Il «Gazebo di Claudia», spazio di gioco per chi cerca la forza di non arrendersi

L’INIZIATIVA. Realizzato il progetto degli «Amici della Pediatria» dedicato alla bambina di Cividino di Castelli Calepio.

«Sii come il mare, che infrangendosi contro gli scogli, trova sempre la forza di riprovarci» diceva Jim Morrison, poeta prestato al rock. Così era Claudia, bambina volata in cielo troppo presto, sette anni fa, a causa di una malattia incurabile: sempre sorridente, pronta a rialzarsi, a lottare, affrontava ogni ostacolo senza perdere la speranza. I compagni di classe della scuola primaria di Cividino di Castelli Calepio, dove abitava con la sua famiglia, in una canzone composta per lei l’hanno soprannominata «la bambina rondine», immaginando di vederla volare nel cielo, in alto, dove non c’è più dolore e sofferenza. La sua energia contagiosa, la gioia e l’entusiasmo che trasmetteva hanno toccato il cuore di tutti quelli che l’hanno conosciuta, lasciando un segno profondo.

È nato per ricordarla «Il Gazebo di Claudia», un progetto degli «Amici della pediatria» dedicato agli ospiti de «Le Casette» di via Foscolo, in città, otto appartamenti in cui vengono accolti bambini in cura all’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo - provenienti da lontano, spesso da altre regioni italiane, oppure dall’estero - ospitati negli intervalli fra un ricovero e l’altro con le loro famiglie.

Il nuovo «Gazebo» è uno spazio all’aperto, una pergola chiusa su tutti i lati da vetrate panoramiche, studiato per condividere momenti di gioco e di «movimento». Un’attività essenziale per bambini che rimangono per lunghi periodi in ospedale

Uno spazio di condivisione

Il nuovo «Gazebo» è uno spazio all’aperto, una pergola chiusa su tutti i lati da vetrate panoramiche, studiato per condividere momenti di gioco e di «movimento». Un’attività essenziale per bambini che rimangono per lunghi periodi in ospedale, perché «Fare sport - sottolinea Milena Lazzaroni, presidente dell’associazione Amici della pediatria - è come dare un abbraccio al nostro corpo». All’origine di questa idea c’è stato l’incontro speciale tra Claudia e Mimicha Finazzi, che lavora per Decathlon: «L’ho conosciuta l’anno prima che morisse. Partecipavo per conto della mia azienda all’iniziativa “A merenda con lo sport” degli Amici della Pediatria, nata per accompagnare i piccoli pazienti dell’ospedale a svolgere attività sportive e ludiche. Sono rimasta colpita da questa bambina con la flebo, che mi è sembrava molto debilitata. La sua mamma aveva un’espressione preoccupata e addolorata. Le ho chiesto se volesse giocare con me e lei ha subito accettato. È bastato farle questa proposta per vederla cambiare espressione. Perfino il colorito del suo viso si è illuminato. Ha voluto provare tante attività: tiro con l’arco, pallavolo, basket, tennis. Ha continuato finché le sue forze l’hanno sostenuta, poi è andata un po’ in affanno. Si è riposata per riprendere fiato e quando se l’è sentita ha ricominciato. Mi ha colpito la forza che metteva in tutto ciò che faceva, mi è rimasta impressa la gioia che leggevo nel suo sguardo. Quel giorno la sua volontà e la sua capacità di resistenza ai miei occhi l’hanno resa più forte di tutto ciò che aveva intorno».

L’incontro

Qualche mese dopo Mimicha e Claudia si sono incontrate di nuovo nel negozio di articoli sportivi dove la bambina cercava un paio di pattini a rotelle. «Mi sembrava che stesse meglio - dice Mimicha -, in realtà era solo un’illusione: la sua malattia era già in fase terminale, come ho scoperto in seguito. Ci siamo capite con uno sguardo, è bastato poco per far nascere tra noi un legame speciale. Abbiamo scherzato sui capelli, anch’io in quel periodo avevo la testa rasata. Non l’ho mai dimenticata, incontrarla ha cambiato il mio modo di guardare il mondo, mi ha aperto gli occhi su una realtà diversa».

Quel tatuaggio sul braccio

Anche per questo Mimicha, che dopo la morte della bambina si è tatuata su un braccio il nome di Claudia, ha sempre avuto il desiderio di fare qualcosa per custodire e tenere viva la sua memoria: «Ho conosciuto la presidente della Fondazione Decathlon, che concede fra l’altro ai dipendenti dei fondi per realizzare progetti che promuovano l’attività sportiva, e le ho presentato l’idea condivisa con Milena di fare un Gazebo, che mi era sembrato un modo ideale per ricordare Claudia. Idea appoggiata con entusiasmo».

All’inaugurazione ha potuto incontrare la famiglia della bambina: «Ci tenevo molto a dire loro quanto abbia imparato da lei, e quanto mi sia dispiaciuto sapere che non c’era più. Mi sono impegnata molto per promuovere e realizzare il progetto del Gazebo, è stato bello vederlo nascere e crescere. Per presentarlo ho dovuto scrivere un rapporto approfondito, quasi come una tesi di laurea, e presentarlo a una commissione. Mi ha emozionato molto seguire ogni tappa di questo iter, perché conteneva il ricordo di Claudia, a cui mi sento legata da profonda simpatia e affetto. Mi rende felice il pensiero che ora nel suo nome potremo aiutare altri bambini e donare loro qualche momento di spensieratezza».

La vita in ospedale

Quando Claudia è stata ricoverata in ospedale per la prima volta si sentiva smarrita e spaesata: «Non si aspettava di dover restare - racconta la mamma Antoneta Pllumbay - era estate e il giorno dopo avrebbe dovuto andare in piscina con il Cre dell’oratorio». Da tempo, però, la tormentavano strani malesseri come dolore alla schiena, mancanza di respiro, gonfiore: «Siamo stati diverse volte al pronto soccorso, ma nessuno aveva individuato nulla di grave. Poi, invece, alla fine, un medico dopo un esame più accurato si è accorto che aveva un tumore, già ad uno stadio molto avanzato». Claudia sapeva di avere «una pallina nella pancia», e di doversi sottoporre a molte terapie: «All’inizio non è stato facile - prosegue Antoneta -. Il momento peggiore è stato quando ha iniziato a perdere i capelli a causa della chemioterapia. Erano lunghi, bellissimi, lei ci teneva molto e si vergognava di farsi vedere senza, con la testa rasata. Preferiva nascondersi». Un momento di comprensibile debolezza, che però riusciva sempre a superare grazie alla sua straordinaria riserva di coraggio. Nella foto della sua prima comunione, scattata pochi mesi prima della sua morte, è vestita di bianco, con una corona delicata di fiori, e il suo sorriso illumina tutto, compresi i volti della mamma, del papà Paulin e del fratello maggiore Emanuel. Antoneta era accanto a lei: «Mi voleva sempre vicina - ricorda - e io non l’ho mai lasciata, anche se mi dicevano di riposare, e andare un po’ a casa ogni tanto, ma non me la sentivo, preferivo restare con lei».

Il legame con gli Amici della Pediatria

L’incontro con i volontari degli Amici della pediatria ha rappresentato una svolta importante: «L’aiutavano a sentirsi ancora “normale”, per quanto possibile. Era vivace e curiosa, aveva tanta voglia di imparare, giocare, muoversi, mettersi alla prova. Quando la salute glielo permetteva cercava di seguire anche le attività scolastiche. Non sempre riusciva a farlo, attraversava momenti molto difficili, a causa degli effetti collaterali delle cure e del peggioramento della sua malattia. Nonostante tutto trovava un modo per reagire, e spesso era lei, con il suo entusiasmo, a dare forza a noi».

Claudia sperimentava volentieri attività sempre nuove: «La appassionava molto il laboratorio di ceramica condotto in ospedale dalla Fondazione Thun - ricorda Milena -. Amava realizzare qualcosa con le sue mani, le dava grande soddisfazione. La sua gioia era contagiosa, mentre parlava delle sue opere realizzate nel laboratorio, condividendo sempre ogni scelta con la mamma».

Il «Gazebo di Claudia» unisce le caratteristiche della palestra e della sala-giochi perchè i bambini non hanno bisogno soltanto di cure ma anche di sport e riabilitazione

Il «Gazebo di Claudia» unisce le caratteristiche della palestra e della sala-giochi: «I bambini non hanno bisogno soltanto di cure ma anche di sport e riabilitazione - continua Milena -. Questo progetto raccoglie esigenze emerse con forza in questi ultimi anni. All’interno ci sono un tavolo da ping-pong, cyclette, porte da calcio, una dotazione di biciclette per famiglie, per bambini e per adulti, compresi alcuni carrellini per il traino. Si possono usare per spostarsi all’interno della città ed eventualmente per andare e tornare dall’ospedale, facendo un po’ di attività fisica».

All’inaugurazione c’erano tanti amici e parenti di Claudia, visibilmente emozionati. I suoi familiari hanno accolto con molta gioia l’idea di intitolare l’iniziativa a lei. «Negli anni sono sempre rimasti legati all’associazione - continua Milena - e cercano di contribuire per migliorare le condizioni di vita di altri bambini malati, e alleviare la loro sofferenza. Sono stati stupiti e felici di visitare “Le Casette”, un progetto importante, nato due anni fa, che stiamo già pensando di ampliare, perché ci arrivano tante richieste».

«Il contributo dei medici va oltre le cure fisiche, offrendo conforto e supporto emotivo ai pazienti, alle loro famiglie, ai volontari, tutte persone eccezionali, che lavorano instancabilmente per migliorare la vita di chi, nei momenti difficili, ha bisogno di qualcuno come loro che, porgendo la propria mano, alleggerisca l’indomabile dolore che sembra non passare mai»

«Un omaggio alla sua memoria»

I genitori hanno espresso l’intensità delle loro emozioni in una lettera: «Intitolare il Gazebo a Claudia - scrivono - rappresenta non solo un omaggio alla sua memoria, ma un modo per mantenere vivo il suo spirito tra noi. Sarà un luogo sempre pieno di amore, risate e ricordi felici, come lo era lei. Siamo profondamente grati per questo inaspettato omaggio». Hanno rivolto parole di ringraziamento a tutte le persone che stanno vicino ai bambini malati: «Il contributo dei medici va oltre le cure fisiche, offrendo conforto e supporto emotivo ai pazienti, alle loro famiglie, ai volontari, tutte persone eccezionali, che lavorano instancabilmente per migliorare la vita di chi, nei momenti difficili, ha bisogno di qualcuno come loro che, porgendo la propria mano, alleggerisca l’indomabile dolore che sembra non passare mai».

Come scrive Alessandro d’Avenia: «Tutti noi abbiamo un dolore da trasformare in bellezza, ma nessuno di noi sa come fare. Forse perché del dolore non si può fare una mappa, ma solo una storia». In quella di Claudia la malattia e la sofferenza sono diventati semi d’amore, incontri, nuovi legami. Emerge con chiarezza dalle parole delle persone che l’hanno conosciuta, raccolte in un piccolo libro a cura di Giuseppina Armici: «Quante persone hai attirato intorno a te - scrivono le sue maestre - e a tutte sei riuscita a trasmettere il tuo coraggio e la tua immensa forza d’animo. Tu, bambina, ci hai insegnato a dare valore a ciò che nella vita è veramente importante. Sei sempre accanto a noi».

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