«La scrittura può cambiarci» anche in carcere

La scrittura cambia la vita. Lo crede fortemente Adriana Lorenzi, scrittrice, insegnante e formatrice che da molti anni propone laboratori di scrittura nella Casa circondariale di Bergamo: «Ci credo proprio. Il laboratorio come attività trattamentale offre davvero una possibilità di cambiamento alle persone: giusto che vengano fermate col carcere quando compiono il male, ma il male si può trasformare in bene. Non vale ovviamente per tutti, ma per molti sì. Senza scontare nulla ai detenuti, rimane che non sono “mostri” o non sono il reato commesso, e il carcere, secondo il mandato costituzionale, non dovrebbe ledere la loro dignità». Il suo ultimo libro «Dalla parte sbagliata», edito da «Sensibili alle foglie», è stato presentato in un incontro molto partecipato alla Fondazione Serughetti La Porta; con l’autrice hanno dialogo Gabriella Cremaschi, presidente della Fondazione, e Ivo Lizzola, dell’Università di Bergamo.

Un romanzo epistolare, scandito nei mesi del percorso del laboratorio di scrittura da settembre ad agosto, e costituito da scambi di lettere (una quarantina) tra la formatrice e Cristina, con cui la protagonista ha condiviso l’esperienza del laboratorio.

Quest’ amica si è persa, il motivo si scoprirà solo alla fine. La protagonista la aggiorna su ciò che accade in carcere, su quali argomenti vengono trattati, e via via ha sempre più esigenza di scrivere lettere ad altre persone, a un’educatrice, all’ispettore, anche a soggetti immaginari come le caramelle e allo stesso carcere che di sé dice: «Rammendo le vite slabbrate di chi ha varcato il limite della legalità e potrei fregiarmi del titolo di rammendificio collocato ai margini di una città che cerca di scordarsi della mia esistenza per non farsi lambire dall’ombra minacciosa che proietto». «La lettera - continua Lorenzi - è il mezzo per mantenere le relazioni con l’esterno.

C’è un io che si rivolge ad un tu. Il romanzo è un’opera d’invenzione, giocato in prima persona su tante voci che parte però da spunti reali, da eventi accaduti.

Non ci sono elementi che facciano riconoscere dietro a nomi di fantasia persone vere. Non è un libro di denuncia. Mi interessava riflettere su che cosa accade in carcere e cosa può muovere la scrittura. Come formatrice mi chiedo come produrre un cambiamento nei soggetti che incontro, per riconsegnarli dalla detenzione non più così feriti, ma pronti a ricominciare una vita che li chiamerà a scegliere ogni giorno in modo responsabile quale strada seguire. Loro stessi dicono che c’è sempre stato un momento in cui hanno deciso di mettersi dalla parte “sbagliata”. Il mio lavoro può almeno muovere in loro il dubbio».

Lorenzi è direttrice editoriale del giornale «Spazio. Diario aperto dalla prigione», prodotto in via Gleno, che permette ai detenuti di esprimersi e a chi è fuori di avvicinare una realtà ancora sconosciuta: «Tra le “penne” si è sviluppato un forte senso di appartenenza, e orgoglio per ciò che facciamo insieme. Realtà benefica e generativa» . Dalla riflessione di Lizzola e dagli interventi del pubblico è emerso che solo il 40% dei detenuti accede ad attività trattamentali, per molti prevale la filosofia della branda, ma soprattutto il carcere è un mondo abbandonato, sovraffollato, che accoglie una popolazione di marginalità sociale e persone con disturbi psichici, mentre ancora un grande lavoro va fatto all’esterno.

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