Il piacere di leggere / Bergamo Città
Lunedì 30 Ottobre 2023
A 25 anni il sogno di volare fuori dalla «Grande gabbia»
La condanna della sensibilità, e di una certa timidezza, in un ragazzo prossimo alla soglia dell’essere uomo, periclitante sull’abisso dell’età adulta.
Con tutte le difficoltà e gli spasmi del caso. Il secondo romanzo di Bernardo Zannoni, più o meno coetaneo del suo protagonista (è nato nel ’95 a Sarzana), si intitola, pour cause, «25» (Sellerio, pagine 183, euro 16). Gero ha subito uno scisma, una diaspora familiare: il padre si è dissolto quando lui aveva un anno, la madre se n’è andata quando ne aveva diciannove. L’unica che lo abbia sempre amato è zia Clotilde, che, però, lo controlla, lo vuole per e con sé, aborre che lui se ne stia solo alla «villa», la grande casa degli ex-suoi, dimora con tanto spazio e senza amore dove ha trascorso infanzia e tanta parte di giovinezza.
Gero è il simbolo di una condizione anfibia, tra dipendenza e sete di indipendenza, élan vital e fiacchezza, abitudinarietà, accomodamento a «quello che fanno tutti» da vitellonismo di provincia. Frequenta, anche lui come tutti i più o meni coetanei, il bar Barracus, un bar che prende il nome dal suo paranoico proprietario. Lì siede, al centro, come un imperatore del tempo sprecato, il flipper: ma non si può battere il record stabilito da Barracus, pena esilio e lista di proscrizione. Gero è un sismografo sensibilissimo, un vibratile diapason, simbolo dell’estrema discontinuità, labilità, volubilità della nostra vita interiore, di continui inesorabili passaggi da uno stato d’animo a quello magari opposto, registrati, con coraggio e sistematicità fuori moda, dallo scrittore.
E, per Gero venticinquenne, le oscillazioni più cruciali e insistenti sono quelle che muovono tra gli opposti poli libertà/prigionia, adultità/adolescenza protratta, speranza di svolta/persistenza in una paludosa insignificanza: Gero sogna di poter volare con le sue ali, senza che nessuna zia gli gridi di tornare; di prendere finalmente in mano la sua vita, uscendo da lenta e comoda marcescenza. L’idea che lo «trafigge» è che viviamo in una «Grande gabbia». Non a caso, anche se qui gli animali non sono assoluti protagonisti - come nel precedente, bellissimo e pluripremiato «I miei stupidi intenti» (2021) -, la storia del pappagallino Richard, comico e miserabile nel suo sbattere contro le sbarre della gabbietta, e poi protagonista di inopinata tragicomica fuga, assume densa suggestione da apologo. Una fine, profonda, originale, persuasiva, coraggiosamente disadorna rappresentazione di giovinezze provinciali negli anni in corso.
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