La Buona Domenica / Valle Cavallina
Domenica 07 Luglio 2024
«Ecco il mio mondo in bianco e nero. Ogni scatto è una sfida con me stesso»
LA STORIA. Ipovedente, Filippo Pezzotta ha una grande passione per la fotografia e lo sport: «Faccio quel che desidero».
Guardare il mondo attraverso un obiettivo può svelarne l’incanto nascosto, mettendo in luce dettagli inediti. «Fotografia è una storia d’amore con la vita» scrive Burk Uzzle, fotoreporter americano, e in queste sue parole si avverte la stessa scintilla che anima Filippo Pezzotta, ventiduenne di Cenate Sotto. Per lui, ipovedente, ogni scatto è una sfida con se stesso, un modo per superare i limiti e raccontare storie offrendo una prospettiva originale.
«Nulla mi ha impedito di fare ciò che desidero»
Nel suo corredo genetico c’è l’albinismo, che gli ha portato in dote alcune caratteristiche speciali: pelle e capelli chiarissimi e un grave difetto visivo. Non li ha mai voluti considerare come svantaggi, ma come tratti che contribuiscono a definire la sua identità. Ha imparato a conviverci, nonostante alcune fatiche, facendo leva sulla sua determinazione: «Non mi hanno mai impedito - sottolinea - di fare ciò che desidero».
Le sue foto sono esposte nella galleria virtuale dell’account Instagram @pezzo25: sono inquadrature suggestive, dalle quali emerge una spiccata sensibilità nell’interpretare paesaggi, volti e sguardi, conferendo loro un particolare sapore. Nelle composizioni si individuano linee nette, un’attenzione speciale all’armonia delle forme, la capacità di catturare - in particolare nei ritratti - un concentrato di autenticità, intensità e bellezza.
Il canale YouTube
Negli ultimi anni ha collezionato oltre 50 apparecchi analogici, scovandoli su internet, nei mercatini, oppure da privati che gli hanno permesso di provarle e studiarne le caratteristiche. Ha aperto un canale YouTube che si chiama «Fotografia chimica»: nei suoi video recensisce le macchine fotografiche e argomenta le sue scelte artistiche. Tra esse, per esempio, quella del bianco e nero: «Mi sembra - spiega - che a volte i colori rappresentino una distrazione, e che con il bianco, il nero e tutte le gradazioni di grigio si possano valorizzare meglio le geometrie dei paesaggi».
La famiglia
Filippo ha due sorelle, che sono state anche le sue prime «modelle»: la minore Camilla, 17 anni, è albina come lui, mentre la maggiore Clara, 27 anni, non ha questa caratteristica. «Abbiamo fatto alcune indagini genetiche - osserva Filippo - perché nessun altro dei miei parenti ha la colorazione albina, abbiamo scoperto che ci sono semplicemente dei portatori sani». Nell’infanzia il suo difetto visivo non è stato un problema, almeno fino all’inizio della scuola primaria: «Mi ero sempre considerato un bambino come gli altri, poi, invece, quando è arrivato il momento di imparare a leggere e scrivere mi sono reso conto per la prima volta delle differenze. Era diventato tutto più difficile, per distinguere ciò che la maestra scriveva alla lavagna dovevo continuamente alzarmi e avvicinarmi. In quegli anni sono comunque riuscito a cavarmela da solo».
Con l’ingresso nella scuola secondaria di primo grado Filippo ha avuto la possibilità di avvalersi di alcuni ausili tecnologici, che gli hanno reso il percorso più agevole: «Ho iniziato a usare il computer e il videoingranditore. Mi è stato anche assegnato un assistente alla comunicazione. All’inizio non è stato facile accettare questa condizione: non volevo essere aiutato, pensavo di non averne bisogno. Poi invece ho capito che questo mi permetteva di tenere il passo in modo più comodo e meno faticoso, mi sono adattato. Ho imparato a conoscere la persona che mi affiancava, che è rimasta la stessa fino alla fine delle superiori, e siamo entrati in sintonia. Non era una figura invadente, non entrava in classe, se parlava con i professori era solo per capire meglio cosa mi servisse, e poi mi supportava nello studio a casa, leggendo ad alta voce, impaginandomi gli esercizi in modo che potessi eseguirli».
«Ero il primo studente ipovedente nella storia dell’istituto a scegliere il corso di perito chimico, ma non ho avuto difficoltà nel portarlo avanti. Ho sempre potuto contare sull’aiuto di un compagno di classe particolarmente brillante e generoso che mi dava una mano quando mi serviva»
Quel periodo, che abitualmente coincide con l’inizio dell’adolescenza, è stato particolarmente complicato: «I compagni di scuola mi prendevano in giro, mi mettevano in imbarazzo e mi sentivo escluso. Fortunatamente poi quando ho iniziato le superiori all’istituto Natta di Bergamo ho trovato un ambiente più accogliente e degli amici. Sono riuscito a dare una svolta alla mia situazione imparando a considerarla in modo diverso, accettando i miei limiti, affrontandoli con autoironia e con maggiore consapevolezza».
Ha scelto con coraggio l’indirizzo che più lo interessava, anche se in partenza sembrava svantaggiato: «Ero il primo studente ipovedente nella storia dell’istituto a scegliere il corso di perito chimico, ma non ho avuto difficoltà nel portarlo avanti. Ho sempre potuto contare sull’aiuto di un compagno di classe particolarmente brillante e generoso che mi dava una mano quando mi serviva».
Il valore dell’amicizia
In quegli anni Filippo ha creato amicizie importanti: «Molte continuano tuttora». Non ha avuto timore di prendersi delle responsabilità: «Sono stato rappresentante di classe, una bella esperienza». Il Covid ha segnato l’andamento del quarto e quinto anno: «Non ho comunque avuto problemi con la didattica a distanza».
Il ruolo dello sport
In parallelo si è cimentato anche in un’intensa attività sportiva, entrando a far parte dell’Associazione sportiva dilettantistica Omero di Bergamo: «Ho iniziato con i corsi di nuoto quando avevo 8 anni, poi ho partecipato ad alcune dimostrazioni di torball, sport di squadra per non vedenti che si gioca con una palla sonora, e goalball, un altro sport di squadra che è anche disciplina paralimpica, ed entrambi mi sono piaciuti. Quando ho compiuto 14 anni sono entrato in squadra e ho giocato i miei primi tornei. Non ho più smesso di frequentare regolarmente gli allenamenti, dal 2019 sono stato convocato in nazionale e ho partecipato ad alcune competizioni internazionali».
Poi si è appassionato anche all’atletica: «Ho iniziato per caso, perché servivano atleti per una gara, poi ho proseguito. Mi sono dedicato in particolare al mezzofondo, e due anni fa ho preparato una 10 chilometri, la “Dieci dei Mille” a Bergamo, mi sono divertito moltissimo. A un certo punto ho dovuto scegliere, essendo molto occupato con gli allenamenti di goalball in questo periodo do meno spazio all’atletica, però mi piace correre, lo trovo rilassante, mi fa sentire libero». Anche il resto della famiglia è coinvolto, in modi diversi, nelle attività di Omero: Camilla è un’atleta come lui, il papà è diventato allenatore di goalball e segue i figli nelle trasferte, la madre e la sorella maggiore all’occorrenza partecipano come volontarie.
La passione per la fotografia
Ad accendere la passione per la fotografia è stato un regalo inaspettato: «Ho ricevuto una fotocamera in occasione della Prima Comunione, ho iniziato a interessarmi al suo funzionamento e ad approfondirne le particolarità. Nelle mie ricerche sulle macchine fotografiche mi sono imbattuto nel metodo analogico, ho imparato a usarlo e a sviluppare i rullini in casa. In fondo è un processo chimico, quindi, è una zona di intersezione tra le mie diverse passioni. Mi sono ricavato un piccolo spazio per lo sviluppo in casa. Scarico i rullini, li carico nella camera oscura, mescolo i liquidi e quando compaiono le immagini sembra una magia».
Ha studiato i metodi da autodidatta: «Ho cercato libri e video su YouTube, così poi l’anno scorso ho deciso di aprire il mio canale, dove parlo di macchine fotografiche e fotografia, confrontandomi spesso con altri appassionati. Mi piace fotografare di tutto e in particolare sono appassionato di ritratti, anche se non è facile realizzarli, bisogna avere qualcuno che si presti a fare da modello. Spesso lo chiedo alle mie sorelle e ai miei amici».
Negli anni della pandemia era più difficile incontrarsi: «Per me è stata l’occasione per scoprire nuovi orizzonti dedicandomi ai paesaggi, soprattutto in montagna. Mi interessano anche i paesaggi urbani, i palazzi con strutture architettoniche particolari. Prediligo il bianco e nero, mi piace dare forza ai bianchi, alle ombre, ai grigi».
«Mi piace fotografare di tutto e in particolare sono appassionato di ritratti, anche se non è facile realizzarli, bisogna avere qualcuno che si presti a fare da modello. Spesso lo chiedo alle mie sorelle e ai miei amici»
Non si sente penalizzato dal deficit visivo: «A volte non vedo subito qualche particolare che poi non mi piace, oppure fatico a settare i comandi della macchina, ma non è un grande problema, posso sempre correggere leggermente le immagini a computer. Non faccio mai modifiche importanti, regolo ombre e luci, sistemo il taglio».
Non ha mai esposto le sue foto in una vera e propria mostra: «Le condivido con la mia famiglia e con gli amici, attraverso Instagram. Stampo le più belle in formato 30x45 e le appendo in giro per casa». Dopo il diploma si è iscritto alla facoltà di Chimica a Milano: «È stato un bel percorso, ora sto per concludere la triennale. L’anno prossimo mi trasferirò a Torino per frequentare il corso di laurea magistrale in chimica dell’ambiente. Mi spaventa un po’ l’idea di stare fuori casa ma la trovo anche stimolante, sono contento di seguire questo indirizzo che mi interessa moltissimo. Ho già contattato l’università, sono andato a visitarla e sono stato accolto molto bene».
«La fragilità fa parte della vita, può capitare a tutti, in qualche momento, di aver bisogno di aiuto. Basta poco per offrire conforto e speranza: una parola, un sorriso, un gesto semplice di gentilezza»
La sua famiglia lo ha sempre supportato: «I miei genitori mi hanno incoraggiato a cogliere le opportunità che la vita mi offre, non mi hanno mai posto dei limiti. Questo mi ha permesso di sviluppare una maggiore autonomia». Filippo si impegna molto con Omero nelle attività di sensibilizzazione sulla condizione dei non vedenti, come le cene al buio: «Sono occasioni preziose per sollecitare le persone a prestare maggiore attenzione; sarebbe bello se ci fosse più cura per chi è in difficoltà. Penso per esempio a chi lascia le auto sul marciapiede oppure abbandona i monopattini in mezzo alla strada. Eppure, la fragilità fa parte della vita, può capitare a tutti, in qualche momento, di aver bisogno di aiuto. Basta poco per offrire conforto e speranza: una parola, un sorriso, un gesto semplice di gentilezza».
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