Una fabbrica e il suo paese: la storia della «Crespi»

Racconta la storia di un imprenditore e della sua fabbrica, ma anche del forte legame che questi hanno sempre avuto con la comunità e il territorio di Nembro. «Una fabbrica e il suo paese. La storia della filatura di cotone Crespi & C. di Nembro», recente pubblicazione dello storico locale Giampiero Valoti, verrà presentata all’auditorium Modernissimo di Nembro lunedì 27 maggio alle 20.45.

Il desiderio di una ricerca storica sull’argomento è nato dal Comitato di quartiere di San Faustino. «Già prima della pandemia abbiamo avviato questo progetto - racconta l’assessore Francesco Brusamolino, da tempo membro del Comitato -. La fabbrica Crespi ha avuto un ruolo fondamentale nella storia di Nembro, e in particolare del nostro quartiere. Ha dato lavoro a migliaia di famiglie e ha contribuito allo sviluppo del paese. Dopo la chiusura nel 2006, rimane solo una testimonianza di archeologia industriale e non volevamo che questa storia andasse dispersa». Il libro, articolato in 14 capitoli, ripercorre tutta la storia della Crespi & C. di Benigno Crespi, sin dalla fondazione del 1868. «Benigno Crespi è vissuto tra il 1848 e il 1910 - racconta Giampiero Valoti -, è meno noto ma non meno importante del fratello, Cristoforo Benigno, che fondò il sito di Crespi d’Adda». La fabbrica di Nembro è sempre stata una filatura di cotone. «Situata in cima a Nembro, verso il confine con Albino, era un polo produttivo importante: aveva macchinari moderni per l’epoca, le fonti la definiscono un’industria tra le più moderne. Ha contribuito a trasformare la vocazione del Comune di Nembro da puramente agricola a industriale».

Un’attività che nella prima metà del ’900 ebbe uno sviluppo notevole, anche durante la Prima guerra mondiale. «Arrivò ad avere più di mille addetti - prosegue Valoti -. Per un paese come Nembro significava che tutte le famiglie avevano un componente che lavorava alla Crespi: era comune dire che quando la mamma o il papà andavano in pensione lasciavano il posto ai figli». Crespi si dimostrò sempre un industriale illuminato, attento ai bisogni sociali del paese. Fece costruire due villaggi operai: il primo, vicino alla fabbrica (noto come Crespi Basso), aveva all’interno anche una piccola chiesa, dove ogni mattina veniva celebrata la Messa; il secondo, più in alto, contava 148 appartamenti dati in affitto agli operai a prezzi modesti. Non mancava uno spaccio alimentare, dove venivano venduti prodotti a basso costo, e avveniva anche la macellazione di animali. «La presenza di un convitto era legata all’immigrazione delle ragazze, non solo dai paesi vicini, ma anche dalla Bassa». Negli anni ’50 l’azienda si avviò lentamente verso la sua crisi. «Nel 1955 ci furono molti licenziamenti, quasi metà degli operai, perché le macchine non erano più adeguate e l’azienda stava entrando in crisi. Altri licenziamenti avvennero nel 1959». Nel 1972 la svolta: dopo la morte del fondatore e il passaggio ai figli (Mario, Aldo e Vittoria), l’industria viene venduta alla manifattura Legnano, già proprietaria di altre industrie tessili. Le attività proseguirono sino al 2007, quando l’azienda alzò bandiera bianca di fronte alla concorrenza straniera e si arrivò alla chiusura definitiva.

Il libro ripercorre questa lunga parabola storica, avvalendosi di testimonianze, documenti d’archivio e articoli di giornale. «Molte interviste sono state realizzate negli anni ’80, altre sono più recenti». Alla presentazione interverrà anche il prof. Giuseppe De Luca, responsabile scientifico della Fondazione Legler per la storia economica e sociale di Bergamo.

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