Da un ricordo d’infanzia, un thriller ambientato a Montisola

LETTURE. Jacopo De Michelis è l’autore che il 28 ottobre sarà ospite del secondo appuntamento della rassegna «Lib(e)ri di sognare e pensare» al Circolino. Il suo libro prende le mosse dall’omicidio dell’uomo più ricco dell’isola. «Tutto nasce dalle impressioni molto vivide di un’atmosfera autunnale, lacustre, un po’ lugubre, ma affascinante».

Uno scrittore ed editor milanese, trasferitosi a Venezia, già traduttore, curatore di antologie, consulente editoriale e docente di narratologia alla Naba di Milano, ambienta il suo ultimo romanzo, appena uscito per Giunti, a Montisola, scenario assolutamente protagonista in vari modi, sensi e per larghe parti del testo. Lo dice già il titolo, «La Montagna nel lago» (576 pagine), chiaramente allusivo alla particolarissima conformazione fisica dell’«isola fuori dal mondo». Jacopo De Michelis, nato a Milano nel 1968, residente a Venezia, dove lavora come editor presso Marsilio Editori, presenta questo suo secondo romanzo, dopo «La stazione» (Giunti, 2022), il 28 ottobre alle 20.45, alla Sala Civica del Circolino (vicolo sant’Agata 19, Città Alta), in dialogo con Dino Nikpalj, vicepresidente della Cooperativa Città Alta, che organizza l’incontro, parte della rassegna «Lib(e)ri di sognare e pensare».

Un thriller incalzante

Il libro è un page turner, un thriller a capitoli brevi e incalzanti, che molto gioca su suspense, attesa, ritmo, scorrevolezza, velocità e godibilità del racconto. Emilio Ercoli, 69 anni, «l’uomo più ricco di Montisola», è stato barbaramente ucciso (non senza particolari in stile senecano). I sospetti degli inquirenti si concentrano su Nevio Rota, pescatore sessantacinquenne notoriamente in pessimi rapporti con la vittima. Nevio chiede allora al figlio Pietro, trasferitosi a Milano nella speranza di diventare un giornalista importante, di tornare a Montisola, dove non metteva piede da 12 anni, per aiutarlo a dimostrare la sua innocenza. E Pietro, nonostante i rapporti con suo padre fossero molto «difficili», non può rifiutarsi.

De Michelis, perché ha ambientato il romanzo proprio a Montisola?

«Tutto nasce da un ricordo d’infanzia. Una vacanza di qualche giorno con mia madre, in una villa sul lago affittata da un amico di famiglia. Ricordi molto vaghi ma anche molto vividi, questa atmosfera autunnale, lacustre, un po’ lugubre, ma insieme affascinante. Partendo da questi ricordi ho cominciato a informarmi, scoprendo cose interessanti: Montisola è la più grande isola lacustre d’Italia, una delle più grandi d’Europa, al centro di un lago poco noto, schiacciato com’è fra i più universalmente conosciuti laghi di Como e di Garda. Nonostante la grande risonanza dell’installazione di Christo, tanti non hanno idea della sua esatta ubicazione.È un luogo bello, fascinoso, ricco di tradizioni, storia, leggende: le reti, la pesca, il salame di Montisola, le sardine essiccate… Come il primo, costruito attorno a “La stazione” centrale di Milano, anche questo romanzo nasce da un luogo, ha l’ambizione, oltre che di raccontare una storia avvincente, di far conoscere al lettore un sito molto specifico. È stato il luogo ad ispirarmi la storia, che non potrebbe svolgersi altrove».

Lei pone attenzione anche alla storia recente, alle trasformazioni socio-economiche dell’isola, da terra di pescatori a terra di turismo, e persino alle specialità gastronomiche montisolane…

«Ho cercato di raccontare la realtà attuale. Ma un fattore decisivo rimanda al passato. A un certo punto ho trovato che, negli anni di Salò, dalla primavera del ‘43 alla liberazione, Montisola era stata una specie di quartier generale, se non di feudo personale, di Junio Valerio Borghese, il comandante della X Mas, che lì si era trasferito, con familiari ed alcuni camerati, come in luogo al riparo da attentati e bombardamenti. Ho cominciato ad elaborare la storia di un delitto vicino ai tempi nostri ma che affondasse le sue radici nel periodo buio della guerra civile. Chiaramente non potevo arrivare ai giorni nostri, sennò alcuni personaggi avrebbero dovuto essere ultracentenari. Ho scelto il 1992 come anno di svolta epocale, in cui crolla rovinosamente la prima Repubblica sotto i colpi di Tangentopoli. Il protagonista, Pietro Rota, che voleva fare il giornalista ad alto livello, aspirerebbe ad occuparsi di questo genere di notizie, e invece si trova a seguire piccoli, squallidi casi di nera per una rivista scandalistico-sensazionalistica. La sua indagine per discolpare il padre, però, fa capire come le radici del delitto risalgano proprio agli anni della Repubblica di Salò».

In primo piano, appunto, anche il rapporto tra generazioni, padre-figlio: ma la generazione dei padri sembra più «tosta». Quella del figlio, almeno inizialmente, più vulnerabile a débauche, sconfitta, fallimento…

«Pietro si trova ad affrontare il complesso irrisolto nei confronti del padre. Ma nel racconto entra un po’ tutta la gamma dei rapporti umani, amicizia e amore in testa. Il protagonista è messo alla prova su tutti i fronti. Volevo che, quando entra in scena, fosse una persona in crisi, allo sbando, tra crisi personale, insoddisfazione nel lavoro, debiti, gioco, cocaina. E, attraverso il ritorno a casa, avesse un’evoluzione abbastanza complessa: un percorso esistenziale piuttosto articolato».

A proposito: attraverso Pietro, emerge fortissimo il tema del fallimento personale, che ricorda, per certi versi, «Les illusions perdues» di Balzac: il giovane provinciale partito per la grande città, con grandi ambizioni, che si misura con il mondo del giornalismo, e torna a casa sconfitto …

«C’è quello, ma c’è anche “Martin Eden” di London, tutte queste storie di giovani di talento, umili origini, grandi ambizioni, che fanno un percorso per realizzare i propri sogni. E qui affiora un’altra grande questione: cosa sacrificare, quali costi comporta la realizzazione delle proprie ambizioni?».

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