Giovanni Marini: «Cooperare, la parola chiave per crescere»

BERGAMO. Al Celim dal 1980 e volontario in Zaire dall’83 all’85: in Bolivia e Burundi i nuovi progetti.

Giovanni Marini, quasi 64 anni, artigiano edile, al Celim dal 1980, presidente dal 2016, volontario in Zaire (attuale Repubblica Democratica del Congo) dal 1983 al 1985.

Innanzi tutto che cosa si intende per cooperazione internazionale?

«Il termine cooperazione è molto ampio e può riferirsi a diversi ambiti, per esempio esiste la cooperazione promossa da aziende o dagli Stati che, però, può ingenerare una situazione di sudditanza tra Paese donatore e Paese che riceve un aiuto; e di solito chi dona fa le regole. Anche la politica si appropria spesso di questo tema come trampolino di lancio per questioni personali o di schieramento.

Esiste inoltre la cooperazione militare, che come pacifista non posso certo appoggiare anche quando si tratta delle cosiddette missioni di pace. La cooperazione rappresenta un concetto positivo ma talvolta se ne fa un uso distorto, mascherando interessi economici, sfruttamento, possibilità di affari. La cooperazione internazionale presenta un conto, dove non c’è stato quel senso nobile di umanità, di condivisone, di apprezzamento dei valori locali, di dialogo, di comprensione reciproca; noi continuiamo la nostra piccola battaglia ideale, osservando con preoccupazione quando sta accadendo per esempio con un odio razziale che continua a crescere».

Che cosa è allora per lei cooperazione?

«Per spiegarlo mi piace riferirmi ad una vignetta: ci sono due asini legati tra loro con a disposizione due mucchi di fieno. Fino a quando i due animali tentano di raggiungerne uno, nessuno riesce a mangiare; solo quando si accordano e si spostano insieme, possono mangiare entrambi e in abbondanza. Per noi del Celim cooperazione allo sviluppo significa fare le cose insieme, valorizzando le risorse locali, compiendo anche un passo indietro per dare spazio alle realtà del posto. Anche quando si scelgono i partner bisogna porre attenzione al fatto che gli obiettivi siano condivisi puntando a far crescere le realtà locali ed alla formazione, elemento fondamentale. Attualmente abbiamo un progetto in Ecuador in cui addirittura non siamo presenti, lo sosteniamo, ma è la comunità locale che lo porta avanti con difficoltà che possono rallentare il processo, ma nel pieno rispetto e valorizzazione delle capacità locali»

Che ruolo ha Bergamo nell’ambito della cooperazione internazionale?

«Bergamo e Brescia nell’ultimo quarantennio sono state certamente al vertice di molti progetti. Parliamo di una storia bellissima dal punto di vista della riflessione con importanti figure di studiosi come Felice Rizzi, Stefania Gandolfi e Vittorino Chizzolini nel passato. Si è fatto molto nel settore dell’educazione allo sviluppo per trasmettere conoscenze, coinvolgendo anche esperti provenienti dall’Africa. Ultimamente l’asse si è spostato verso Brescia. La nostra università ha eliminato alcune cattedre preferendo seguire altre tematiche più legate agli interessi del mondo giovanile».

Bergamo è ricca anche di realtà «informali» come gruppi missionari e associazioni che nascono dal mondo cattolico.

«È vero, c’è il rischio però che rimangono esperienze ricche, belle ma che non coordinandosi non possano svilupparsi su lungo periodo. Forse queste forme nascono dalla sfiducia nei confronti delle organizzazioni».

Che cosa caratterizza l’attività svolta dal Celim in questi anni?

«C’è un fattore che ci caratterizza ed è il volontariato, mosso da un’anima che in altro tipo di cooperazione non c’è. Non è una critica, perché anche il volontariato non è in grado di svolgere alcuni compiti, spesso però riesce a sopperire con figure di professionisti. Noi siamo un’organizzazione di volontariato, ma abbiamo dei dipendenti. Non appartiene solo al mondo cattolico impegnarsi a favore di altri, ma una motivazione ideale di questo tipo sostiene fortemente progetti e azioni».

Il prossimo anno il Celim compie 60 anni: cosa vede nel suo futuro.

«Nel tempo il Celim ha promosso molti progetti, in particolare negli anni ‘90 con la capacità di coinvolgere enti differenti. È una linea che stiamo continuando a seguire, collaborando con altre associazione e gruppi. Desideriamo festeggiare non ricordando solo il passato, ma pensando al futuro, incrementando il servizio civile che lo Stato finanzia, sperando però che la preparazione dei giovani selezionati sia più approfondita. Stiamo lavorando alla realizzazione di progetti nuovi nella Nord della Bolivia nella foresta amazzonica e in Africa in Burundi».

La cooperazione interessa ai giovani?

«La nostra esperienza recente mostra che il servizio civile potrebbe essere per loro un’opportunità di crescita personale e professionale».

Il progetto «Interviste allo specchio»

Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Leggi sul sito del Giornale di Brescia l’intervista allo scultore Gabriele Smussi, pubblicata anche sull’edizione cartacea de L’Eco di Bergamo di domenica 24 settembre.

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