Il dolore di un’inguaribile ferita e il coraggio di superare nuove sfide

La Buona Domenica Dall’esperienza del disturbo borderline della personalità all’aiuto per chi vive situazioni simili.

L’inguaribile ferita di sentirsi «diversi»: è questo il dolore con cui convive da sempre Francesca, affetta da un disturbo borderline della personalità. Non diremo il suo vero nome, né il paese dove vive - in provincia di Bergamo - per non vanificare il grande sforzo che porta avanti ogni giorno per superare i pregiudizi e le discriminazioni che «marchiano» chi soffre di disturbi psichici, soprattutto nel mondo del lavoro. «Mi è capitato di paragonare la mia condizione - spiega, con un sorriso amaro - a quella di chi ha la pelle ustionata, perché basta un tocco leggero per farmi del male». La sua storia è piena di coraggio e di sfide superate: da qualche mese ha anche deciso di mettere la sua esperienza e il suo impegno a servizio di persone come lei, che devono fare i conti con disturbi mentali. Con un piccolo gruppo di amici, infatti, ha dato vita al progetto «WithOutMe»: il primo passo è stato creare un sito internet (withoutme.it) per raccontarsi e per abbattere lo stigma su questi problemi. Ora sogna di creare un’associazione.

«Ho iniziato a soffrire d’ansia a 5 anni. Non ricordo di essermi mai sentita del tutto a mio agio»

«Ci sono ancora tanti tabù su queste patologie - spiega Francesca -. Vorrei che la gente capisse che sono malattie vere, non invenzioni o bizzarrie del carattere. Bisognerebbe parlarne di più anche nelle scuole e in televisione, spiegando in che cosa consiste ognuno di questi disturbi. Potrebbe essere un modo efficace per farli conoscere meglio e rendere più semplice la diagnosi a chi ne soffre». Lei stessa si è prestata come «testimonial» per una trasmissione su BergamoTv, che le ha portato nuove possibilità e contatti. «Sono partita con approfondimenti legati al disturbo di cui soffro - continua Francesca -, poi abbiamo pensato di far conoscere attraverso il nostro sito anche altre problematiche».

«Un pesce fuor d’acqua»

La sensazione di essere «un pesce fuor d’acqua» si è affacciata presto nella sua vita: «Ho iniziato a soffrire di ansia quando avevo cinque anni. Non ricordo di essermi mai sentita del tutto a mio agio. Ho sempre avuto problemi di interazione con le persone, con la scuola, con i genitori, con chiunque si prendesse cura di me. I miei genitori hanno consultato diversi psicologi, ma nessuno riusciva a identificare cosa avessi di preciso, tendevano a sottovalutare la situazione. Già quando frequentavo la scuola elementare mi era capitato di avere attacchi di panico in classe. Mi capitava ogni volta che mi sentivo frustrata, impaurita, quando mi si chiedeva di fare qualcosa che per me era complicato». Francesca in alcune occasioni è stata presa di mira dai compagni e ha subito atti di bullismo: «Ero molto timida, chiusa in me stessa, non interagivo con gli altri. Solo molti anni più tardi, frequentando l’università ho trovato amicizie vere, sulle quali poter contare. Ma per tutta l’infanzia e la giovinezza ho sofferto di una profonda solitudine».

«Ero molto timida, chiusa in me stessa, non interagivo con gli altri. Solo molti anni più tardi, frequentando l’università ho trovato amicizie vere, sulle quali poter contare»

La situazione è peggiorata durante l’adolescenza, un periodo in cui i ragazzi tendono a mettere in discussione ogni aspetto della vita e della propria identità: «Ho frequentato il liceo linguistico ma non mi trovavo bene, mi sentivo esclusa e catalogata dagli altri come “diversa”, come se fossi la pecora nera. Ero un po’ rigida nel valutare le persone, se una persona non mi piaceva non riuscivo a parlarci. Stavo sempre peggio, nei miei pensieri tornava in modo ossessivo l’idea del suicidio. In quel periodo seguivo terapie psicologiche in modo intermittente e mai risolutivo. Avevo l’impressione che i miei genitori non potessero capirmi, pensavano che non avessi niente, che fossi soltanto un po’ ansiosa e che mi fossi costruita una corazza. Non avevo neppure hobby particolari che mi distogliessero dai pensieri negativi». Il medico di base a un certo punto le ha consigliato di rivolgersi a uno psichiatra. «Ne ho incontrati diversi e la loro diagnosi è stata inizialmente di schizofrenia, un disturbo psicotico, così mi sono stati somministrati farmaci specifici per questa patologia».

«Mi sentivo esclusa e catalogata dagli altri come “diversa”, come se fossi la pecora nera»

Questa cura, però, non ha prodotto purtroppo l’effetto sperato: «Mi sentivo sempre stanca e assonnata e per di più soffrivo di incubi e talvolta di allucinazioni. Non avevo alcun disturbo psicotico, perciò questi farmaci inappropriati producevano problemi anziché soluzioni, anche perché i dosaggi prescritti erano alti. Nel 2017 ho tentato il suicidio, prendendo moltissime pastiglie tutte insieme. Sono finita d’urgenza al pronto soccorso, mi hanno salvato per un pelo. Mi hanno fatto una lavanda gastrica e mi hanno messo le flebo». Si sono occupati del suo corpo, ma le sue ferite si annidavano in una zona profonda dell’anima, ed erano ancora aperte: «Ho iniziato a frequentare la facoltà di Lingue e letterature straniere a Bergamo e mi trovavo bene ma continuavo comunque a manifestare gli stessi sintomi. Mi sentivo male, diversa, sbagliata, il male dentro di me continuava a consumarmi. Nei momenti peggiori mi facevo del male».

Il consiglio di un medico

È passato un anno, e Francesca accusava anche problemi fisici: «Soffrivo di una forma di fibromialgia, perciò mi sono rivolta a un neurologo. Dopo una visita lunga e accurata, mi ha detto che anche quei dolori erano probabilmente causati dalla mia mente. È stato il primo a parlarmi del disturbo borderline della personalità, che non avevo mai sentito nominare prima di allora. Ho iniziato a informarmi seriamente per approfondire quel suggerimento, così ho conosciuto l’associazione “Emergenza Borderline”. Ho partecipato a un convegno a Milano dove ho potuto avvicinare medici specializzati nella cura di questo specifico disturbo. Ho preso appuntamento con uno di loro, psichiatra e psicoterapeuta con molta esperienza. Dopo due sedute, e avermi sottoposto a tantissimi test approfonditi con un colloquio, mi ha confermato che la diagnosi era proprio questa. Lo psichiatra e i suoi assistenti hanno passato in rassegna la mia storia clinica e i sintomi che manifestavo, e mi hanno detto che potevo guarirne se avessi seguito la terapia». Non è facile accogliere la speranza dopo aver attraversato così tanto buio, Francesca all’inizio era titubante: «Ci ho pensato molto, e poi mi sono detta che potevo concedermi un’ultima possibilità. Avevo paura che fosse l’ennesimo buco nell’acqua, ma ho deciso di provarci comunque».

«Ho iniziato a informarmi seriamente e così ho conosciuto l’associazione Emergenza Borderline»

«Hai mai provato? Hai mai fallito? - scrive Samuel Beckett - Non importa. Prova ancora, fallisci ancora. Fallisci meglio». Francesca ha sentito che era il momento di raccogliere tutte le sue energie e buttarsi: «La terapia - spiega - prevedeva due sedute di gruppo a settimana più un incontro individuale, quindi era molto impegnativa. Nella fase successiva erano previste quattro sedute di gruppo alla settimana più una quinta individuale. Ho capito subito che si trattava di un impegno a tempo pieno, che richiedeva anche un sacrificio personale, ma ce l’ho messa tutta».

Terapia e amicizie sincere

I miglioramenti sono arrivati, e soprattutto Francesca nel gruppo ha incontrato altre giovani con problemi molto simili ai suoi, con le quali ha intrecciato amicizie sincere: «Ci capiamo al volo e possiamo confidarci anche le nostre cadute e i nostri errori. Ci aiutiamo a vicenda». Un percorso preziosissimo, che Francesca ha interrotto soltanto per trascorrere un periodo di specializzazione universitaria all’estero, in Spagna: «Mi avevano detto che avrei potuto avere una ricaduta, ma quel viaggio era importante per me e ho deciso di partire lo stesso. Purtroppo sono stata male, come avevano detto i medici. Non ho tentato di nuovo di togliermi la vita ma mi sono procurata delle ferite, hanno dovuto ricoverarmi in ospedale. Tre giorni dopo sono rientrata in Italia».

«Vorrei riuscire a valorizzare le mie competenze e i miei studi, realizzare i miei sogni. Mi sono impegnata molto per ottenere questo risultato, mi sono laureata e non è stato facile»

Poco dopo Francesca ha trovato lavoro, anche se a tempo determinato: «Ho deciso di non fare domanda per entrare nelle categorie protette - chiarisce - perché purtroppo ci sono ancora tanti pregiudizi. Non voglio ritrovarmi a fare fotocopie. Vorrei riuscire a valorizzare le mie competenze e i miei studi, realizzare i miei sogni. Mi sono impegnata molto per ottenere questo risultato, mi sono laureata e non è stato facile. Dopo tutta questa fatica desidero poter mettere a frutto il mio percorso. Ho provato sulla mia pelle che c’è ancora molta ignoranza, molto pregiudizio intorno a queste patologie. Anche per questo nell’ambiente di lavoro non ho raccontato a nessuno la mia storia, non me la sento. Forse qualcuno può notare la mia particolare sensibilità e pensare che sia una questione di carattere».

Il progetto on line

Da quando ha trovato lavoro Francesca sta bene: «Mi è capitato di avere ancora delle crisi, non più così gravi, da qualche mese non capita più. Continuo a mantenere i contatti con le persone che ho conosciuto durante le terapie di gruppo, credo siano le amicizie più autentiche che io abbia mai avuto. Fra noi c’è molta schiettezza e una comprensione profonda che con altri non sono possibili». Alcune di loro partecipano al progetto «WithOutMe»: «Ci teniamo molto e speriamo di riuscire a farlo crescere. Avviare un blog è stato il primo passo, quello più accessibile per un’attività di sensibilizzazione. Penso che sia molto importante per chi soffre di questi disturbi. Dopo un’intervista in televisione ho avuto anche la possibilità di raccontare la mia storia in una comunità che ospita altre ragazze con il disturbo borderline della personalità. Mi piacerebbe molto portare avanti questo tipo di incontri, mi riempie di soddisfazione l’idea di poter dare una mano a persone che attraversano le mie stesse difficoltà».

«Il mio desiderio più grande è l’equilibrio: stare bene con la mia famiglia, essere serena, trovare pace con me stessa e con gli altri»

Come scrive Emily Dickinson «Se allevierò il dolore di una vita/ o guarirò una pena/ o aiuterò un pettirosso caduto/ a rientrare nel nido/ non avrò vissuto invano». Ci sono i viaggi, un lavoro nell’ambito delle relazioni internazionali e della moda nei sogni di Francesca: «Se penso al mio futuro, però - conclude - il mio desiderio più grande è l’equilibrio: stare bene con la mia famiglia, essere serena, trovare pace con me stessa e con gli altri».

© RIPRODUZIONE RISERVATA