La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 26 Gennaio 2025
«Il mio fratellino con una sindrome rara. Ho donato il midollo e si è salvato»
LA STORIA. Micaela Azzola, 18 anni, la sorella maggiore: «Luca è nato con una brutta malattia, ora sta bene. Il mio impegno sull’importanza di donare».
«C’è un destino che ci rende fratelli - scrive il poeta americano Edwin Markham - nessuno va per la sua strada da solo. Tutto ciò che facciamo nella vita degli altri, ritorna nella nostra». Nella famiglia di Micaela Azzola, 18 anni, di Gazzaniga, l’impegno di aiutarsi a vicenda è diventato ancora più saldo di fronte a difficoltà straordinarie, rafforzando i legami di affetto e solidarietà reciproca. Quando era ancora bambina Micaela ha donato il midollo osseo al fratello minore Luca, per aiutarlo a combattere contro una malattia genetica rara.
«Sono felice di averlo fatto, se potessi ripeterei questa esperienza anche per una persona sconosciuta: la donazione di midollo osseo, infatti, è un gesto semplice, privo di conseguenze per chi lo compie, preziosissimo per chi lo riceve». Questo l’ha resa più sensibile alle difficoltà di chi vive una condizione di malattia e sofferenza, spingendola impegnarsi nel volontariato, e a sostenere le attività di sensibilizzazione di Admo (www.admo.it).
Frequenta la quinta liceo linguistico dell’istituto superiore «Romero» ad Albino e ha ereditato questa attitudine all’impegno sociale dai genitori Fulvia e Maurizio. «Ho conosciuto l’Admo perché me ne ha parlato mia madre, sempre attenta alle attività dell’associazione, sensibile ai temi legati alla donazione di midollo osseo, anche prima che ci toccasse direttamente».
Per la giustizia sociale
Condivide con la madre anche la partecipazione a Cooperativa Amandla, la bottega locale del commercio equo e solidale, insieme con una spiccata sensibilità alla giustizia sociale.
Suo fratello Luca è nato a gennaio del 2008: «Subito nei primi mesi ha iniziato ad avere problemi di salute come tosse e influenza, che però non si risolvevano con i rimedi comuni. I miei genitori lo hanno portato all’ospedale per capire che cosa stesse succedendo».
La sindrome di Wiskott-Aldrich
In un primo momento, però, le analisi non avevano dato un esito preciso e in seguito, anche su consiglio di altri genitori, avevano deciso di rivolgersi all’ospedale Gaslini di Genova per un consulto: «Dopo altri esami di approfondimento - racconta Micaela - i medici hanno scoperto che Luca aveva la sindrome di Wiskott-Aldrich, che secondo le statistiche colpisce un neonato ogni 250 mila. In seguito abbiamo scoperto che anche uno dei miei zii aveva avuto la stessa malattia».
La sindrome provoca immunodepressione e carenza di piastrine, e una serie di disturbi ad esse collegati. La terapia più indicata è il trapianto di midollo osseo, così Luca è stato ricoverato in ospedale e tutti i suoi familiari sono stati sottoposti a un test per verificare la compatibilità: «Sono risultata compatibile con lui, e mi rendo conto che si è trattato di una grandissima fortuna. Si tratta infatti di un evento piuttosto raro». In famiglia la probabilità di trovare un donatore compatibile è infatti del 25%, uno su quattro, tra individui non consanguinei scende addirittura a uno ogni centomila.
Luca ha affrontato un ciclo di sedute di chemioterapia prima del trapianto. «Ero piccola, fra noi la differenza d’età è solo di un anno e mezzo, e non ho ricordi chiari di quelle giornate. Ma è bello sapere che grazie a questa donazione mio fratello è vivo e sta meglio»
Luca ha affrontato un ciclo di sedute di chemioterapia prima del trapianto. «Ero piccola, fra noi la differenza d’età è solo di un anno e mezzo, e non ho ricordi chiari di quelle giornate. Ma è bello sapere che grazie a questa donazione mio fratello è vivo e sta meglio».
In quel periodo tutta la famiglia si è trasferita a Genova: «Luca doveva restare vicino all’ospedale. Abbiamo affrontato insieme ogni ostacolo e anch’io ero sempre al corrente di tutto, i miei genitori non mi hanno mai nascosto nulla. Siamo rimasti lontani da casa per parecchi mesi, con noi c’erano anche i nonni. Mio padre lavorava perciò ci raggiungeva quando gli era possibile».
Ora la loro vita è molto più serena: «Mio fratello - spiega Micaela con un sorriso - è appassionato di elettronica e studia in un istituto tecnico con indirizzo informatico».
Come scrive Anton Cechov «perfino essere malato è piacevole, quando sai che ci sono persone che aspettano la tua guarigione come una festa»: se una diagnosi scatena tempeste, dubbi, domande nella persona che la riceve e nei suoi familiari, ogni miglioramento dissipa le nubi.
«Abbiamo sempre affrontato le difficoltà con spirito positivo e costruttivo, sperando nell’esito migliore. Sono convinta che certe esperienze formino e facciano crescere e maturare. Noi ci siamo fatti forza a vicenda, e continuiamo a essere una famiglia molto unita».
Ha lasciato un segno
Quello che è accaduto ha lasciato un segno: «Sono cambiata, guardo il mondo in modo diverso dai miei coetanei. Mi rendo conto, per esempio, di avere un’idea particolare rispetto alla salute: frequentando gli ospedali per un certo periodo con mio fratello mi è capitato di vedere tante persone colpite da malattie gravi, bambini malati di cancro. Per fortuna i casi non sono così frequenti, non sono cose che si vedono tutti i giorni, ma sicuramente quando accade è poi difficile dimenticarsene».
Nascono da qui una sensibilità più accentuata e il desiderio di impegnarsi per un mondo migliore: «Sperimentare in prima persona una situazione di incertezza e di fragilità stimola a essere più attenti, a capire che ci sono tante persone meno fortunate che possono avere bisogno di aiuto. Se non ci fosse stata compatibilità tra me e Luca per il trapianto di midollo, per salvargli la vita avremmo dovuto cercare un donatore esterno alla nostra famiglia. Questa consapevolezza mi spinge ad agire, dove posso, per essere in qualche modo d’aiuto agli altri, perché sono convinta che ognuno sia chiamato a fare la propria parte».
Viviamo in una società che tende a esasperare l’individualismo, un mondo in cui ognuno si concentra sul proprio benessere, ma allo stesso tempo molti si sentono soli: «C’è bisogno - sottolinea Micaela - di persone che non pensino solo a sé stesse.
Viviamo in una società che tende a esasperare l’individualismo, un mondo in cui ognuno si concentra sul proprio benessere, ma allo stesso tempo molti si sentono soli: «C’è bisogno - sottolinea Micaela - di persone che non pensino solo a sé stesse. Soprattutto dopo il periodo della pandemia da covid-19 mi sembra che tanti si siano focalizzati solo sui loro problemi, invece penso che sia importante nutrire una preoccupazione per gli altri».
Micaela ha scelto il liceo linguistico perché le piace molto viaggiare, conoscere diversi Paesi e culture: «I miei genitori mi hanno portato in giro a scoprire il mondo, siamo una famiglia di viaggiatori. Grazie a queste esperienze che mi hanno appassionato, quando avrò terminato il liceo sto pensando di iscrivermi a Scienze Politiche Internazionali e magari in futuro trovare lavoro nell’ambito dei diritti umani o nelle organizzazioni internazionali».
Si spende in prima persona come testimonial della donazione di midollo: «Ne parlo molto con i miei amici e mi sono resa conto che fra la gente circolano ancora molti timori e molti luoghi comuni, forse perché non sanno davvero di che cosa si tratti. Non se ne parla abbastanza, così c’è chi continua a pensare che donare possa comportare conseguenze per chi lo fa, che faccia male. Dato che l’ho provato in prima persona sento che sia bene scardinare questa convinzione. Fra l’altro nel mio caso si è reso necessario prelevare il midollo dalle creste iliache, sotto anestesia, con un piccolo intervento di breve durata, da cui mi sono ripresa in pochissimi giorni. Il midollo osseo prelevato si ricostituisce nel giro di una settimana al massimo».
Questo metodo oggi viene usato più raramente: «Il più diffuso - continua Micaela - è il prelievo dal sangue periferico, impiegato in otto casi su dieci». La donazione, in questo caso, prevede la somministrazione, nei 5 giorni precedenti la donazione, di un farmaco che promuove la crescita delle cellule staminali nel midollo osseo e il loro passaggio al sangue. Questo tipo di prelievo, indicato come aferesi, si avvale dell’utilizzo di separatori cellulari: il sangue prelevato da un braccio attraverso un circuito sterile entra in una centrifuga dove la componente cellulare utile al trapianto viene isolata e raccolta in una sacca, mentre il resto viene reinfuso nel braccio opposto.
Una procedura molto semplice, generalmente ben tollerata, eseguita in day-hospital. «Conosco persone - osserva Micaela - che hanno donato il midollo a sconosciuti, senza sapere chi siano né dove vivono, magari dall’altra parte del mondo. Un gesto bellissimo e importante, spero che questa attitudine si diffonda, che nel futuro molti si iscrivano al registro dei donatori». Come requisiti per iscriversi occorre avere tra i 18 e i 35 anni, pesare almeno 50 chili e non avere patologie che precludano la donazione di midollo, come anemie, neoplasie, aritmie cardiache.
La curiosità degli amici
«Tanti miei amici sono incuriositi dalla donazione e mi chiedono informazioni. Recentemente alcuni, convinti dal mio racconto, hanno deciso di sottoporsi alla tipizzazione, e questo mi ha reso molto felice. Anche per questo penso che sia davvero utile impegnarsi in azioni di sensibilizzazione con Admo, per aumentare il numero dei potenziali donatori». Micaela non dimentica che la sua vita e quella della sua famiglia hanno preso una direzione positiva proprio grazie alla possibilità di donare il midollo osseo: «Mio fratello e io siamo molto diversi. Lui è vivace, pimpante, super-energico, io sono più tranquilla, mi concentro soprattutto sullo studio, ma gli voglio un mondo di bene e non potrei mai immaginare la mia vita senza di lui. Penso che ciò che ci è successo abbia rafforzato il nostro legame. Spero che sia così per tutta la nostra vita. Ci sono famiglie che non sono altrettanto fortunate, vorrei fare qualcosa per aiutarle, ed è per questo che vorrei impegnarmi a diffondere le donazioni. Anche questo può essere un passo per costruire un futuro e un mondo migliore per tutti. Con uno sforzo molto piccolo si può davvero salvare la vita di qualcuno, com’è successo a noi».
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