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La Buona Domenica / Bergamo Città
Domenica 16 Febbraio 2025
«Forno al Fresco»: così in carcere il pane restituisce dignità ai detenuti
LA STORIA. Da ormai 10 anni i volontari della Cooperativa Calimero offrono un’opportunità di lavoro e reinserimento.
«Non restare immobile/ sul bordo della strada - scrive il poeta portoghese Mario Benedetti - non lasciar cadere le palpebre/ pesanti come giudizi». Un invito a vivere davvero, a togliere le macerie del passato, a non arrendersi, scoperchiando il cielo della vita, ritrovando i sogni.
È questo il senso del progetto «Forno al Fresco» che la cooperativa Calimero porta avanti da dieci anni nella Casa Circondariale di Bergamo, offrendo a 9 detenuti la possibilità di imparare un mestiere e ottenere così, una volta usciti, una strada diversa, per costruirsi una vita migliore, un’opportunità di riscatto.
«Quest’anno abbiamo prodotto quasi 12 mila panettoni - racconta Emilia Colombo, presidente della cooperativa sociale - Abbiamo iniziato a sfornarli a ottobre. Adesso stiamo producendo pane, biscotti, grissini, cracker, sempre con grande attenzione alle farine. Per le nostre pagnotte fatte con l ievito madre usiamo per esempio la s emola biologica di grano duro di Libera, cereale coltivato sui terreni sequestrati alle mafie. Fra i nostri cavalli di battaglia ci sono sempre i grandi lievitati, a seconda della stagione. Presto inizieremo con le colombe».
Detenzione con dignità
Avere un lavoro significa vivere il periodo di detenzione con dignità: «I detenuti sono assunti come dipendenti della cooperativa - continua Emilia -, e ottengono il relativo salario. Ovviamente non possono uscire dal carcere, e generalmente iniziano con una borsa lavoro e un periodo di formazione».
Nei locali del carcere è stato allestito un forno dove i detenuti lavorano su tre turni. «Come accade per ogni progetto della cooperativa sociale - spiega Emilia - l’obiettivo è che stiano per un periodo con noi e poi al momento del reinserimento nella società possano contare sulle competenze acquisite, dal punto di vista professionale e delle relazioni umane. Il nostro mastro pasticcere tra poco uscirà dal carcere, ha compiuto con noi un percorso molto significativo, e ora sogna di poter aprire una bottega tutta sua. In generale secondo le statistiche nazionali le persone che possono lavorare in carcere hanno una probabilità di recidiva molto più bassa: solo il 30% finisce per tornarci contro l’80% degli altri detenuti».
Alcuni detenuti che hanno partecipato al progetto sono diventati panificatori
Diversi detenuti che hanno partecipato al progetto della Cooperativa Calimero hanno proseguito il mestiere di panificatore o pasticciere trovando impiego in locali e ristoranti del territorio. Alcuni sono stati inseriti in altri progetti della cooperativa: «Una volta scontata la pena - chiarisce Emilia - noi possiamo proporre lavori di pulizie o assemblaggio». Anche se c’è il sogno che questa attività in futuro «possa crescere e ampliarsi anche fuori dal carcere».
I prodotti del «Forno al fresco» vengono venduti a rivenditori: si trovano per esempio nei bar, ristoranti, scuole e altre realtà. Per informazioni si può consultare il sito www.fornoalfresco.it.
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Il turno mattutino, come spiega Roberto Pellegrini, coordinatore del «Forno al Fresco», si svolge dalle 6 alle 12, quello pomeridiano dalle 12 alle 18, poi c’è quello notturno da mezzanotte alle 6, dedicato prevalentemente alla panificazione, mentre negli altri si producono biscotti, cracker e grissini. «Sono i lavoratori più anziani - dice Roberto - a insegnare ai più giovani. Recentemente abbiamo preso anche un cuoco esterno che sta imparando tutte le tecniche di produzione da affiancare al nostro “maestro d’arte” per avere almeno due persone che possano dare continuità alla produzione. Questa attività sicuramente permette di vivere il periodo della detenzione in modo più dignitoso, occupando il tempo in modo produttivo, e ottenendo un guadagno per sostenere la famiglia o mettere da parte dei risparmi per la vita futura. Ci sono esempi positivi di ex detenuti che hanno trovato occupazione in panifici o pizzerie».
Si recupera autostima
Un aiuto per recuperare autostima e fiducia in sé stessi: «Offre anche la possibilità di costruire relazioni positive con altri detenuti e volontari. È un contesto lavorativo strutturato, con regole e rapporti gerarchici, si sperimenta ciò che si trova fuori». Assumere un compito e portarlo a termine, anche questa è una scuola di vita: «È fondamentale la formazione alla responsabilità, comprendere e seguire tutte le fasi di produzione per garantire la qualità del prodotto finale». Sempre delicato il ruolo di affiancamento svolto dal coordinatore: «Bisogna ascoltare molto e motivare le scelte. Le ore di lavoro offrono anche la possibilità di confrontarsi e scambiare idee e consigli. È importante che nei detenuti resti accesa una prospettiva per il futuro e un ritorno nella società. Nonostante le difficoltà e i ritmi sostenuti del lavoro, c’è un bel clima di collaborazione».
Lavorare insieme è già un modo per incontrarsi, per incrociare sguardi, attitudini, storie diverse. Un’esperienza vissuta in modo intenso anche dai volontari che affiancano l’attività dei detenuti nel «Forno al fresco», come Flavio Valli. «Ho iniziato nel 2020 - racconta - un po’ prima del covid. Ero andato in pensione nel 2018, dopo una vita trascorsa nel mondo della cooperazione, in diversi ruoli. Sono stato educatore, ma anche presidente della cooperativa “L’Impronta” e poi di “Namastè”. Dopo un anno mi sono accorto che non ce la facevo a restare inattivo, così ho colto un’occasione scoperta per caso leggendo “L’Eco di Bergamo”: un corso di formazione segnalato dal Csv per rimpolpare la squadra dei volontari del carcere». Una formazione lunga e impegnativa, durata un anno, che Flavio ha trovato molto stimolante: «Ci hanno spiegato che non potevamo salvare nessuno. Ci hanno preparato quindi a instaurare un rapporto empatico, attento e solidale, ma con la giusta distanza, perché il rapporto con un detenuto resta fragile e complesso. Non è detto che un volontario riceva il feedback che si aspetta, come ho avuto modo di capire di persona negli ultimi quattro anni».
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I volontari che partecipano al progetto «Forno al fresco» sono quattro: «Oltre a me - dice Flavio - ci sono tre signore. Abbiamo iniziato il nostro servizio entrando due alla volta, poi, dopo un po’ di tirocinio, abbiamo iniziato a sperimentarci da soli, così riusciamo ad assicurare una copertura quasi completa. Ognuno di noi assicura un giorno alla settimana, nei periodi di picco un po’ di più».
Le regole non cambiano
Gli spazi del forno seguono le stesse regole in vigore negli altri locali della struttura carceraria: «Questo ovviamente determina delle differenze rispetto a un comune forno - chiarisce Flavio -. Per entrare, per esempio, si lasciano all’ingresso tutti gli oggetti personali, bisogna attraversare i diversi punti di controllo, si resta in una zona chiusa». La maggior parte dei detenuti impegnati nell’attività del forno ha un’età compresa tra i venti e i 35 anni: «Imparano a svolgere un lavoro che serve alla comunità, coprendo anche i turni notturni, come accade nelle botteghe di panificazione che si trovano all’esterno».
Il ruolo dei volontari è importante e delicato, come sottolinea Flavio: «Lavoriamo con loro. Non facciamo gli educatori, non ci mettiamo a spiegare loro come gira il mondo. Stiamo lì, ascoltiamo, a volte non si dice nulla, non si parla. Non sempre, infatti, i detenuti hanno voglia di comunicare, di mettere sul tavolo le loro emozioni. Aspettiamo che nasca un’empatia dai gesti, dalle azioni comuni, che rendono più facile raccontarsi. Col tempo capita di conoscere situazioni personali e familiari complesse».
A 64 anni, Flavio dice di trovarsi comunque a suo agio nel ruolo del «bocia»: «È molto importante assistere, impacchettare, inscatolare, restare a disposizione per qualunque attività accessoria. Una volta sfornato un panettone, per esempio, bisogna metterlo nella confezione di plastica, inscatolarlo e trasferirlo su uno scaffale. Ma svolgiamo anche compiti più umili come pulire un lavandino o spazzare per terra».
Pronti agli imprevisti
L’assetto quotidiano del forno è sensibile alle situazioni che possono verificarsi nelle celle: «Ci possono essere imprevisti, punizioni, malattie, periodi di isolamento, e ovviamente non sono previste sostituzioni, perciò in certi momenti il lavoro deve continuare anche con carenze di organico. Il ruolo dei volontari è cruciale, soprattutto in queste circostanze: non possiamo sostituire nessuno, ma contribuiamo sicuramente a rendere più efficace e rapido il lavoro degli altri».
Anche per i volontari questo affiancamento diventa occasione per sperimentare e mettersi in gioco: «Il carcere è diverso da qualunque altro luogo - osserva Flavio -. E non è un ambiente facile, qualcuno, per vari motivi, entra come volontario ma poi non continua. Mi ha insegnato a stare zitto, ascoltare, aspettare, è un esercizio continuo di umanità. Non si può vivere di rendita, si spende molto, senza aspettarsi niente in cambio. Entrare in carcere spinge a riflettere su se stessi e sul mondo, e sicuramente spinge a relativizzare altri problemi della vita quotidiana. D’altra parte penso siano molto importanti presenze “esterne” per i detenuti, perché li aiutano a mantenere il contatto con la realtà, e a confidare nella possibilità di tornare ad avere una buona vita dopo aver pagato il loro conto con la giustizia. Mi addolora a volte vedere come ci siano ragazzi che si sono bruciati la vita per gesti impulsivi o colpi di testa. Mi auguro - conclude il racconto Flavio Valli - che trovino una possibilità di riscatto. Quando torno a casa mi sento come dopo una camminata in montagna: una grande fatica da cui si torna fortificati».
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