«Io, donatore di midollo nel ricordo di mio fratello, morto di leucemia»

LA STORIA. Fabio Nava, di Terno, è iscritto all’Admo da quando aveva 18 anni: esperienza che cambia.

«L’amore fraterno – scrive Erich Fromm, psicologo e filosofo – è amore tra esseri simili; ma, in realtà, anche tra simili che non sono sempre “simili”: infatti, poiché siamo esseri umani, siamo tutti bisognosi di aiuto. Oggi io, domani tu». Secondo Fabio Nava, di Terno d’Isola, anche la donazione di midollo osseo può instaurare un legame speciale di fraternità fra due persone, al di là delle relazioni di parentela, nonostante siano «perfetti sconosciuti»: così appena ne ha avuto l’opportunità l’ha colta al volo.

«Ho perso mio fratello Roberto nel 2007 – racconta – a causa di una leucemia. Nessun familiare ha potuto donargli il midollo osseo, perché non eravamo compatibili. Anche per questo mi ha reso davvero felice poter dare a un’altra persona la possibilità di guarire».

Fabio, 38 anni, abita a Terno d’Isola dal 2016 con sua moglie Monica e il figlio Federico, di tre anni. È stato il 150° donatore di midollo della Bergamasca, una circostanza particolarmente significativa e felice per lui. L’ha aiutato infatti a dare senso al suo percorso personale: «Ho perso mio fratello Roberto nel 2007 – racconta – a causa di una leucemia. Nessun familiare ha potuto donargli il midollo osseo, perché non eravamo compatibili. Anche per questo mi ha reso davvero felice poter dare a un’altra persona la possibilità di guarire».

La malattia di Roberto

Era il 2001 quando Roberto ha manifestato i primi segni della malattia e in quel periodo la sua famiglia abitava a Paderno d’Adda: «Mio fratello – spiega Fabio – ha iniziato a seguire le

terapie all’ospedale di Bergamo, centro di eccellenza per l’ematologia. Aveva quasi 21 anni, cinque più di me. Quando lo hanno ricoverato hanno tipizzato tutti i membri della famiglia, per verificare se c’era qualcuno compatibile con lui, in grado di donargli il midollo osseo. È una condizione rara, anche all’interno della famiglia, e nel nostro caso, purtroppo, nessuno ha potuto offrirgli ciò che gli serviva. Questo ci ha causato molta sofferenza».

I medici hanno tentato comunque altre terapie: «Lo hanno sottoposto a un auto-trapianto di cellule staminali, con esito positivo. La malattia è andata in remissione e per due anni e mezzo Roberto è stato bene, ha potuto anche riprendere l’attività lavorativa. Poi, però, ha dovuto affrontare una ricaduta e ha ricominciato le terapie. I medici non hanno mai interrotto la ricerca di un potenziale donatore di midollo, che non è stato mai trovato. Nel 2006 è stato sottoposto a un diverso tipo di trapianto, con le cellule staminali di un cordone ombelicale. È stato ospitato per un certo periodo alla Casa del Sole di Bergamo, che gli permetteva di restare vicino all’ospedale, un aspetto molto importante nella fase delicata successiva al trapianto». Nonostante tutto l’impegno, i tentativi, il coraggio e la tempra forte di Roberto non c’è stato il lieto fine che lui e la sua famiglia speravano: «Non c’è stato più nulla da fare, le sue condizioni sono peggiorate e nel 2007, a 26 anni, mio fratello ha dovuto arrendersi alla malattia. Ha lasciato un grande vuoto nel nostro cuore, accompagnato dalla consapevolezza di quanto sia importante un’azione apparentemente piccola e semplice come la registrazione al Registro nazionale dei donatori di midollo osseo».

È stato proprio Roberto, con il coraggio e la tenacia dimostrati durante la malattia, a indicare a Fabio come tessere nuove trame di speranza per il futuro: «A 18 anni mi sono iscritto subito all’Admo. Sapevo già di non essere compatibile con mio fratello, e proprio questo mi ha dato una forte motivazione. Lui ci ha sempre trasmesso apertamente il suo desiderio di aiutare altri malati di leucemia. Ne ha incontrati molti durante i ricoveri, con i quali ha stretto legami di amicizia. Si preoccupava del loro destino, si augurava che avessero l’opportunità di guarire. Voleva impegnarsi per sostenere l’opera di medici e infermieri che si sono prodigati per lui dal punto di vista professionale e umano». Così Fabio e i suoi familiari hanno offerto un costante sostegno all’Associazione italiana contro le leucemie (Ail): «Mio padre attualmente è presidente della sezione di Lecco. Mio fratello ci ha incoraggiato a raccogliere fondi per la ricerca, per attivare per esempio delle borse di studio»

La telefonata inaspettata

Sono passati tanti anni e ormai Fabio non pensava più di poter essere chiamato per la donazione di midollo osseo: «La fatidica telefonata dell’ospedale, con mia grande sorpresa, è

arrivata nell’estate del 2018. Ero in vacanza con mia moglie in Francia, sono rientrato e dopo pochi giorni ho iniziato l’iter delle analisi per verificare la compatibilità con il possibile ricevente. Mi sono accorto subito di quanta cura e attenzione vengano riservate al donatore: si sono accertati che le mie condizioni di salute fossero ottimali, si sono preoccupati di chiedermi in ogni fase del percorso se volessi confermare la mia disponibilità alla donazione. Sono stato molto lieto di rivedere medici e infermieri che già conoscevo, perché in passato si erano occupati di mio fratello».

«La fatidica telefonata dell’ospedale, con mia grande sorpresa, è arrivata nell’estate del 2018. Ero in vacanza con mia moglie in Francia, sono rientrato e dopo pochi giorni ho iniziato l’iter delle analisi per verificare la compatibilità con il possibile ricevente».

Attualmente i metodi utilizzati per la donazione sono due: il primo è il prelievo da sangue periferico, applicato in 8 donazioni su 10, indicato come aferesi, che si avvale dell’utilizzo di separatori cellulari: il sangue prelevato da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto (cellule staminali) viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene reinfuso nel braccio opposto (per maggiori informazioni www.admo.it) . C’è poi il prelievo del midollo dalle ossa del bacino, la modalità di donazione più “antica”, in cui il donatore viene sottoposto ad un’anestesia generale o epidurale, così che non senta alcun dolore durante l’intervento: «È questa la tipologia di prelievo che mi è stata richiesta – spiega Fabio –. La scelta spetta ai medici, in base alle necessità del ricevente. Mi hanno chiesto se ero comunque disponibile a donare. Ho accettato di buon grado anche se si tratta di una procedura un po’ più invasiva. Dal mio punto di vista ho sempre pensato di dover seguire questo procedimento fino in fondo: non potevo lasciar perdere a metà strada sapendo che c’era qualcuno dall’altra parte che stava aspettando, e che la mia donazione rappresentava probabilmente la migliore possibilità di continuare a vivere. Per me si è trattato comunque soltanto di un piccolo intervento, che non mi ha lasciato alcuna conseguenza».

Dopo pochi giorni, infatti, Fabio è tornato alla sua routine abituale: «Per me è stato un gesto molto importante, al di là della coincidenza numerica della 150ª donazione». Si è creata intorno a Fabio una grande carica d’emozione, come se per tutti quella fosse un’occasione per ritrovare slancio e coraggio e prendersi una parziale rivincita nei confronti di un destino amaro. «Ho potuto aiutare un’altra persona – afferma Fabio – anche se non so di chi si tratti. Le ho lasciato un messaggio per spiegare che la donazione dal mio punto di vista ha instaurato fra noi un legame unico di fratellanza». Dalla lettera che il ricevente ha inviato a Fabio traspare una profonda gratitudine: «Mi hai aiutato ad apprezzare ogni giorno come un dono e a guardare la vita da una prospettiva diversa – scrive –. Da quando ho ricevuto il trapianto penso spesso a te che con questo gesto ci hai resi fratelli di sangue. Festeggio quel giorno come un secondo compleanno».

«Lo rifarei altre mille volte»

Da allora Fabio continua a svolgere un’intensa attività di sensibilizzazione sul trapianto di midollo partecipando alle attività dell’Admo: «Vado volentieri a portare la mia testimonianza agli studenti delle scuole, perché ho sperimentato sulla mia pelle che un donatore in più può fare la differenza. Ogni volta che ci penso mi viene in mente mio fratello e mi sento soddisfatto di aver potuto contribuire ad aiutare qualcun altro. Un gesto che mi è costato davvero poco, ma ha avuto un peso enorme nella vita di una persona malata. Nei giorni scorsi sono stato come volontario in uno stand Admo alla Camminata Nerazzurra di Bergamo a raccogliere iscrizioni e tipizzazioni. Si sono fermate tante persone, qualcuno solo per chiedere informazioni, altri per raccontare storie toccanti. Mi è capitato per esempio di incontrare una giovane coppia con due figli piccoli, uno dei quali è malato di leucemia. Sono situazioni più frequenti di quanto si possa immaginare, anche per questo c’è sempre bisogno di aiuto, ed è fondamentale adoperarsi, perché la cultura della donazione si diffonda il più possibile».

Nella famiglia di Fabio lo sport ha un ruolo importante: «Mio fratello Roberto era appassionato di calcio, seguiva anche i campionati stranieri sui canali televisivi internazionali. Anch’io ho seguito il suo esempio, mi piace anche giocare: lo facevo da piccolo nella squadra dell’oratorio, poi a 18 anni mi è venuta l’idea di diventare arbitro e per realizzarla ho seguito il percorso formativo richiesto. Ho continuato per tanti anni, ora sono arbitro in “eccellenza”, ma sono vicino ai quarant’anni e probabilmente tra poco smetterò. Quando racconto ai bambini e ragazzi la donazione non tralascio questo aspetto, perché è importante: la donazione di midollo non è affatto nociva per l’attività sportiva. Bastano pochi giorni di riposo per tornare agli stessi livelli di prima».

La famiglia di Fabio lo ha sempre sostenuto con entusiasmo nella scelta della donazione: «Ho preso in modo autonomo la decisione di iscrivermi all’Admo e al registro dei donatori – ricorda con una punta di commozione –, perché era una mia esigenza personale, ma mi ha fatto piacere vedere quanta gioia e orgoglio hanno provato i miei familiari quando è arrivato il momento. È stato un gesto condiviso, che ci ha riportato a onorare la memoria di Roberto. Nonostante lui stesso fosse malato, pensava continuamente agli altri, si preoccupava per loro, si appassionava alle loro storie, si augurava che ognuno avesse una possibilità di guarire. Sono certo che sia molto orgoglioso di quanto è accaduto. Lo rifarei altre mille volte».

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