Cronaca / Isola e Valle San Martino
Martedì 13 Aprile 2021
Riaprire? L’esperto: «Più test rapidi per controllare i focolai»
Il professor Galli: è un virus di lungo corso. «Vaccinare in fretta significa ridurre la sua circolazione».
Gli anticorpi sviluppati dalle persone guarite dal Covid potrebbero durare anche 10-12 mesi, vale a dire molto più di quanto si è creduto finora. È l’ipotesi avanzata da Massimo Galli, direttore del dipartimento Malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano, che tra ottobre e novembre ha condotto uno screening sui residenti di 6 Comuni lombardi, tra cui San Pellegrino e Suisio. Il problema è che il coronavirus potrebbe resistere e modificarsi per parecchio tempo, prima di scomparire e, a lungo andare, i vaccini in circolazione potrebbero aver bisogno di adattarsi per essere efficaci nei confronti delle varianti. Oggi però il Paese ha bisogno di ripartire e per farlo il virologo del Sacco suggerisce anche un’altra strada, ovvero quella dello sdoganamento dei test salivari per aprire luoghi e attività a chi non è ancora vaccinato.
Professor Galli, il premier Mario Draghi ha detto che dovremo vaccinarci anche nei prossimi anni. Tanti virologi sostengono invece che questo coronavirus è destinato, come altri, scomparire in un paio d’anni. Dove sta la verità?
«Penso che valgano entrambe le ipotesi, sia quella secondo cui questo virus seguirà lo stesso destino di quello della Sars, scomparso dal 2003, sia quella che sostiene una sua evoluzione nel tempo, com’è accaduto ad esempio per l’OC-43, un altro coronavirus che causa ancora diverse forme di raffreddore. Rispetto al virus della Sars, il Covid si è diffuso ed è mutato un po’ troppo per pensare che potremo liberarcene facilmente. Tenderei piuttosto a pensare che sarà un virus di lungo corso, destinato a rimanere nell’uomo per un periodo indefinito, cambiando ancora. Molto dipenderà anche da quanto rapidamente riusciremo a vaccinare anche a livello mondiale».
Qualche giorno fa sono state pubblicate le anticipazioni di uno studio dell’Università di Padova, secondo cui gli anticorpi di chi è guarito dal Covid durerebbero anche 8-10 mesi. Un risultato che conferma il suo screening dell’autunno scorso.
«Dai miei studi epidemiologici si è capito, per esempio, che a novembre a San Pellegrino la positività agli anticorpi si riferiva in gran parte alla prima ondata, tanto è vero che di casi positivi all’antigene non ne abbiamo trovati molti».
Questo cosa vuol dire?
«Significa che la gente che si era infettata a marzo, a novembre aveva ancora gli anticorpi e quindi che è altamente verosimile che si resti protetti, nella grande maggioranza dei casi, almeno per 8 mesi. Ma questo perché al momento gli studi non possono spingersi oltre; i prossimi lavori potrebbero dimostrare che questi anticorpi durano 10, 12 mesi o anche di più».
È così per tutti?
«No. Chi ha sofferto di infezioni più gravi ha un tasso anticorpale maggiore, per esempio, degli asintomatici. È però assai verosimile che l’immunità, nella maggioranza delle persone, duri a lungo».
Per questo lei non è favorevole alla vaccinazione di questi soggetti?
«C’è anche un altro fatto da tenere in considerazione: oggi ci si vaccina contro il virus che c’era a Wuhan la primavera scorsa, non contro quello che sta circolando ora, che ha una connotazione abbastanza diversa. Tant’è vero che in alcuni vaccinati troviamo delle infezioni, anche se blande, dovute al fatto che in certe persone le varianti riescono a saltare la protezione del vaccino».
Non è normale che questo accada?
«Diciamo piuttosto che una parte delle persone vaccinate non risponde al vaccino, e questo è un dato di fatto. Quello che si vede nelle persone già vaccinate fa sospettare che anche la variante inglese abbia una certa attitudine a sfuggire alla protezione del vaccino. Non parliamo di un’attitudine clamorosa, altrimenti avremmo visto molti più casi, però un po’ ce ne sono. È probabile che questo accada di più per la variante brasiliana o sudafricana. Siamo di fronte a una realtà un po’ particolare, per cui possiamo dire che il vaccino evita senz’altro la malattia grave e, soprattutto, la morte, ma non che, con i vaccini attualmente a disposizione, si possa ottenere la sospirata immunità di gregge».
Che notizie abbiamo a proposito della variante giapponese?
«Poche. All’inizio sembrava fosse una brasiliana arrivata in Giappone. Ma ci sono segnalazioni più recenti che inducono a pensare diversamente. La morale è che siamo costretti a stare molto attenti su quel che accade. Sarebbe stato più confortante sapere di avere un sistema nazionale in grado di sfruttare tutte le risorse disponibili per farlo, ma così non è, purtroppo».
Dopo un mese la Lombardia torna arancione e riaprono le scuole superiori.
«È il solito compromesso tra le posizioni di chi spinge verso una normalizzazione a tutti i costi, e la realtà dei fatti, senza rendersi conto che il virus non accetta compromessi. Il vaccino esiste e vaccinare in fretta può aiutare a ridurre la circolazione del virus in maniera significativa. Mi auguro che si sia in tempo a tornare a una normalità, seppure “armata”, in un arco temporale ragionevole, con limitazioni che non abbiano le caratteristiche di mortificazione di interi settori economici, come abbiamo avuto finora».
A cosa si riferisce quando parla di “arco temporale ragionevole”?
«Dipende da quanto riusciremo a vaccinare: in Gran Bretagna hanno vaccinato tanto, con chiusure dure, e ora pensano di riaprire. Dovremmo fare altrettanto, con qualcosa in più: usare in maniera estensiva i test rapidi, tentando anche la strada dei test salivari per avere il massimo delle conoscenze possibili sulla diffusione del virus anche tra i giovani e i bambini, e isolare i focolai. Questo ci aiuterebbe anche ad aprire di più».
Ma è difficile un tracciamento del genere con mezzo milione di infetti ancora attivi.
«Questo tipo di screening va fatto sui luoghi di lavoro e scuole, ambiti in cui la gente si raccoglie per necessità, per poi eventualmente consentire l’accesso delle persone non vaccinate a determinate attività o luoghi. Finora siamo stati solo prescrittivi, ora in prospettiva, con una campagna vaccinale che cresce, potremmo ragionare anche su uno schema premiale. Ma mi pare improbabile che possa accadere prima di maggio».
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