Testimoni dell’orrore con il coraggio di rinascere

LA RECENSIONE. «Una storia sulla capacità umana di fare il male può diventare una storia sulla nostra inesorabile capacità di sperare». C’è un’invincibile entusiasmo per la vita nell’autobiografia di Edith Eva Eger «La ballerina di Auschwitz» (Corbaccio).

Nata in Ungheria, aveva compiuto 16 anni e si era appena innamorata per la prima volta quando è stata deportata ad Auschwitz, con la madre e la sorella Magda. Ballerina di talento, ginnasta che aspirava a partecipare alle Olimpiadi, non si è mai arresa, neppure di fronte agli orrori. Dopo la liberazione lei e la sorella si sono trasferite negli Stati Uniti. Edith ha poi cercato una strada per rielaborare quanto ha vissuto: si è laureata in psicologia e si è specializzata nella cura di persone affette da stress da disturbo post-traumatico. Nel suo libro non c’è solo una puntuale e preziosa ricostruzione storica, ma una riflessione sulla sofferenza e sul coraggio di rinascere.

È ambientato nel campo di concentramento anche «Il pugile di Auschwitz» (Solferino), in cui Erik Brouwer racconta la storia di resistenza e speranza di Leen Sanders, campione olandese di pugilato, che riuscì a usare le sue abilità sportive per aiutare altri prigionieri del campo. Non è una lettura facile, infine, ma comunque necessaria «Crematorio freddo» (Bompiani) di Józef Debreczeni, giornalista e scrittore ungherese. Ripercorre con lucidità un anno di prigionia ad Auschwitz, fino all’ospedale del campo di Dörnau, dove i prigionieri troppo deboli per lavorare venivano lasciati morire, il «crematorio freddo» del titolo. Debreczeni riuscì a sopravvivere e a scrivere queste memorie come potente atto d’accusa contro il nazismo.

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