Delitto di Terno, Sangare: «Sì, volevo ucciderla e ho tenuto il coltello»

IL DRAMMA DI SHARON. Il gip ha disposto il carcere per il trentenne Moussa Sangare. «Assalito dal desiderio di provare emozioni forti». Lui: liberato di un peso.

Voleva colpire al cuore Sharon per ucciderla, tanto che quando il coltello è rimbalzato sullo sterno è rimasto «sbalordito». Emergono dettagli inquietanti dall’ordinanza con cui il gip Raffaella Mascarino, che lunedì ha interrogato il reo confesso Moussa Sangare in via Gleno, ha convalidato il fermo e disposto il carcere. Il trentenne di Suisio è accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. In due ore, difeso dall’avvocato Giacomo Maj e alla presenza del sostituto procuratore Emanuele Marchisio, ha confermato le dichiarazioni già rese venerdì.

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«A specifica domanda ammette di aver colpito la Verzeni al petto, puntando al cuore, al fine di ucciderla – si legge nelle 39 pagine di provvedimento –. In effetti, Sangare sferra una prima coltellata al petto che però rimbalza probabilmente perché, come può evincersi dal referto del Pronto soccorso, attinge la vittima allo sterno, ma che era comunque diretto a colpire una parte vitale come il cuore. Sbalordito per il fatto che il colpo non fosse andato a buon fine, Sangare scende dalla bicicletta e colpisce alla schiena con almeno tre fendenti la Verzeni: i fotogrammi scattati sul luogo del delitto e relativi al corpo della giovane dopo che i soccorritori avevano tagliato maglietta e reggiseno rendono l’idea dell’ampiezza e della profondità delle ferite che, pertanto, debbono essere state prodotte con fendenti sferrati con notevole forza. E d’altra parte, come si è accennato, a specifica domanda, nel corso dell’interrogatorio Sangare risponde: «Ma quindi puntavi al cuore?» «Sì». E ancora: «l’intenzione era di farla fuori?» «Sì».

Il coltello «come ricordo»

Inquietante è anche il fatto che volesse tenere il coltello che ha sotterrato come una sorta di feticcio. «Non l’ho buttato nel fiume perché ho pensato che magari avrei potuto controllare se era ancora lì. Volevo tenerlo lì come un ricordo, per avere memoria di quello che avevo fatto». E quando il giudice gli ha chiesto se lo voleva tenerlo come un «souvenir» ha risposto: «Sì». Il coltello recuperato in un sacchetto in riva all’Adda a Medolago aveva evidenti macchie ematiche ed è già stato inviato ai Ris. Pochi dubbi che si tratti dell’arma del delitto.

«Mi sentivo libero»

Sangare appare lucido e freddo anche quando racconta come si è sentito dopo aver ucciso Sharon. «Mi sono pentito di aver fatto quella cosa lì dopo un po’, purtroppo è capitato, mi pento per quello, poco ma sicuro – aveva detto venerdì nell’interrogatorio davanti al pm –. È passato un mese, piangere non posso piangere, non posso essere depresso per mesi, quella cosa lì dura un paio di giorni, poi ti devi riprendere altrimenti ti butti giù e non ti rialzi più. Cerco di distogliere quel pensiero che non era neanche un pensiero così pericoloso, era un pensiero abbastanza strano, c’era anche una zona di confort». Nell’ordinanza il gip riprende quelle frasi choc: «In casa dopo il fatto sentivo un miscuglio di emozioni. Sono rimasto scioccato, mi sono chiesto perché non stessi piangendo. Mi veniva da piangere però al tempo stesso mi sentivo libero, pensavo che roba». «Sul divano ho provato una specie di confort come se mi fossi liberato di un peso».

Delitto di Sharon Verzeni, i Ris a Suisio. Video di Carabinieri Bergamo

«Stato mentale integro»

Per il gip, Sangare nel momento del delitto era perfettamente lucido: «Se pure le motivazioni addotte dall’indagato in ordine alla spinta che ha portato a commettere il grave fatto di sangue può destare qualche perplessità in ordine al suo stato mentale – articola – tuttavia nel momento di compiere l’omicidio la lucidità mostrata nell’adottare tutta una serie di accorgimenti sia nei momenti immediatamente precedenti al delitto (cioè l’aver vagato fino a incontrare il bersaglio più vulnerabile), in quelli immediatamente successivi (si è messo a correre in bicicletta, ha fatto strade secondarie, ha perso il berretto a Chignolo d’Isola ed è tornato a prenderlo, ndr) e anche in quelli dei giorni seguenti (ha tagliato i capelli, modificato la bicicletta, eliminato tutti i gioielli e i vestiti che indossava e i coltelli, ndr) evidenziano uno stato mentale pienamente integro». A fugare ulteriori perplessità sul suo stato mentale anche il fatto che è stato portato in psichiatria appena arrivato in carcere e non sono state trovate tracce di patologie psichiatriche nè remote nè recenti.

Voleva provare emozioni forti

«Il gesto omicidiario è stato posto in essere nella più totale assenza di una qualche comprensibile motivazione, in maniera del tutto casuale, assolutamente gratuita essenzialmente eccentrica, per non dire addirittura capricciosa– spiega la giudice – donde la contestazione della circostanza aggravante dei futili motivi che, come noto, caratterizza proprio quelle situazioni, come quella che viene in considerazione, in cui le motivazioni dell’agire illecito risultino prive di qualsiasi apprezzabile consistenza». E ancora: «L’omicidio sembra commesso da un soggetto che, spesso in preda alla noia, non avendo stabile attività lavorativa, impregnato dei valori trasmessi dalla musica rap (il riferimento è alla trap, ndr) (un genere che esalta la violenza, il sesso estremo, l’esigenza di prevalere di un soggetto attraverso la soggezione imposta agli altri componenti di un gruppo o, in generale, della società), che aveva architettato come passatempo quello di lanciare coltelli ad una rudimentale sagoma di cartone con apposto alla cima un cuscino su cui era disegnato un volto umano, sia stato assalito dal desiderio di provare realmente emozioni forti, in grado di scatenare nel suo animo quella scarica di adrenalina che Sangare ha cercato di descrivere, seguita da uno stato di benessere e di relax. Il pensiero che l’esistenza di una giovane donna sia stata stroncata per soddisfare emozioni di questo genere lascia francamente attoniti».

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