Inno nazionale sul podio delle Olimpiadi, un tuffo al cuore: «L’agonismo spinta a superare gli ostacoli»

LA STORIA. Nel 2008 a Pechino Maria Poiani ha raggiunto l’oro nei 50 stile libero e record alle Paralimpiadi: «Una grande emozione».

Quando parte l’inno nazionale italiano, durante le premiazioni degli atleti alle Olimpiadi di Parigi, Maria Poiani sente un tuffo al cuore: la sua memoria torna a quel momento di sedici anni fa, a Pechino, nel 2008, quando sul gradino più alto del podio c’era lei, vincitrice della gara di 50 metri stile libero alle Paralimpiadi. In quell’occasione Maria, ipovedente, aveva stabilito anche il nuovo record mondiale: «Una grandissima emozione - sorride -. Poi naturalmente è stato superato, quattro anni dopo».

Ricorda ancora, come fosse ieri, la concitazione di quella giornata: «Non ho realizzato subito che avevo vinto. Appena uscita dalla vasca sono andata di corsa a sottopormi all’esame antidoping. Poi mi hanno accompagnato in sala stampa, ho dovuto rispondere a mille domande dei giornalisti. E poi mi sono messa in coda per aspettare il momento della premiazione. Da lì in poi, tutti mi conoscevano, mi chiamavano per nome e mi salutavano. Pechino era un altro mondo, lontanissimo da casa, le connessioni erano complicate: mi ricordo che quel giorno non riuscivo a mettermi in contatto con mio marito, i miei genitori, l’allenatore che era rimasto a casa. Solo la sera ho iniziato a rendermi conto di cosa fosse successo e ad assaporare tutta la gioia di quel risultato».

La medaglia in cornice

Tiene la medaglia in cornice, appesa in camera dei suoi figli, insieme all’attestato di merito consegnatole al ritorno dal Presidente della Repubblica, un segno di gratitudine per lei che «ha onorato e reso grande lo sport italiano». La sua carriera di nuotatrice è iniziata precocemente: «I miei genitori mi hanno avviato ai primi corsi quando avevo sei anni, perché il nuoto è considerato comunemente uno degli sport più adatti per sviluppare bene la muscolatura. Seguivo lezioni “normali”, con gli altri bambini e insegnanti vedenti».

Allora Maria abitava a Lodi: «Dopo un po’, imparata la tecnica di tutti gli stili, ho iniziato ad annoiarmi e a brontolare, perché mi sembrava di fare sempre le stesse cose. Poi un giorno, quando avevo circa dieci anni, abbiamo letto su un giornale che una società sportiva milanese cercava atleti non vedenti da inserire nella squadra di nuoto agonistico. Ci siamo presentate, mi hanno fatto fare una prova, è andata bene e così sono entrata nella Federazione sport disabili. Prima di leggere quell’articolo non sapevamo nemmeno che esistesse, oggi per fortuna le informazioni circolano più facilmente».

Maria nuotava, e fin dall’inizio, senza sforzarsi troppo, otteneva risultati brillanti: «A 11 anni ho stabilito il record italiano dei 50 metri di stile libero nella mia categoria. Mi sono trovata a vincere le prime gare senza avere ancora la consapevolezza del vero significato dell’agonismo, perché in quel periodo per me era ancora un gioco e mi veniva naturale, senza fare fatica. Qualche anno dopo, invece, ho iniziato a frequentare le competizioni internazionali, dove mi confrontavo con atleti molto più forti di me. È stato un passaggio importante, a quel punto mi sono resa conto che era necessario faticare e allenarmi per mantenere quel livello e avere chance di vincere. Mi sono appassionata allo sport e ho scoperto che c’erano tanti modi per esercitarmi e migliorare i tempi senza annoiarsi mai».

La passione fin da piccola

I suoi allenatori l’hanno accompagnata rispettando i ritmi e le fasi della crescita, senza forzare le tappe: «L’impegno negli allenamenti è aumentato in modo graduale, prima due pomeriggi, poi tre, poi quattro e così via. Man mano ho capito come agire per poter realizzare le mie potenzialità. A 14 anni ero già in grado di gareggiare con i tempi giusti per partecipare alle Olimpiadi di Atlanta del 1996, ma non ci sono andata, perché ero ancora troppo giovane».

La prima Paralimpiade a cui Maria ha partecipato è stata quella di Sidney, in Australia, nel 2000. «Sono entrata in un mondo pieno di sport, ho visto l’agonismo al 100 per cento. C’era un’atmosfera del tutto diversa da quella delle altre gare. Nonostante la mia indole tranquilla, sono stata contagiata dal desiderio di dare il meglio di me stessa, e magari di vincere. Ho incontrato atlete bravissime, per raggiungere una finale ho dovuto lottare, alla fine il mio risultato migliore è stato un sesto posto».

Un incontro speciale

Nel 2004 Maria ha saltato l’appuntamento di Atene, perché stava traslocando a Bergamo e la sua attenzione era concentrata su problemi pratici: «Mi sono trasferita per amore - racconta -, perché mio marito Alberto, anche lui non vedente, è bergamasco». Si sono incontrati per caso a Brescia, a una conferenza: «Nessuno dei due voleva andarci, eppure è stata una serata speciale, che ci ha cambiato la vita. Nel programma c’erano alcune testimonianze di persone con disabilità e la presentazione di nuove tecnologie di supporto alla vita quotidiana. Per noi, ovviamente, la cosa più importante è stata l’opportunità di conoscerci e di iniziare a frequentarci. Qualche tempo dopo abbiamo deciso di sposarci e di stabilirci qui». La loro casa è nel quartiere di Sant’Anna, in una posizione strategica: «Ci sono tre linee di autobus e il tram, perciò è facile spostarsi».

Al momento del trasloco Maria aveva poco più di vent’anni, e una volta sistemati gli aspetti logistici e il lavoro ha ripreso ad allenarsi seriamente: «Sono stata accolta dalla Phb, Polisportiva Bergamasca, e ho ricominciato a partecipare alle gare con questa squadra, con nuovi allenatori e atleti. Mi sono impegnata subito con serietà, come piace a me».

Nel 2007, ai mondiali Ibsa di Rio de Janeiro, ha ottenuto risultati straordinari: due medaglie d’oro nei 50 e nei 100 metri stile libero, due d’argento nei 100 metri rana e nei 200 metri misti e un bronzo nei 200 metri stile libero. «Sono riuscita a raggiungere i livelli necessari per qualificarmi per le Paralimpiadi. Così ho ottenuto il lasciapassare per Pechino». In Cina ha vissuto la seconda Paralimpiade in modo del tutto diverso: «Avevo 26 anni, ero più matura, avevo più esperienza in ambito agonistico, e questo ha fatto la differenza. Ho affrontato le gare con un altro spirito. Nel mio cuore immaginavo già che probabilmente quella per me sarebbe stata l’ultima Paralimpiade».

Un nuovo capitolo

Una volta tornata a casa, fiera e felice del risultato conquistato, Maria era pronta ad aprire un nuovo capitolo della sua vita: «L’anno dopo, nel 2009, è nato Davide, il mio primogenito, e poi nel 2011 è arrivato il secondo figlio, Jonathan. Entrambi sono vedenti, perché la mia condizione e quella di mio marito non sono legate a problemi genetici».

Nel tempo Maria ha imparato ad affrontare con ironia e leggerezza i pregiudizi degli estranei: «La gente spesso giudica con superficialità. Pensa che essendo entrambi non vedenti per noi sia impossibile gestire la casa e la vita quotidiana, invece non è così».

Ha imparato da sua madre a prendersi cura autonomamente delle incombenze quotidiane: pulire, lavare, riordinare, in modo da poter essere indipendente. Per cucinare ha seguito qualche lezione: «Ho imparato le basi - spiega - da una signora non vedente. Non mi sono mai particolarmente appassionata, però so destreggiarmi con tutto ciò che mi serve. Mi piace soprattutto preparare i primi, il mio piatto forte sono le lasagne, ma mi arrangio un po’ con tutto».

Tenace e indipendente

L’approccio di Maria è sempre stato tenace e coraggioso, anche nei momenti più delicati. La sua linea d’azione è stata affrontare una difficoltà alla volta e cercare modi creativi per riuscirci. «Quando i bambini erano piccoli - racconta - avevo sempre timore che si sporcassero senza che me ne accorgessi, perciò li cambiavo molto spesso, erano i bambini più splendidi, puliti e profumati che si potessero immaginare. Per questo tenevo sempre a portata di mano una scorta di tutine appese».

Da tempo Maria ha smesso di nuotare: «Potrei ancora andare in piscina e allenarmi da sola, ma non è lo stesso che stare con la propria squadra, per questo preferisco dedicarmi ad altro. Mi sono iscritta all’associazione Omero, che promuove attività sportive per ciechi e ipovedenti. Così posso coltivare un’altra delle mie passioni: camminare in montagna. Apprezzo moltissimo il clima fresco, il silenzio, i numerosissimi profumi. Mi piace stare in compagnia, le guide che ci accompagnano sono bravissime. Non ci dicono mai che non possiamo fare qualcosa perché non vediamo. Ci danno istruzioni precise, spiegandoci come dobbiamo alzare il piede, dove sono gli ostacoli, aiutandoci a seguire il sentiero. Si capisce che lo fanno volentieri, per amicizia e non per compassione». Nelle gite organizzate da Omero c’è sempre tanto sport, ma anche divertimento e convivialità: «Quando sono entrata in questo gruppo mi è piaciuto molto lo spirito che anima le persone: volontari e non vedenti trascorrono dei bei momenti insieme, senza mille problemi, senza dover sottolineare etichette, condizioni e categorie. Per le camminate le guide scelgono sentieri alla nostra portata e fra noi non c’è competizione, solo il desiderio di cimentarsi insieme in una bella attività. Se qualcuno si stanca tutti si fermano e aspettano, senza criticare o giudicare, e poi si procede insieme».

L’amore per lo sport ai figli

Ha trasmesso l’amore per lo sport anche ai suoi figli: «Hanno iniziato con il ciclismo, Davide adesso è nella categoria allievi, Jonathan invece preferisce giocare a calcio». Accanto alla sua medaglia nella loro camera hanno appeso quelle ottenute nelle loro prime gare. «Lo sport - conclude Maria - è importantissimo per me, penso che abbia dato una forte impronta alla mia vita e che continui ad aiutarmi anche oggi. L’agonismo può essere una spinta per superare gli ostacoli, uno stimolo a non mollare mai, ad affrontare a viso aperto le sfide che si presentano».

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