I due testimoni chiave del delitto di Terno: «Non siamo eroi, abbiamo fatto il nostro dovere»

IL RACCONTO. Amin e Mohamed spiegano: «L’avevamo visto quella sera mentre ci allenavamo a Chignolo».

«Poco prima del fermo di Sangare l’abbiamo visto nella caserma dei carabinieri di Bergamo. Ci hanno chiesto se era il ciclista che avevamo segnalato e noi l’abbiamo confermato: era lui. Ma non ci sentiamo degli eroi, testimoniando abbiamo semplicemente fatto ciò che era giusto, il nostro dovere di cittadini». A raccontarlo sono Amin Ettayeb e Mohamed Ghannamy, i due giovani amici d’origine marocchina la cui testimonianza ha dato una svolta decisiva alle indagini sull’omicidio di Sharon Verzeni, la barista 33enne accoltellata nella notte tra il 29 e il 30 luglio mentre camminava in via Castegnate a Terno d’Isola. Sono loro i testimoni chiave che hanno permesso agli inquirenti di identificare e quindi fermare (nella notte tra giovedì e venerdì) Moussa Sangare, che ha confessato di essere l’autore del delitto e lunedì mattina 2 settembre verrà interrogato in carcere dal gip Raffaella Mascarino.

«Poco prima del fermo di Sangare l’abbiamo visto nella caserma dei carabinieri di Bergamo. Ci hanno chiesto se era il ciclista che avevamo segnalato e noi l’abbiamo confermato: era lui»

La ricostruzione di quella notte

Quella notte i due amici - nati in Italia da genitori marocchini - si stavano allenando per strada, a Chignolo d’Isola, quando hanno incontrato Moussa che in bicicletta risaliva verso via Castegnate. «Siamo orgogliosi di aver aiutato a risolvere il caso ma allo stesso tempo rammaricati di non aver potuto difendere Sharon e salvarla – raccontano –. Eravamo in due. Se fossimo stati più vicini al luogo dell’omicidio forse avremmo potuto salvarla». Il 25enne Ettayeb vive da sempre a Terno d’Isola e fa il commesso in un negozio d’abbigliamento. Ha un canale Youtube sulle arti marziali con oltre 19mila iscritti e il prossimo 21 settembre gareggerà a Madone per il titolo nazionale di kickboxing.

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«Ci stavamo allenando»

Il 23enne Ghannamy abita invece a Chignolo d’Isola, lavora come autista per un magazzino e gioca a calcio in Seconda categoria. Il loro incontro con Sangare, 31enne nato a Milano da genitori del Mali e di casa a Suisio, è avvenuto nei pressi del cimitero di Chignolo, che dista circa un chilometro dal luogo del delitto, all’altezza del civico 32 di via Castegnate, dove Sharon è stata accoltellata intorno alle 00,50. «Verso mezzanotte e mezza, tra il 29 e il 30 luglio, ci stavamo allenando per strada come spesso accade – ricordano – e mentre stavamo facendo delle flessioni in zona cimitero abbiamo visto passare diverse persone in bici».

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Tra loro c’era anche Sangare: «Non l’avevamo mai visto, siamo rimasti colpiti da come ci ha guardato: minaccioso, con una smorfia strana, urlando qualcosa. Qualche giorno dopo, saputo dell’omicidio di Sharon, siamo andati dai carabinieri per segnalare quanto avevamo visto, sperando che potesse essere utile alle indagini. Gli inquirenti ci hanno convocato più volte, chiedendoci maggiori informazioni su quell’uomo che si muoveva in bicicletta. E noi gliele abbiamo date, per quel che abbiamo potuto vedere e ricordare».

«Non l’avevamo mai visto, siamo rimasti colpiti da come ci ha guardato: minaccioso, con una smorfia strana, urlando qualcosa»

«Ho fatto il mio dovere»

E così, dopo un mese di indagini in cui i carabinieri di Bergamo coordinati dal sostituto procuratore Emanuele Marchisio hanno visionato oltre cento ore di filmati delle telecamere e ascoltato più di cento persone, la testimonianza dei due giovani ha contribuito a risolvere il giallo: «Sono orgoglioso di aver aiutato, ho fatto il mio dovere contribuendo alle indagini sull’omicidio di una mia concittadina – aggiunge Ettayeb –. Il mio sogno è di aprire una palestra di arti marziali, dove tenere anche dei corsi per insegnare alle donne a difendersi agli episodi di violenza. Voglio lanciare un messaggio. Sangare ha origini straniere proprio come me. Ma non siamo tutti uguali. Ci sono persone integrate e per bene, così come ce ne sono altre che fanno cose brutte. Lo stesso vale per gli italiani». La storia di Amin e Mohamed, applauditi da molti come esempio di integrazione e senso civico, ha fatto il giro d’Italia: «Sono orgoglioso di Amin – dice il suo allenatore Alex Gualandris, titolare della Boxe Madone –. Spero che il suo comportamento possa essere d’esempio ad altri».

«Sono orgoglioso di aver aiutato, ho fatto il mio dovere contribuendo alle indagini sull’omicidio di una mia concittadina – aggiunge Ettayeb –. Il mio sogno è di aprire una palestra di arti marziali, dove tenere anche dei corsi per insegnare alle donne a difendersi agli episodi di violenza»

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