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Venerdì 03 Gennaio 2025
«Sul palco racconto una storia d’amore con le canzoni di Mina»
L’INTERVISTA. Silvia Mezzanotte sabato sera 4 gennaio al Donizetti : l’ex cantante dei Matia Bazar nello spettacolo che rende omaggio alla Tigre di Cremona.
Due attori, Beatrice Baldaccini e Gabriele Colferai, una brava cantante, Silvia Mezzanotte, l’orchestra tutta al femminile, l’Ensemble Le Muse, rendono omaggio a Mina, la voce più iconica della musica italiana. «Vorrei che fosse amore» - in scena al Teatro Donizetti sabato sera 4 gennaio (inizio ore 21; biglietti disponibili) - è uno spettacolo particolare, musicale, teatrale. Racconta una storia d’amore sullo sfondo di alcune delle canzoni più popolari della signora Mazzini.
Il 23 agosto 1978, a «Bussoladomani» in Versilia, Mina sale sul palco per l’ultimo concerto, prima del definitivo ritiro dalle scene. Quella serata entra nella storia. Il regista attore Colferai l’ha ripresa per un racconto sentimentale, un’imprevedibile storia d’amore che nasce proprio a partire dalle canzoni di quell’ultimo saluto pubblico. Le canzoni le interpreta dal vivo Silvia Mezzanotte, voce tra le più apprezzate della nostra scena, con i Matia Bazar per più d’un decennio.
«C’è una sorta di rewind che dal presente ci riporta indietro al momento magico in cui i due ragazzi s’incontrano e s’innamorano. Da lì si dipana la storia che porta i ragazzi a vivere le emozioni di una storia d’amore segnata costantemente dalle canzoni di Mina»
«La storia d’amore è in piena commistione con la dimensione musicale», spiega la cantante. «Gli attori entrano ed escono dalla scena, io spesso interagisco con loro, la storia è raccontata a più voci con l’orchestra di sole donne. Sul palco siamo tutti protagonisti. La narrazione nasce nel 1978, in quella fatidica sera, ma si sviluppa negli anni successivi. C’è una sorta di rewind che dal presente ci riporta indietro al momento magico in cui i due ragazzi s’incontrano e s’innamorano. Da lì si dipana la storia che porta i ragazzi a vivere le emozioni di una storia d’amore segnata costantemente dalle canzoni di Mina che sono entrate nel nostro immaginario collettivo. Lo sviluppo qualche volta è allegro, a tratti triste, tragico persino. E le canzoni ne sono la colonna sonora».
Com’è stato entrare nei panni di una cantante così iconica come Mina?
«Prima di accettare questo ruolo ho aspettato più di due anni. Mina è una “divina” che ho sempre amato. Prima di sentirmi all’altezza di raccontare questa storia ho dovuto in qualche modo interiorizzarla. Temevo che questo repertorio potesse sopraffarmi per emotività e difficoltà. Anche se io vengo da repertori molto difficili. Non è che la dimensione Matia Bazar fosse una passeggiata. In questo caso c’era da sviluppare ancor più la dimensione interpretativa, dandone una connotazione che fosse completamente mia. Lontano dall’idea dell’imitazione. Per questo, insieme al maestro Albertini, il creatore de Le Muse, abbiamo elaborato arrangiamenti che consentissero di valorizzare la mia vocalità, uscendo dal mondo Mina, pur rispettandone la stesura, l’originalità. Non ci sono tradimenti musicali, semmai affiorano delle sorprese».
Un precedente c’è stato a «Tale e Quale Show», aveva interpretato «Brava» con straordinario successo.
«Quell’edizione l’ho vinta, ma quando la produzione mi comunicò che avrei dovuto interpretare Mina, non ho dormito per una settimana. Per fare quell’esibizione avevo preso dieci gocce di ansiolitico, terrorizzata da quello che poteva succedere. Non è detto che quella non sia stata l’origine di quest’altro impegno. Stavolta però volevo distaccarmi, non essere preda del repertorio. Lo spettacolo funziona, si coglie sempre la voglia del pubblico di ascoltare certe canzoni di Mina che non si sentono più cantate dal vivo, con l’orchestra, in una dimensione teatrale».
«Lontano dall’idea dell’imitazione: insieme al maestro Albertini abbiamo elaborato arrangiamenti che consentissero di valorizzare la mia vocalità, uscendo dal mondo Mina, pur rispettandone la stesura, l’originalità»
Cosa pensa della presenza-assenza di Mina?
«Trovo sia un ossimoro geniale. Lei è riuscita a trasformare se stessa in un’icona vivente, l’unica, ad essere molto presente proprio perché, come dice il figlio Massimiliano, essendo un’anticipatrice di tendenze, ha sempre lo sguardo che va oltre. È stata la prima, attraverso le sue copertine, a trasformarsi completamente. È diventata una rana, un culturista. Ha anticipato la moda dei duetti con Celentano prima, con Blanco recentemente. Certo, si è allontanata dal contatto col pubblico, ma d’altra parte cercava quella privacy che era stata troppo violata negli anni precedenti. Mina era inseguita, perseguitata, ha dovuto lasciare l’Italia per avere una vita, tra virgolette, normale; per essere una persona, non necessariamente il mito».
«Vorrei che fosse amore» che momento rappresenta in questa fase di carriera?
«Ho fatto scelte artistiche molto precise in un mondo musicale che va in una direzione diversa dalle mie caratteristiche vocali, interpretative. Per questo ho scelto di dedicarmi a spettacoli di grande qualità, prettamente indirizzati alla dimensione live. Non sono interessata al mondo discografico, alle piattaforme come Spotify, vengo da un’altra generazione. Questo spettacolo rappresenta la qualità di tutto, della recitazione, delle canzoni, del modo in cui vengono eseguite. Vado cercando progetti che durino nel tempo, piuttosto che stelle cadenti».
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