«Enea, bambino raro, con lui impariamo a fare i conti con l’incertezza per il futuro»

LA STORIA. Colpisce una volta su un milione, è sindrome di Kleefstra. Mamma Elena ha lasciato il lavoro per dedicarsi a lui.

Un piede dopo l’altro, Enea si sposta fra gli appigli collocati sulla parete della palestra di arrampicata: sale con lo sguardo attento e concentrato, eseguendo movimenti precisi. L’altezza è una conquista, ma lui non ha paura: da quando è nato, otto anni fa, convive con la sindrome di Kleefstra – una condizione molto rara, che colpisce circa un bambino su un milione – e la sua vita è sempre stata «in salita». Dal suo sorriso sereno si capisce al volo quali siano i pilastri della sua vita: l’amore della sua famiglia e il costante impegno per valorizzare le sue capacità, al di là delle diagnosi, dei limiti, delle definizioni.

Ogni piccolo passo ha un grande valore e spinge a guardare la vita con speranza e con atteggiamento costruttivo. Come scrive Ernest Hemingway ne «Il vecchio e il mare»: «Ora non è il momento di pensare a quello che non hai. Pensa a quello che puoi fare con quello che hai».

Un cammino accidentato

Il cammino che ha portato alla diagnosi è stato accidentato per i genitori Elena Licini e suo marito Cristiano Morlotti: «È il nostro primo figlio e durante la gravidanza non sono emersi elementi problematici – ricorda Elena –. Anzi, ho un ricordo positivo del parto. Solo subito dopo la nascita i medici hanno notato che Enea aveva un piedino torto, e per un anno ha dovuto indossare tutori e gessi». Si è manifestata anche una lieve plagiocefalia, cioè lo schiacciamento di una zona del capo del neonato, che però si è risolta con alcuni trattamenti di osteoterapia: «Può accadere quando i bambini stanno a lungo appoggiati dalla stessa parte. Poi ci siamo resi conto che anche questo è stato un segno premonitore: Enea lo faceva perché faticava di più a muoversi rispetto agli altri».

«Ci è caduto il mondo addosso, non riuscivamo a capacitarci di questa situazione»

Una delle caratteristiche con cui questa sindrome si manifesta, infatti, è l’ipotonia. Nei primi mesi, però, a parte questi piccoli segnali, il suo sviluppo non era così diverso da quello di qualunque altro suo coetaneo: «Fino ai due anni non ci siamo accorti di possibili problemi o ritardi, anche se Enea diceva pochissime parole. Non mi sono preoccupata troppo, perché sia la pediatra sia parenti e amiche mi avevano rassicurato, perché ognuno ha i suoi tempi per lo sviluppo del linguaggio. Dicono che una mamma se lo sente, ma per me non è stato così».

Poi Enea ha iniziato a frequentare la SezionePrimavera della scuola dell’infanzia: «Le maestre ci hanno chiamato subito, erano trascorsi solo pochi giorni dall’inizio dell’attività, per dirci che Enea aveva dei problemi. Ci è caduto il mondo addosso, non riuscivamo a capacitarci di questa situazione. Abbiamo iniziato un percorso di valutazione con la neuropsichiatria infantile di Bergamo, ma dati i tempi d’attesa piuttosto lunghi, ci siamo mossi anche privatamente».

Dopo qualche incontro la neuropsichiatra ha segnalato un ritardo psicomotorio: «Inizialmente pensavamo che dipendesse dal piedino torto e dalle difficoltà che aveva causato, poi invece ci siamo resi conto che alla base c’era un problema più complesso. È stato un percorso difficile di consapevolezza. Sono iniziate le indagini genetiche, che sono state lunghissime, ci sono voluti due anni prima di ottenere i risultati, e siamo stati coinvolti nei test anche noi genitori».

«A dicembre 2020, invece, sui referti di Enea è comparso quel nome per noi sconosciuto, “sindrome di Kleefstra”». È stato difficile accettarlo: «In fondo al cuore – commenta Elena – continuavamo a sperare che si trattasse di qualcosa di transitorio, di meno grave. In quel momento, vedendolo nero su bianco, ci siamo sentiti malissimo. Se mi avessero accoltellato mi avrebbero fatto meno male»

Una malattia rara

L’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è uno dei centri di riferimento in Italia per la diagnosi genetica delle malattie pediatriche rare e ultra-rare.Una materia delicatissima per la quale Elena e Cristiano hanno chiesto comunque un consulto ad Angelo Selicorni, specialista in genetica medica a Como, presidente della Società italiana malattie genetiche pediatriche: «Quando ha visto Enea ci ha detto subito che secondo lui i suoi problemi derivavano da una sindrome genetica, anche se ci aveva chiarito che nell’87% dei casi non è possibile formulare una diagnosi precisa. A dicembre 2020, invece, sui referti di Enea è comparso quel nome per noi sconosciuto, “sindrome di Kleefstra”». È stato difficile accettarlo: «In fondo al cuore – commenta Elena – continuavamo a sperare che si trattasse di qualcosa di transitorio, di meno grave. In quel momento, vedendolo nero su bianco, ci siamo sentiti malissimo. Se mi avessero accoltellato mi avrebbero fatto meno male».

Mettersi in rete

Le avevano sconsigliato di consultare internet, ma Elena non è riuscita a trattenersi: «Ci hanno invitato a vivere giorno per giorno e a confidare in una buona evoluzione. Contro il parere dei medici, però, abbiamo cercato comunque notizie in rete e alla fine non è stato un male: abbiamo scoperto così che esisteva un’associazione delle famiglie e ci siamo messi in contatto con loro. Quando il nostro percorso è iniziato erano poche, una trentina a livello nazionale, adesso invece siamo quasi ottanta, anche per merito dei progressi compiuti nella ricerca genetica delle malattie rare».

L’associazione Sindrome di Kleefstra Italia (www.kleefstraitalia.org) si ritroverà a Bergamo il 16 novembre per un convegno al quale è prevista anche la partecipazione della dottoressa olandese Tjitske Kleefstra, che ha dato il nome alla sindrome e dal 1999 prosegue su di essa lo studio e la ricerca. «Ogni anno – spiega Elena – ci incontriamo e partecipiamo insieme a una conferenza. Quando ci siamo andati per la prima volta siamo rimasti molto colpiti dall’incontro con i ragazzi più grandi. Abbiamo scoperto, infatti, che con la crescita i loro problemi diventano più evidenti, e questo ci ha molto preoccupato, spingendoci a riflettere sul nostro futuro».

L’associazione Sindrome di Kleefstra Italia (www.kleefstraitalia.org) si ritroverà a Bergamo il 16 novembre per un convegno al quale è prevista anche la partecipazione della dottoressa olandese Tjitske Kleefstra, che ha dato il nome alla sindrome e dal 1999 prosegue su di essa lo studio e la ricerca

Mettersi in rete con altri genitori ha avuto ricadute concrete e positive: «Fino ai cinque anni Enea non dormiva – racconta Elena –, poi abbiamo scoperto che questo disturbo è associato alla sindrome di Kleefstra. Grazie all’associazione abbiamo incontrato il papà di un ragazzo diciottenne con la stessa sindrome, neuropsichiatra, che partendo dalla sua conoscenza specifica della sindrome e dei sintomi ad essa legati ci ha aiutato a cercare una cura per l’insonnia. Nel periodo in cui Enea non riusciva a dormire gli effetti ricadevano su tutta la famiglia, nessuno riusciva a riposare, il risultato era una grande stanchezza. Alla fine, invece, grazie a questo medico ce l’abbiamo fatta e la nostra vita è completamente cambiata».

Il linguaggio e le terapie

Per Enea è stato un punto di svolta decisivo: «Ci avevano detto che non avrebbe mai parlato, perché la sindrome comporta un ritardo gravissimo nell’acquisizione del linguaggio. Altri aspetti caratteristici sono disturbi dello spettro autistico e diversi problemi agli organi interni come cuore e reni. Anche per questo ogni anno Enea si sottopone a un controllo generale perché la sindrome di Kleefstra può portare a diverse patologie».

Recuperare il sonno ha favorito nuovi progressi: «Fin dall’inizio noi ci siamo impegnati a fare tutte le terapie possibili per Enea: logopedia, esercizi per allenare i muscoli della bocca e della lingua, pet therapy, nuoto. Ora Enea parla, forse in modo un po’ diverso da quello degli altri bambini ma è migliorato molto e riesce a farsi capire. Ma non è l’unica conquista che ha fatto, è riuscito a ottenere buoni risultati in tutti gli ambiti».

Dopo l’asilo alla Virgo Lauretana, Enea frequenta la scuola primaria di Curno: «Nella scuola c’è la sezione potenziata, e questo porta un’attenzione in più alla disabilità. Enea è inserito in una diversa sezione e può contare su due insegnanti di sostegno e un’educatrice: in questo modo può seguire il tempo pieno, che comprende anche la mensa e la frequenza pomeridiana. Siamo molto contenti, perché più esperienze fa, più notiamo miglioramenti. È un bambino molto solare, empatico e felice di stare con gli altri. Se capisce che qualcuno è triste o in difficoltà gli si avvicina per abbracciarlo e consolarlo, vuole chiacchierare, ma gli altri, a volte, quando capiscono che in lui c’è qualcosa di diverso si tirano indietro».

«Cogliere il bene»

Elena ha deciso di lasciare il suo lavoro di geometra per seguire Enea: «Ogni pomeriggio abbiamo visite, terapie, attività come logopedia, psicomotricità, piscina. Non sarei riuscita a seguirlo e mantenere allo stesso tempo i ritmi richiesti dalla mia professione, anche se ci sono mamme che lo fanno e le ammiro molto. Ci concentriamo completamente su di lui e la nostra speranza è che i miglioramenti continuino». Non sempre è facile pensare al futuro: «Dobbiamo fare i conti con l’incertezza, abbiamo imparato ad accettarla». Elena si è impegnata a creare una rete intorno a Enea, un gruppo di amici che possano stargli vicino e sostenerlo: «Questi bambini non si spaventano e trascorrono volentieri un po’ di tempo con lui svolgendo attività diverse, cerchiamo di creare le occasioni giuste per invitarli e coinvolgerli». Enea ama stare all’aria aperta, gli piacciono gli animali: «Conosciamo tutti quelli che vivono intorno a casa nostra, ogni tanto portiamo a passeggio i cani dei vicini. Ci piacerebbe averne uno, ma fino ad ora Enea ne ha avuto paura, non sappiamo come reagirebbe avendolo in casa. Ha un mondo tutto suo, all’inizio pensavo che con le terapie questo sarebbe cambiato, invece non è così».

Ci sono momenti delicati e speciali come la prima festa di compleanno a casa di un amico: «Ero un po’ in ansia, ma invece è andato tutto bene, si è divertito anche se dopo un paio d’ore ha chiesto di essere riportato a casa. È un bambino raro, come la sua sindrome, dobbiamo cogliere il bene che c’è in lui. Speriamo di incontrare persone che ci aiutino a raggiungere questo obiettivo». Da poco più di un anno è partita all’ospedale Papa Giovanni XXIII la prima ricerca italiana sulla sindrome di Kleefstra, per costruire un registro ufficiale italiano per questa malattia: «Ne siamo molto felici e pensiamo che iniziative come questa meritino tutto il sostegno possibile. Per noi rappresentano un’iniezione di fiducia, speranza. Ci auguriamo che un giorno si possa trovare una cura, che doni nuovi sogni ai bambini come il nostro Enea».

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