Veltroni: «Negli anni ’60 poesia e bellezza, un breve periodo in cui tutto cambia»

RICORDI. Il politico, giornalista e scrittore il 21 marzo porterà alla ChorusLife Arena «Le emozioni che abbiamo vissuto». «Un viaggio nella vita collettiva che abbiamo vissuto. Le persone partecipano, cantano e intervengono anche in un sondaggio sui film e libri più belli degli Anni Sessanta».

Walter Veltroni non ha bisogno di presentazioni. Protagonista a lungo della storia politica italiana e figura di primo piano anche in ambito giornalistico, da tempo si è appassionato alla scrittura di libri e alla realizzazione di documentari. Un tale narratore si accinge a far rivivere il periodo storico degli anni Sessanta con lo spettacolo teatrale «Le emozioni che abbiamo vissuto», in programma alla ChorusLife Arena il 21 marzo alle 21. Portando in scena oggetti simbolo di quegli anni ma anche musiche, giornali, immagini d’epoca e video inediti, Veltroni ripercorrerà eventi storici e cambiamenti culturali.

Lo spettacolo sarà incentrato sugli anni ’60. Perché proprio quelli?

«Perché sono anni che per me hanno una bellezza, un valore e una poesia che non è facile ritrovare. Si tratta di un breve periodo della nostra storia in cui cambia tutto: ci sono l’arrivo dei Beatles e quello del televisore, la scolarizzazione di massa, Kennedy, Giovanni XXIII, il ’68 e in mezzo ancora tante altre cose. Sono trascorsi solo 15 anni da una guerra mondiale eppure gli italiani, dalle macerie, hanno saputo costruire tanto grazie a intelligenza, a voglia di vivere e al giusto carico di utopia. Ho pensato che in un momento come questo fosse bello ricordarlo».

Quindi va in scena un messaggio di fiducia; nell’anno del Giubileo anche invocazioni laiche alla speranza.

«Sì, esatto. Inoltre è un viaggio nella vita collettiva che abbiamo vissuto. Le persone partecipano, cantano e intervengono anche in un sondaggio che facciamo sui film e libri più belli degli Anni Sessanta. Si emozionano, ridono e piangono come avviene nella vita. Nel pubblico abbiamo avuto anche ragazzi giovani che sono rimasti incuriositi, perché sono anni di cui magari hanno sentito raccontare in casa e in cui tutto sembrava possibile».

Qual è invece lo spirito del tempo attuale?

«Questo è un tempo nero, cupo, in cui tutti hanno ansia, parola che domina tanto quanto allora lo faceva la parola speranza. Quando in una società si fa strada la paura diventa tutto difficile. Ci è andata in coriandoli la vita: i social tendono a frantumarla e a renderla sostanzialmente futile; c’è una grande difficoltà a ricucire tutto insieme e a restituire senso a quello che accade».

Che cosa è rimasto di intatto, secondo lei, dagli anni Sessanta?

«La libertà. Quegli anni vedono la conquista di tante libertà civili. In America non hanno segnato la fine della discriminazione razziale ma almeno quella delle leggi che la consentivano. L’esigenza di libertà di ciascuno di noi ha attraversato i decenni successivi, è arrivata fino a qui e forse dobbiamo ricordarci quanto sia importante salvaguardarla».

E invece a livello personale, che cosa è rimasto in lei di intonso allo scorrere del tempo?

«Ero un bambino in quegli anni e credo che mi sia rimasto lo sguardo che si ha quando si è all’inizio della vita; quello che si domanda il perché di tutto e che ti impedisce di essere appagato, cinico e di fregartene. C’è una bellissima frase di George Bernard Show che dice: “Alcuni uomini vedono cose che esistono e dicono: perché?”. Io sogno cose che ancora non esistono e dico: “Perché no?”. Questo è un po’ lo spirito con il quale ho vissuto tutta la mia vita».

Eppure la sua esistenza era iniziata in salita.

«Sì, nello spettacolo racconto anche di mio nonno portato via dai nazisti a via Tasso e di mio padre morto a 37 anni quando io ne avevo uno».

Chi le ha insegnato a guardare agli altri, nonostante tutto, con amore e comprensione?

«Forse mia madre; sono cresciuto con la gentilezza, la curiosità, l’allegria e la serenità di una donna che mi ha educato alla dolcezza e alla cura degli altri».

Parte di quello che ha costruito lo ha costruito anche in nome di suo padre?

«Implicitamente sì, anche se non in maniera razionale. Non posso dire di aver trascorso l’infanzia segnato dal dolore della morte di mio padre, perché appunto mia madre mi ha sempre consentito di vivere in allegria. Il desiderio di riscoprire la sua figura l’ho avuto quando sono diventato a mia volta padre. Non avendo un riferimento per il ruolo, mi è venuta voglia di cercarlo e conoscerlo: ho scritto un libro su di lui dal titolo “Ciao”. Se mi ci fa pensare, mio padre è diventato direttore di telegiornale a 35 anni e io sono diventato direttore di un giornale a 37; mio padre scriveva sceneggiature, faceva tante cose diverse e anch’io faccio così. Lui aveva un’occupazione a suo modo epica come quella del radiocronista e io collaboro con la Gazzetta dello Sport e sono appassionato, come lo era lui, di tutti gli sport. Mi rendo conto che nella vita si è un po’ segnati dalle origini».

Lei ha molto amato un film del 1989, «L’uomo dei sogni» di Phil Alden Robinson. Forse le piacciono i racconti che insegnano a guardare oltre l’orizzonte immediato della realtà.

«Pur non essendo il mio film preferito, che sarebbe più facilmente identificabile in uno tra quelli di Kubrick, Fellini o Chaplin, “L’uomo dei sogni” è quello che mi ha più emozionato nella vita. Prediligo, anche in letteratura, tutto ciò che è al confine tra realtà e fantasia. Mi piace l’idea che il fantastico sia possibile. Non apprezzo la fantascienza; amo semmai quando in un contesto reale fanno irruzione degli elementi “magici”. In nessun campo della vita potrei rinunciare alla grande risorsa della fantasia: proprio come l’utopia, non è né bugia, né illusione, bensì il motore del mondo. È pensare quello che non c’è».

Cos’è stata e cos’è ancora oggi per lei la politica?

«La politica è una grande luce e una grande passione. È l’idea che non si vive solo per se stessi. Quando qualcuno mi chiede perché non torno a fare politica, io rispondo che non ho mai smesso di farne. È sbagliato farla coincidere col potere; io ho smesso di avere un ruolo di potere per mia decisione, ma non ho smesso di voler cambiare il mondo».

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