In gommone verso una vita migliore, ora il sogno della laurea si è realizzato

LA STORIA. Youssouf Traore, dalla Libia per due giorni in balia delle onde. «Quando sei disperato, ti aggrappi a ogni possibilità».

Quando ha attraversato il mare dalla Libia alla Sicilia, Youssouf Traore, 27 anni, originario del Mali, è rimasto per due giorni in balia delle onde, stipato con altre cento persone su un gommone. A volte gli tornano in mente il buio, il malessere, la paura, perché la sua stessa vita era in pericolo. Ormai, però, sono solo frammenti, come fotogrammi di un film in bianco e nero. C’è però una cosa che ricorda sempre in modo nitido, ed è ciò che lo ha spinto a partire, nonostante tutto. La luce che anche in quel momento custodiva nel cuore: «Sognavo una vita migliore - dice -, e quando sei disperato ti aggrappi a qualunque possibilità».

Il destino lo ha portato nella Comunità del Patronato San Vincenzo di Sorisole, dove è arrivato nel 2014 a 17 anni, minore non accompagnato. È stato affidato alle cure di don Fausto Resmini, che lo ha aiutato a tenere accesa quella luce: «Per me è stato come un padre». Ora, finalmente, ha realizzato un sogno: ha ottenuto la laurea triennale in Scienze dell’educazione e lavora nella comunità che lo ha accolto aiutando altri ragazzi come lui. È il primo a raggiungere questo traguardo nella sua famiglia, dove è il quinto di sei fratelli, e nella comunità di Sorisole. Un motivo di grandissima gioia e d’orgoglio.

Il caos dopo Gheddafi

«Sono nato e ho trascorso tutta la mia infanzia in Libia - racconta -, dove i miei genitori si sono trasferiti dal Mali alla ricerca di una vita migliore. Siamo sei fratelli, io sono il penultimo. Non era facile vivere in Libia durante la dittatura, ma abbiamo trascorso degli anni abbastanza tranquilli. Come stranieri subivamo discriminazioni e pregiudizi, ma nonostante questo sono cresciuto bene, ho potuto studiare. Le cose sono cambiate nel 2011 quando Gheddafi è stato ucciso e il Paese è precipitato nel caos. Non c’era più sicurezza, sono aumentati conflitti, crimini, rapine, arresti immotivati e torture, soprattutto ai danni degli stranieri. Le scuole sono state chiuse e io sono rimasto per un po’ senza studiare, sperando che la situazione migliorasse. A un certo punto, dato che non c’erano buone prospettive, ho iniziato a pensare di partire per l’Europa. Non è stato facile, perché i miei genitori non volevano: alla televisione continuavano a scorrere le immagini di naufragi e morti. Ho dovuto insistere molto per convincerli».

Youssouf, però, non si è perso d’animo: «Una mattina ho accompagnato mio padre al lavoro, gli ho dato una mano e intanto ne ho approfittato per riprendere il discorso. Lui ha compreso le mie ragioni e alla fine si è arreso, ha accettato che partissi, offrendomi saggi consigli».

Non era difficile trovare informazioni, perché erano molte le persone che si cimentavano nello stesso percorso: «I trafficanti - ricorda Youssouf - passavano ovunque. Un conoscente mi ha messo in contatto con uno di questi “passeur”. Quando parli con loro ovviamente ti rassicurano, dicendoti che ci sarà una grande nave per il trasporto e che la traversata è sicura, in realtà poi si scopre che non è così. Per questi uomini senza scrupoli il denaro vale di più della vita delle persone. Sono partito lo stesso, perché ero disperato. Vivevo in un Paese immerso nel caos, non potevo proseguire gli studi. C’era una voce dentro di me che mi spingeva a partire, anche se c’era pericolo. Quando sono salito su quel gommone ho avuto un attimo di paura e di pentimento, ma ormai era troppo tardi».

La paura e il coraggio

In quei giorni gli è servito tutto il suo coraggio: «Ci hanno dato appuntamento in un posto in mezzo al deserto che faceva da punto di raccolta. Ci hanno tenuto per due settimane rinchiusi in una costruzione diroccata, in condizioni molto difficili. Da lì ci hanno portato verso la costa, su un camion riempito all’inverosimile, coprendoci con un telo pesante. Eravamo addossati gli uni agli altri e quasi non riuscivamo a respirare. Se qualcuno tentava di mettere fuori la testa lo picchiavano. Quando finalmente siamo arrivati sulla costa non c’erano navi, ma solo due gommoni. Abbiamo aspettato l’ora della partenza da metà pomeriggio fino a mezzanotte. Poi uno dei gommoni non funzionava, i passeur hanno detto che solo 105 sarebbero partiti. Si è creata un’atmosfera di grandissima tensione, perché a quel punto tutti volevano salire. Io sono stato uno degli ultimi a essere chiamato e ne sono stato felice».

Per due giorni ha viaggiato in mare aperto: «Stavamo male, avevamo paura, alla fine però siamo stati raccolti e salvati dalla nave di un’organizzazione non governativa che ci ha portato in Sicilia. Dopo due settimane ci hanno mandato a Milano e da lì a Bergamo. Così sono arrivato alla Comunità di Sorisole, che ormai posso chiamare casa».

È stato l’inizio di un cammino di rinascita: «Non conoscevo nessuno, ma pian piano sono cresciuto, ho stretto nuove amicizie e ho trovato la mia strada. Mi è rimasto nel cuore il sorriso con cui don Fausto mi ha accolto. La comunità fin dall’inizio mi ha dato fiducia e mi ha aiutato a proseguire gli studi, riprendendo il percorso dalla terza media. Non è stato facile soprattutto a causa della lingua: in Libia avevo imparato il francese, ma non conoscevo neanche una parola di italiano. All’inizio non avevo neppure previsto di fermarmi in questo Paese. Come la maggior parte dei ragazzi immigrati sentivo il peso di dover guadagnare dei soldi, anche se i miei non mi hanno mai fatto pressione, erano preoccupati per me, ci tenevano che andassi a scuola. Per due settimane dal mio arrivo in Italia non sono riuscito a contattarli e posso solo immaginare quanto fossero spaventati. Quando finalmente sono riuscito a telefonare erano felicissimi».

Gli studi e il lavoro

Durante gli anni della scuola secondaria di secondo grado all’istituto Mamoli di Bergamo, Youssouf ha studiato e lavorato: «Quando i ragazzi mostrano inclinazione per gli studi - sottolinea don Dario Acquaroli, direttore del Patronato di Sorisole - cerchiamo di accompagnarli con borse lavoro e di accompagnarli con assunzioni minime in modo che possano avere il tempo di studiare e comunque guadagnare qualcosa. Youssouf ha lavorato nel laboratorio di serigrafia».

Negli anni è maturato il sogno di diventare educatore: «Il primo a suggerirlo è stato don Fausto - continua Youssouf -. Mi ha detto che secondo lui avevo le qualità necessarie, incoraggiandomi sempre. Vorrei tanto che fosse qui adesso, per potergli dire che ho mantenuto la mia promessa. Sono convinto che mi abbia molto aiutato crescere nell’ambiente del Patronato, circondato da brave persone, che mi hanno dato l’esempio».

Youssouf, con il suo carattere aperto e il suo sorriso gentile, non ha avuto problemi ad ambientarsi nelle scuole che ha frequentato: «Mi sono trovato benissimo con i compagni e i professori, anche se avevo difficoltà con la lingua italiana. In Libia era diverso, erano i miei genitori a occuparsi di me, mentre io dovevo pensare solo a lezioni e compiti. Qui ho dovuto assumermi maggiori responsabilità e questo mi ha fatto maturare più in fretta. Mi sono impegnato al massimo e sono sempre stato promosso». Dopo il diploma Youssouf aveva già chiaro il suo obiettivo: «Non vedevo l’ora di andare all’università. Nel frattempo avevo capito con chiarezza che desideravo iscrivermi a Scienze dell’Educazione e diventare educatore. Avendone avuto esperienza diretta, ho imparato che occorrono attenzione, cura e capacità di ascoltare».

La tesi sull’immigrazione

All’università ha scoperto un nuovo modo di studiare: «Il primo anno si è svolto nel periodo del Covid, con lezioni a distanza, poi invece ho potuto scoprire l’ambiente universitario, ho sviluppato capacità organizzative, ho acquisito un metodo di studio. Mi hanno appassionato soprattutto antropologia e pedagogia, in cui ho imparato a conoscere i tratti della professione dell’educatore. La tesi l’ho fatta sull’immigrazione a partire dal mio percorso». Nei giorni scorsi c’è stata la proclamazione della laurea triennale e ora Youssef sta pensando alla specialistica «ma prima - sorride - farò una breve pausa».

Da nove mesi vive per conto suo, in un appartamento fuori dalla comunità, e si è sposato con Kadia Magassa, una giovane del Mali. Il viaggio compiuto per il matrimonio nel 2021 per lui ha rappresentato un’occasione per scoprire per la prima volta il suo Paese d’origine: «Mi sono riunito alla mia famiglia e ho conosciuto un Paese molto diverso sia dalla Libia sia dall’Italia. Questo mi ha fatto cambiare prospettiva, riconsiderando il valore di cose concrete che qui diamo per scontate, come l’acqua e il cibo. Mi piacerebbe un giorno poter dare una mano alle persone che vivono lì».

Youssouf è stato l’unico della sua famiglia a laurearsi, e il primo fra i ragazzi ospitati nella comunità del Patronato San Vincenzo di Sorisole: «Abbiamo seguito con cura, attenzione e un pizzico d’orgoglio questo bel percorso - osserva don Dario -. Youssouf è serio, determinato, tenace, è stato d’esempio per tutti. Siamo particolarmente felici di vedere come sia riuscito a realizzare il sogno che aveva nel cuore. La sua presenza per noi è fondamentale».

Ora il compito di Youssouf è incoraggiare i ragazzi della comunità e accompagnarli nella crescita: «Spero di aiutarli a dare forma ai loro desideri. A volte capita che qualcuno prenda strade sbagliate, quando me ne accorgo cerco di dare loro una mano a ritrovare equilibrio. Non chiedo la perfezione, gli errori capitano a tutti, l’importante è riuscire a tenere accesa la luce che hanno dentro, perché le difficoltà a volte minacciano di spegnerla. Devono alimentare la spinta che li ha fatti partire, il desiderio di una vita migliore, e trovare la loro stella da seguire».

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