l’ho ottenuto senza problemi». È importante che i donatori siano in buona salute, perciò i controlli sono sempre scrupolosi. L’ospedale di Bergamo non è proprio a portata di mano, ma ad accompagnare Dario hanno pensato i volontari dei Donatori di Sangue di Vilminore con il pulmino: «Devo ringraziarli, perché non mi hanno mai lasciato solo».

Anche il rapporto con i medici dell’ospedale è stato positivo: «In questa avventura mi sono sempre sentito accompagnato con attenzione. Questo mi ha rassicurato e mi ha convinto che stavo facendo la cosa giusta. Non mi sono mai sentito dubbioso o spaventato. Ero certo di non correre alcun pericolo».

Non si parla spesso di donazione di midollo e questo genera confusione: «Molti sono ancora convinti che si faccia con un intervento invasivo e doloroso. In realtà il metodo più usato attualmente è quello del prelievo da sangue periferico per aferesi, molto simile a una donazione di plasma».

La donazione, in questo caso, prevede la somministrazione, nei 5 giorni precedenti la donazione, di un farmaco che promuove la crescita delle cellule staminali emopoietiche nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue periferico. «Per una settimana ho dovuto recarmi ogni giorno in ospedale per le iniezioni di questo farmaco e per controllarne gli effetti. Anche in questo caso mi hanno accompagnato i volontari del mio paese, con grande disponibilità e amicizia. Non ho subito grandi effetti collaterali, forse un po’ di stanchezza».

Per la donazione eseguita attraverso il prelievo vengono usati dei separatori cellulari: il sangue estratto da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene reinfuso nel braccio opposto. La procedura viene eseguita in day hospital, ha una durata limitata perciò non è troppo gravosa: «Quel giorno ero un po’ teso ed emozionato, consapevole dell’importanza di ciò che stavo per fare. Sono arrivato a Bergamo, come sempre, accompagnato da un volontario, che poi è rimasto lì ad aspettarmi, finché è arrivata l’ora di riportarmi a casa. Mi hanno tenuto quattro ore in ospedale per il prelievo. Non c’era molto da fare a parte aspettare, guardare la televisione e scambiare qualche parola con medici e infermieri, che hanno seguito il procedimento verificando che tutto andasse bene. Quando ho finito ero molto stanco, ma niente di più. Forse erano più preoccupati i miei familiari, che comunque si sono tranquillizzati quando mi hanno visto tornare a casa».

Dopo qualche mese Dario è stato richiamato: «Il ricevente ha avuto bisogno di una nuova donazione, stavolta di globuli bianchi, e naturalmente ho acconsentito. La permanenza in ospedale è stata più breve».

Non ha mai avuto altre notizie della persona a cui ha donato il midollo: «Viene garantito l’anonimato a tutela della privacy di donatore e ricevente, e mi sembra una procedura corretta e rispettosa di tutte le persone coinvolte. Non ho bisogno di sapere nulla, ho compiuto questo gesto senza aspettative, solo perché ritenevo giusto farlo. Ogni tanto ovviamente ci penso e spero che l’esito del trapianto sia stato positivo».

La notizia della donazione di midollo di Dario si è diffusa rapidamente nel suo paese: «La nostra è una piccola comunità e sono venuti a saperlo tutti. Il mio gesto ha suscitato molte domande, mi hanno chiesto quale fosse la procedura da seguire, che cosa fosse successo nel giorno della donazione, come stia ora il ricevente. Erano sorpresi che non sapessi nulla della persona che ho aiutato. Mi sono accorto che solo in pochi sono correttamente informati. Alcuni sono ancora spaventati dall’idea che il midollo si prelevi con un intervento dalle ossa del bacino, che richieda l’anestesia generale e un periodo di convalescenza. È il metodo tradizionale, oggi però la procedura più diffusa (che si applica in otto casi su dieci, come spiega l’Admo ndr) è quella del prelievo dal sangue periferico, sicuramente meno invasiva». Dopo aver conosciuto l’esperienza di Dario, qualcuno dei suoi amici e compaesani ha seguito il suo esempio iscrivendosi al registro.

C’è stato un follow-up dopo la donazione: «I medici si assicurano che le condizioni di salute dei donatori siano buone con controlli periodici per diversi anni. Personalmente non ho subito alcuna conseguenza, sono sempre stato bene. Allora giocavo a calcio, e per circa un mese ho diradato un po’ gli impegni sportivi, ma è stato più un mio scrupolo che una prescrizione. Quello che mi è dispiaciuto di più è stato dover sospendere le donazioni di sangue. Dopo aver donato il midollo, infatti, è necessario un periodo di pausa. Faccio parte del gruppo locale, che coinvolge diversi paesi della valle, da tanto tempo, ho superato le 50 donazioni. Ci sono molti giovani fra gli iscritti, e mi sembra un bel segnale di partecipazione alla vita della comunità. Anche mia moglie è donatrice, è un impegno che condividiamo, e in futuro spero di trasmetterne il valore anche a mia figlia, che adesso è ancora piccola, ha solo 7 anni. Il volontariato fa bene a chi ne ottiene beneficio, ma anche a chi lo fa. È ancora più importante in una valle come la nostra, composta da piccoli centri: se le iniziative si spengono un paese è destinato a morire, per questo è importante essere presenti e darsi da fare secondo le proprie possibilità, anche se costa fatica e gli impegni quotidiani sono tanti. Fortunatamente c’è ancora tanta gente che mette a disposizione della comunità molte ore di lavoro gratuito».

Dario ha deciso di raccontare la sua esperienza nonostante una naturale riservatezza per sostenere l’Admo (www.admo.it) e per sollecitare nuove iscrizioni al registro dei donatori di midollo: «Penso che ognuno possa fare la propria parte per aiutare gli altri, io cerco di metterci ciò che posso, anche se mi sembra sempre poco. Spero che l’iscrizione al registro per la donazione di midollo osseo diventi una pratica diffusa, perché è molto raro trovare una compatibilità, ogni donatore in più può essere decisivo per salvare una vita».

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