Sofia Goggia: «Il dialetto va insegnato a scuola»

INTERVISTE ALLO SPECCHIO. La campionessa bergamasca: «Fiera di portare la nostra indole per il mondo Ma mi piace anche il napoletano»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a «Il Giornale di Brescia»: il link in fondo all’intervista.

Sofia Goggia, vulcanica campionessa del circo bianco, record woman, anti-diva per eccellenza, entrata senza volerlo nello showbiz (Milly Carlucci l’ha persino invitata a Ballando con le stelle), è persona (più che personaggio) ancorata fortemente alle sue radici. Fra una gara e un allenamento, il tempo di una pausa l’ha concessa a «L’Eco di Bergamo» per rispondere ad alcune nostre domande. Ma stavolta non si parla di primati, slalom o discese. Né di nuovi sogni o record da infrangere. Stavolta sul piatto c’è la sua città, ci sono le tradizioni e i bergamaschi.

Sofia, ovunque tu vada porti sempre Bergamo con te. La dedica sul casco di gara con lo skyline di Bergamo dice tutto. Questo attaccamento alle radici, rievocare le tue prime imprese a Foppolo ti fa sentire a casa o cos’altro ancora?

«Penso sia importante ricordarsi sempre delle proprie origini, è un Dna che fa parte della tua persona, sono fiera di portare l’indole orobica in giro per il mondo».

Questo è l’anno di Bergamo-Brescia Capitale della Cultura. Per te cos’è o cosa fa «cultura»?

«La cultura riguarda aspetti come l’etica e i comportamenti che mettiamo in campo ogni giorno nella nostra vita, i quali si apprendono anche aprendo un libro, oppure andando a visitare luoghi d’arte».

Spesso di parla di «cultura dello sport». Come sei riuscita a coniugare lo sci al massimo livello con la tua formazione culturale, se è così vero che sport professionistico e cultura sia un binomio complicato e in considerazione del fatto che da tanti anni si batte il tasto sulla necessità d’inserire lo sport a scuola fin dalle elementari?

«Per quanto lo sci sia un aspetto fondamentale della mia vita, credo sia utile per una persona completarsi sotto tutti i punti di vista, anche al di fuori della pista di gara. A me è sempre piaciuto interessarmi anche di altro, per arricchire il mio bagaglio di conoscenze. E aiuta a distrarmi da ciò che è il mondo dello sci».

Lo sci ha avuto una evoluzione culturale e scientifica nel corso degli anni. Rispetto alle prime gare come è cambiato il tuo rapporto con i professionisti che curano i vari aspetti della tua preparazione, dall’alimentazione alla prevenzione degli infortuni fino alla gestione psicologica delle gare e anche degli allenamenti?

«Abbiamo un confronto quotidiano perché il livello medio sul circuito si è alzato tantissimo. Ormai quasi tutte le gare si giocano sul filo dei centesimi, ogni particolare può risultare decisivo: dall’alimentazione all’aspetto mentale, dalla preparazione fisica ai materiali, dal riposo fino all’allenamento sulla neve vero e proprio».

Lo sport può essere un volano per la cultura?

«Occorre partire dalle basi, inserendo maggiormente lo sport nella cultura, rendendolo parte integrante della società e della vita di tutti i giorni».

Hai inciso il tuo nome nell’albo dei grandi personaggi di Bergamo. In cosa vorresti che la nostra città primeggiasse?

«È una cosa che mi fa enormemente piacere, la nostra città primeggia grazie alla caparbietà del nostro popolo e per la nostra indole. Ritengo incredibile la dignità dei bergamaschi».

In alcune interviste ti piace dare «lezioni» di dialetto bergamasco. Ti definisci «crapa de tor», un po’ in antitesi al detto «fiama de rar, sota la sender brasca», tu piuttosto sei tipa da infiammarsi sempre o no?

«Mi sento entrambe le cose, ossia sia cocciuta che brace ardente in modo perenne, anche quando di spegne il fuoco. Poi è logico che una persona abbia anche le sue vampate, però mi ritengo soprattutto un fuoco che brucia continuazione».

Il dialetto è parte del tuo lessico, anche il napoletano mi par di capire che ti intriga. Qual è il motivo? Perché il dialetto è una lingua verace e pittoresca o cos’altro?

«La mia opinione è che sia un peccato che in Italia non venga insegnato il dialetto a scuola, nelle rispettive provincie di provenienza. Fa parte della nostra cultura, secondo me ci sono alcune espressioni che rendono maggiormente l’idea se dette in dialetto, piuttosto che in italiano. Mi sono appassionata al napoletano guardando la serie televisiva “Mare fuori”, a un certo punto nel corso dell’ultima stagione mi sono trovata addirittura a parlare con un leggero accento».

Chiudiamo con una nota culinaria. Da buongustaia, dici che se non sei in grado di fare la polenta non sei nessuno. Quale piatto orobico doc ti andrebbe di sponsorizzare?

«Il casoncello bergamasco è il massimo».

Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista alla ginnasta Vanessa Ferrari, pubblicata anche sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo di domenica 28 maggio.

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