La sorella di Moussa: «Lasciati soli, non doveva finire così»

L’INTERVISTA. Il racconto: «È tornato dall’estero trasformato, minacce di morte e percosse a me e alla mamma. Abbiamo fatto tutte le dovute segnalazioni, ma nessuno è intervenuto. Uniti nel dolore alla famiglia di Sharon».

Un dolore lancinante dentro un dolore con il quale aveva imparato a convivere. Lui, fratello violento e instabile dentro le mura di casa – anche se da qualche mese i muri non erano più quelli dell’appartamento di famiglia, ma due piani sotto –: pugni, minacce di morte, le peggiori parolacce da mai dire alla propria madre e sorella. E ora l’epilogo che fa precipitare nel baratro ogni barlume di speranza.

La decisione più difficile

Poteva essere aiutato Moussa Sangare, poteva scrollarsi di dosso quel «mostro» chiamato droga e alcol, i suoi progetti malati affollati nella testa? Forse poteva. Loro, la sua mamma Kadiatou, ancora giovane nei suoi 53 anni ma sofferente, incapace ormai di parlare e con un’emiparesi da ictus, e la giovane sorella Awa, studentessa di Ingegneria gestionale al terzo anno a Dalmine, 24 anni tutti da vedere sbocciare, avevano preso la decisione più difficile per una madre e una sorella. Denunciare.

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«Sapevamo che lui non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo»

E l’avevano fatto tre volte, dal luglio 2023 al maggio scorso,con il solo obiettivo – salvarlo e salvarsi – che può dare la forza di farlo, superando anche vergogna, timori e quell’amore incondizionato che potrebbe portarti a dire: «No, aspetta, è tuo figlio, tuo fratello, passerà».

Ma il dolore non ha fine e riserva alle due donne di casa Sangare la peggiore delle sorprese: il loro Moussa, in una notte di arsura di un mese fa, si fa assassino. «Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste choccate. Sapevamo che lui non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo. Mamma sta malissimo, stiamo male. Non doveva finire così, assolutamente no. Il nostro pensiero va a quella povera ragazza, a Sharon e alla sua famiglia. Siamo davvero addolorate».

Awa, nelle tre denunce presentate ai carabinieri parli dei problemi di droga e alcol di Moussa, di una situazione ingestibile a casa e del vostro tentativo di farlo curare: «Io e mia madre – si legge nel verbale del novembre 2023 – ci siamo interessate al fine di condurlo in una struttura di recupero, che ha sempre rifiutato». Vi siete sentite sole?

«I controlli ci sono stati, ma alla casa, per questioni di agibilità dopo la nostra denuncia per l’incendio del luglio di un anno fa. Per mio fratello, invece, nessuno si è mosso. Abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza, mentre per un eventuale ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario».

Lasciate sole da tutti?

«No, abbiamo avuto il sostegno di alcuni vicini di casa, una in particolare mi ha aiutato a risistemare casa dopo l’incendio».

Quando sono cominciati i problemi con Moussa?

«Moussa era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti, e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di avere iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui».

Non ti eri confidata con nessuno rispetto a ciò che vivevate in famiglia?

«Con una mia amica, ma anche lei ha lo stesso tipo di problema...».

E il resto della comunità? Suisio è un piccolo paese, ci si conosce tutti.

«Quando la mamma ha avuto l’ictus in tanti ci hanno dimostrato vicinanza, lei è conosciuta in paese, lavorava come aiuto cuoca all’asilo e alcune persone hanno anche organizzato una raccolta per lei che non riesce più a lavorare. Ma per mio fratello, quando è diventato troppo, abbiamo denunciato».

Quando hai avuto più paura?

«Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro i muri di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui lui urlava, parlava da solo, delirava».

Lo ha fatto anche in questo ultimo mese? Il delitto di Sharon, che Moussa ha confessato di avere commesso, risale alla notte tra il 29 e il 30 luglio scorso...

«Sì, anche in questo ultimo mese. Anche se non ci ha più cercate, se vivevamo vite separate, noi al secondo piano e lui al piano terra, nell’appartamento che ha occupato, quando scendevo per uscire, sentivo che urlava».

Il 9 maggio, dopo la terza denuncia, tuo fratello si è allontanato da via San Giuliano, rendendosi irreperibile. Quando vi siete accorti che era tornato?

«Avevo dei sospetti che qualcuno avesse occupato la casa al piano terra della palazzina dove stiamo noi, che magari potesse essere Moussa, e un giorno di giugno, mentre stavo accompagnando mia mamma in ospedale per un controllo, l’ho visto che usciva da una finestra».

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Una particolare semi-convivenza senza più problemi?

«Convivenza no, non avevamo proprio più contatti, stavamo nella stessa casa ma su due piani diversi e lui di giorno si chiudeva in casa e usciva di notte, è sempre stato solitario. E comunque negli ultimi tempi non si era più mostrato violento con noi».

Le indagini per riuscire a risalire all’accoltellatore di Sharon sono durate un intero mese: 30 giorni nei quali, in tutti i paesi intorno a Terno d’Isola, si era diffuso un sentimento di giustificata paura.

«Anche io come tanti altri non uscivo più di casa, dopo il delitto».

Ora che si sa come è andata, che lui ha confessato di avere scelto a caso la sua vittima dopo averne «scartate» altre, viene da pensare che forse sareste potute essere anche voi: vi aveva già minacciato e colpite.

«Ci ho pensato».

Quella notte di un mese fa lui è uscito di casa con un coltello, da casa pare ne manchino altri e nell’appartamento è stata trovata una sagoma su cui si allenava, mentre durante l’interrogatorio avrebbe confessato di aver fatto anche delle «prove» con una statua di donna, in un parco di Terno. Anche a casa aveva già ricorso spesso ad armi da taglio?

«È una cosa recente, prima dello scorso mese di aprile non ne aveva mai usato uno contro di noi. Ma quel giorno, era il 20 aprile, mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente, ma mia mamma cercava di farmi capire (lei da quando ha avuto l’ictus non riesce più a parlare) che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se ne è andato, ridendo».

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