«Vuoto a credere», un diario
dei giorni del coronavirus

Il volume di Enzo Romeo è la cronaca quotidiana degli eventi che hanno travolto i bergamaschi.

18 marzo: «Papa Francesco telefona al vescovo di Bergamo, chiede della situazione, esprime vicinanza alla gente. Nella notte una processione di camion dell’esercito ha trasportato decine di salme in Emilia per essere cremate. Dalle finestre si guarda e si piange. I bergamaschi sono abituati a tenersi tutto dentro, ma stavolta il dolore è troppo forte». 25 marzo: «La messa del papa alle 7 del mattino è seguita in tv da un numero sempre crescente di italiani. Segno che c’è voglia di ritrovarsi, riflettere e, per chi crede, pregare»; «È una celebrazione senza “effetti speciali”: sobria, con lunghi silenzi rotti solo da qualche canto in latino intonato dal concelebrante, don Tino Scotti, originario di Cologno al Serio, dove il Covid-19 ha colpito duro». I rimandi bergamaschi continuano. Riferiscono telefonate cordiali del pontefice: la sera del 14 aprile, ringraziando il direttore de «L’Eco di Bergamo» «per l’attenzione che il quotidiano pone ogni giorno alle tante vittime del coronavirus». «È importante ricordare la gente che muore e raccontare le loro storie», ha detto al direttore Alberto Ceresoli. Altra telefonata, il 3 maggio, quella per don Matteo Cella, per ringraziarlo del lavoro svolto in questi mesi: «Ci ha incoraggiato a non mollare», racconta il dinamico parroco di Nembro, e aggiunge: «Alcune persone gli avevano detto quel che è accaduto da noi, di come la comunità si è attivata per mantenere i legami, costruire la speranza, condividere buone idee». Questi brani appena citati - riguardanti Bergamo e i bergamaschi - sono tutti contenuti nel nuovo libro di Enzo Romeo «Vuoto a credere. La fede, la chiesa e il papa al tempo del coronavirus» (Àncora, pp. 98 euro 13) che racconta i mesi della pandemia osservati nella dimensione religiosa, nei riflessi per la vita ecclesiale, nelle conseguenze per tanti vescovi, sacerdoti, laici. Una cronaca, giorno dopo giorno, dall’inizio dell’incubo a fine gennaio, sino alla «fase due», mettendo in primo piano la vita vaticana, ma pure quella di tante diocesi italiane. E allo stesso tempo passando in rassegna sequenze di chiese semivuote, messe in streaming, rosari alla tv, ma anche il lavoro di numerosi preti rimasti accanto a chi non poteva restare a casa non avendone mai avuta una. E riportando le parole e i gesti di Papa Francesco che, nelle immagini degli ultimi mesi, è stato più volte mostrato da solo: unici compagni il crocifisso e l’icona della Vergine, tra Casa Santa Marta e i Palazzi Apostolici. Posti bellissimi, ma nei quali era «ingabbiato» - parola sua. Sì, ingabbiato anche lui. Come quasi tutti noi, riparati nelle nostre dimore. Fermi e con più tempo per pensare. E chissà se, «costretti a fermarci – come scrive con ottimismo Enzo Romeo – siamo stati indotti a liberarci del superfluo, facendo spazio – consciamente o no – al trascendente, all’invisibile essenziale, in una parola a Dio».

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