La Buona Domenica / Valle Seriana
Domenica 16 Aprile 2023
Ipovedente, ma campionessa di karate: «Ora il sogno: partirò per una missione»
BENEDETTA BELOTTI . Così la giovane di Abbazia affronta senza paure la sua disabilità visiva congenita.
Ha diciotto anni e l’argento vivo addosso Benedetta Belotti, di Abbazia di Albino. Ha una disabilità visiva congenita, l’acromatopsia, ma è difficile accorgersene seguendola attraverso stanze e corridoi dell’oratorio di Abbazia, dove si muove con disinvoltura. «Il trucco - sorride - è che ormai conosco l’oratorio come casa mia, lo frequento fin da piccola». I suoi occhiali con le lenti arancioni, un colore insolito, le danno un tocco originale e sbarazzino, ma soprattutto per lei sono un supporto indispensabile: «All’inizio faticavo a indossarli, perché si fanno notare e io preferisco passare inosservata. Ora però li ho accettati, mi sono abituata e non ci faccio più caso». La sua acuità visiva è di un decimo da entrambi gli occhi: le lenti colorate e oscurate oltre ad aiutarla a vedere meglio la proteggono dalla luce, alla quale è particolarmente sensibile.
Campionessa di Parakarate
Per molti anni si è sforzata soprattutto di «mimetizzarsi» cercando di ridurre al minimo le differenze con i coetanei, poi è diventata campionessa di Parakarate, ed è cambiato tutto. Lo sport l’ha aiutata a crescere e a considerare in modo diverso la sua fragilità. Ha vinto più volte i campionati italiani di questa disciplina, nello scorso mese di marzo ha conquistato per la seconda volta la medaglia d’argento ai campionati europei, ed è pronta per nuovi traguardi. Benedetta cammina senza paura, è piena d’energia e conquista la simpatia delle persone con il suo sorriso aperto e contagioso. È ipovedente, sì, ma questa «caratteristica» non le impedisce di trovare il suo posto nel mondo, di impegnarsi per realizzare i suoi sogni e avere la vita che desidera.
In missione in Costa d’Avorio
A luglio partirà per un’esperienza breve di missione in Costa d’Avorio nell’ambito del progetto «Finimondo, sui sentieri della missione» rivolto ai giovani dai 18 ai 35 anni, promosso dal Centro Missionario Diocesano di Bergamo: «L’anno scorso - spiega - ho ascoltato la testimonianza di una ragazza che ha vissuto la stessa esperienza. Mi ha colpito molto e così ha iniziato a frullarmi in testa l’idea di partire anch’io. Ci ho pensato per tutta l’estate, poi l’ho chiamata e alla fine ho deciso di iscrivermi al corso di formazione del CMD. A luglio trascorrerò tre settimane nella Missione Diocesana in Costa d’Avorio. Nella prima ci occuperemo del Cre, poi parteciperemo al convegno giovanile della diocesi locale e nella terza visiteremo i luoghi della missione. Ho pensato che allontanarmi per un po’ dalla realtà quotidiana possa aiutarmi a ragionare con più lucidità sul mio futuro».
Ermanno e Viviana, i genitori di Benedetta, si sono accorti precocemente dei suoi problemi visivi: «Quando avevo otto mesi, insospettiti da uno strano tremore negli occhi, mi hanno sottoposto a visite e accertamenti, scoprendo questa malattia congenita fortunatamente non degenerativa. Mia sorella Beatrice, di due anni più grande, è normo vedente. Mio fratello Giovanni, di tre anni più piccolo, ha il mio stesso problema, con effetti leggermente più gravi».
Com’è il mondo visto con gli occhi di Benedetta? «Lo vedo bello, anche se non riesco a definire bene gli oggetti da lontano e fatico a distinguere i colori. Il paesaggio ha dei contorni un po’ sfumati, riesco a dare, potrei dire, un’interpretazione generale».
Com’è il mondo visto con gli occhi di Benedetta? «Lo vedo bello, anche se non riesco a definire bene gli oggetti da lontano e fatico a distinguere i colori. Il paesaggio ha dei contorni un po’ sfumati, riesco a dare, potrei dire, un’interpretazione generale».
Le incertezze da bambina
Quando era piccola questa condizione le ha creato qualche incertezza: «Fin dalla scuola dell’infanzia mi sono resa conto di essere diversa dagli altri, anche se mi sono sempre buttata nei giochi e nella vita senza troppi pensieri perché sono fatta così, e questo mi ha permesso di vivere normalmente. Col tempo ho dovuto riconoscere i miei limiti, ma è stato un processo graduale». Alla scuola primaria le è stato affiancato un insegnante di sostegno: «Anche questo per me è stato uno scoglio, perché la sua presenza marcava la differenza tra me e i miei compagni e mi metteva a disagio. Poi ho riconosciuto quanto fosse importante per me e quanto mi abbia aiutato nel gestire lo studio, gli appunti, i compiti. Ora grazie alle conquiste fatte negli anni sono in grado di gestire da sola gran parte del carico scolastico. A scuola riesco a vedere la lavagna usando il computer. Preferisco comunque la sintesi vocale alla lettura».
Ora studia al liceo
Benedetta frequenta il quarto anno di liceo delle scienze umane all’istituto superiore Romero di Albino: «Non è stato facile all’inizio, quando ero in prima è scoppiata la pandemia, non avevo ancora gli strumenti didattici adatti a disposizione. Fortunatamente in seconda agli studenti con fragilità è stato consentito frequentare di persona anche durante i lockdown, altrimenti per me sarebbe stato complicato mantenere il passo. Questo è finalmente il primo anno “normale”. Ora in classe c’è la lavagna digitale, che per me è di grande aiuto. Tutte le materie di studio mi piacciono molto, penso di aver scelto l’indirizzo adatto a me. Non so ancora cosa fare, ho tante idee diverse. Intanto cerco di cogliere le opportunità che mi vengono offerte e penso che gli stimoli che arrivano dalle diverse attività contribuiscano tutti alla mia formazione».
Ogni venerdì all’oratorio partecipa agli incontri del gruppo adolescenti e di recente è entrata a far parte anche del gruppo locale del Mato Grosso: «Ne faccio parte con una quindicina di giovani della media Valle Seriana, da Nembro a Gazzaniga. Andiamo a fare traslochi e sgomberi, a raccogliere ferro e indumenti. Quello che raccogliamo serve per aiutare le missioni».
Lo sport per Benedetta è sempre stato un punto d’attrazione: «Ho provato l’atletica, la danza, e il nuoto con l’associazione sportiva Omero di Bergamo, che offre opportunità di inserirsi a persone con disabilità visiva. Sempre con i corsi di Omero ho imparato anche a sciare, poi però ho lasciato perdere, non mi sentivo sicura, non mi sembrava lo sport giusto per me. Quando ho iniziato la scuola primaria ho voluto provare il karate. Altri miei amici frequentavano il corso della società Karate Arashi che si svolgeva ad Abbazia e questo lo rendeva anche più divertente. Col tempo mi sono appassionata e negli anni della scuola secondaria di primo grado ho iniziato l’attività agonistica».
Le gare rappresentano anche un’esperienza umana straordinaria: «Nascono legami profondi con gli altri atleti. Ho imparato moltissimo dalle altre persone con disabilità che gareggiano nella mia squadra di Parakarate. Abbiamo condiviso emozioni e soddisfazioni molto intense e coinvolgenti».
Proprio in quegli anni sono stati avviati i primi campionati di Parakarate: «Siamo in pochi è un movimento in crescita, anche per questo è molto bello poter partecipare. La prossima tappa sono i mondiali di ottobre a Budapest». Le gare rappresentano anche un’esperienza umana straordinaria: «Nascono legami profondi con gli altri atleti. Ho imparato moltissimo dalle altre persone con disabilità che gareggiano nella mia squadra di Parakarate. Abbiamo condiviso emozioni e soddisfazioni molto intense e coinvolgenti».
Il Parakarate è uno sport «per la vita - chiarisce Benedetta - non è solo combattimento, ma anche difesa personale e c’è anche un aspetto importante legato al rispetto, alla disciplina, e alla necessità di seguire le regole. A una bambina che non conosce ancora il mondo un’arte marziale come questa offre molte chiavi per gestire diversi aspetti. A livello motorio per esempio aiuta a gestire la coordinazione e il controllo della forza».
Gli allenamenti le occupano molto tempo: «Sono quattro sessioni alla settimana, due ad Abbazia, una a Vall’Alta e poi in una palestra di Brembate, dove andiamo una volta alla settimana. A frequentare i corsi di karate ci sono una settantina di ragazzi di tutte le età e adulti, ma solo una decina partecipano alle gare».
Il mondo del karate
Ci sono diversi stili nel karate: il kumite che prevede il combattimento vero e proprio e il kata in cui non c’è un avversario reale e vengono valutati la tecnica, la potenza e l’espressività delle mosse. «Il mio stile è il kata, che è anche l’unico presente nel Parakarate. È impegnativo conciliare tutti questi impegni ma fino ad ora ce l’ho sempre fatta e a scuola ottengo buoni risultati, anche se ci sono periodi in cui sono più motivata e altri in cui avverto la stanchezza. Mi aiuta la presenza di un bravo assistente alla comunicazione, una figura aggiuntiva rispetto all’insegnante di sostegno, che nel tempo mi ha permesso di adattare la didattica degli insegnanti alle mie difficoltà e mi ha spronato a migliorare la mia autonomia, in modo da costruire i mezzi per proseguire da sola all’università, quando non potrò più contare su alcun affiancamento».
Intanto mette alla prova il suo spirito indipendente escogitando sistemi per spostarsi da sola: «È stata mia sorella Beatrice a insegnarmi a prendere l’autobus in prima superiore per andare a scuola. Avendo sempre tante persone accanto è molto più semplice, mi sono resa conto che altri soffrono più di me e anch’io posso giocare qualche carta per aiutarli».
Benedetta apprezza molto il vantaggio che ha ottenuto crescendo in una famiglia numerosa e molto affiatata: «Ho molti parenti, quindi ho sempre avuto tanti legami sociali e sono riuscita a capire con l’esperienza come funzionassero. Così nei diversi cicli scolastici ogni volta che cambiavo classe ho sempre stretto con facilità nuove amicizie. A volte le persone non conoscono la mia disabilità, perché non mi piace parlarne. Col tempo ho capito che se non manifesto la mia fragilità poi non posso aspettarmi di ricevere aiuto quando mi trovo in difficoltà». Una delle sfide più difficili per lei è stata accettare di essere aiutata: «Ogni volta che si esce dalla normalità si rischia di pesare sugli altri, e io ho sempre cercato di non farlo. Non è facile affidarsi agli altri e mostrare loro la propria fragilità, ma ora mi sembra di aver trovato un buon equilibrio».
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