Interviste allo specchio / Bergamo Città
Domenica 18 Giugno 2023
Bergamo Brescia 2023, lo chef Chicco Cerea: «Sulla tavola non ho visto tanta coesione»
L’INTERVISTA. Per lo chef stellato l’occasione va sfruttata meglio. «Di bresciano metterei in menu la gallina bollita»
Questa intervista è parte del progetto «Interviste allo specchio», condiviso con «Il Giornale di Brescia» e nato in occasione del 2023, l’anno che vede i due capoluoghi uniti come Capitale della Cultura. Ogni domenica i due quotidiani propongono l’intervista a due personaggi autorevoli del mondo culturale (nell’accezione più ampia), uno bergamasco e uno bresciano, realizzate da giornalisti delle due testate. Di seguito trovate l’intervista al personaggio bergamasco. Per scoprire il contenuto dell’intervista all’omologo bresciano, invece, vi rinviamo a «Il Giornale di Brescia»: il link in fondo all’intervista.
Con Chicco Cerea, chef del ristorante «Da Vittorio» di Brusaporto – tre stelle Michelin, uno dei pilastri della ristorazione italiana –, proviamo a mettere subito un po’ di pepe tra Bergamo e Brescia che, nonostante i «proclami» di fratellanza di questo 2023 che le vede insieme Capitale Italiana della Cultura, una certa rivalità a tavola non l’hanno mai nascosta.
Diciamolo subito, i casoncelli veri sono bergamaschi o bresciani?
«In verità li abbiamo entrambi, ma i nostri sono più buoni».
Che differenza c’è?
«A parte la forma, non vedo grandi differenze. Dopotutto anche noi bergamaschi utilizziamo ricette diverse: c’è chi nel ripieno mette l’uvetta e chi la pera, chi mette l’uovo nell’impasto e chi no. Una ricetta “tradizionale” è stata codificata, ma nessuno la segue perché tutti si rifanno a come li preparavano le mamme o le nonne di famiglia».
Casoncelli a parte, esiste davvero una rivalità tra la cucina bergamasca e quella bresciana?
«Io non parlerei di rivalità, piuttosto di tradizioni e di culture diverse. Loro, per esempio, hanno la cultura dello spiedo, che a noi manca, noi bergamaschi abbiamo invece una tradizione più solida per brasati e stufati».
C’è una ricetta bresciana che, secondo lei, potrebbe entrare nel menu di qualche ristorante bergamasco?
«Direi la gallina bollita, che cucinano soprattutto nelle feste e ai matrimoni. È senz’altro qualcosa che apprezzeremmo anche noi bergamaschi, perché non abbiamo questa tradizione».
Sei mesi di Capitale della Cultura: è stato fatto abbastanza per l’enogastronomia?
«Potevamo essere un po’ più brillanti. Forse in autunno ci sarà qualche evento, ma non vedo ancora nulla all’orizzonte, e soprattutto sto notando che nessuno dei miei colleghi - che come me lavorano tanto per far arrivare la gente da ogni dove - è stato coinvolto. Non vedo coesione: sono stati chiamati in causa i pasticcieri per la preparazione di un dolce, ma non mi pare di notare un gran fermento. Avevano chiesto anche a me, poi non se n’è fatto più nulla».
Cosa si poteva fare?
«Penso a qualche manifestazione di piazza capace di coinvolgere di più anche le persone. Si potevano promuovere delle serate sul Sentierone o in piazza della Loggia, sulla falsariga della Cena dei Mille di Parma, con cui siamo gemellati come Città creativa Unesco per la gastronomia».
A chi è rivolta questa critica?
«Non è una critica, dico solo che avrei semplicemente fatto qualcosa di diverso. Potevamo cogliere l’occasione per promuovere le nostre cantine e nostri i caseifici, proporre la zona Valcalepio che, rispetto alla Franciacorta, è molto più bistrattata. Si sarebbe partiti svantaggiati, ma sarebbe stato un modo per far vedere che c’è anche la Valcalepio. E non parliamo dei ristoranti: potevamo organizzare iniziative periodiche con una stessa promozione. Forse si è partiti un po’ tardi, ma c’è ancora tempo per recuperare in autunno».
Si può immaginare una collaborazione tra Bergamo e Brescia nella ristorazione, anche dopo la Capitale?
«Non lo so. Quando parlo con i miei colleghi, molti si considerano concorrenti gli uni degli altri, ma non è così. Un turista non può andare tutte le sere a mangiare nello stesso ristorante. Sarebbe fantastico creare dei tour enogastronomici».
Forse non siamo ancora maturi per questo passaggio.
«Bergamo e Brescia sono notoriamente terre di grandi lavoratori, che però sono un po’ chiusi. Hanno paura delle novità, ma in questo caso aprirsi potrebbe essere una bella occasione: la cultura è libertà e aiuta ad avere la mente più propensa al bene comune».
Accennava al dolce preparato per la Capitale, una sorta di connubio tra Torta del Donizetti e Bussolà. Lei quale preferisce?
«Sono due torte fantastiche, due colonne della pasticceria bresciana e bergamasca. Per questo non vedo l’ora di provare quel dolce. Non dimentichiamoci che la Torta del Donizetti è stata creata da Angelo Balzer, il nostro più grande pasticciere, nel 1948. Allora era un dolce innovativo, negli ingredienti e perché era pensato per essere trasportabile e rimanere buono per un certo un periodo di tempo; e ancora oggi rimane una torta squisita».
Lasciamoci con un consiglio, anzi due: una ricetta bresciana da abbinare al Valcalepio e una bergamasca con un Franciacorta.
«Direi un manzo all’olio da gustare con un nostro Valcalepio, e i capponcini di verza farciti con un buon Franciacorta».
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